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“La strategia della farfalla” di Marco Belpoliti

di Teresa Paladin

Tra interruzioni, ripartenze, nuove interruzioni imposte dalla pandemia, quest’estate ci abbiamo riprovato, con il Gruppo di lettura dell’Associazione Il Giardino di Figline Valdarno, a conversare la notte intorno a dei libri. Sei incontri che si sono svolti tra luglio e agosto sotto il titolo “Notturni al giardino”. In realtà faceva un gran caldo, nonostante fossimo in un vero giardino dedicato alla memoria del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso dalla mafia. Un caldo umido trasudava in cielo la caligine anche di notte, una foschia così fitta nella quale potevamo scorgere appena qualche stella. D’altra parte Figline è un paese situato in una stretta pianura dove scorre l’Arno e molti suoi affluenti, qui l’afa, l’umidità è di casa estate e inverno forse più che a Firenze. Ma la nostra curiosità a conversare di libri aspettava paziente le ore più fresche, che sarebbero comunque arrivate, chiaramente sempre in rapporto alle temperature di giornate in cui si superavano i 40 gradi. Con Teresa Paladin e Giuseppe Baldassarre abbiamo conversato su di un libro fresco di stampa come il Napoleone in venti parole di Ernesto Ferrero, con Paolo Gualandi sugli ironici racconti dello scrittore americano Ring Lardner, con Lucia Bruni sul mio ricordo/racconto dedicato a Romano Bilenchi, con Federico Napoli su Firenze e la cultura dei Caffè letterari del Novecento, mentre una serata, curata da Leonello Rabatti e Augusto Taurisano, è stata interamente dedicata a letture sceniche e performance recitative di alcune poesie. Nell’ultimo degli incontri Teresa Paladin ci ha intrattenuto parlando de La strategia della Farfalla di Marco Belpoliti, così le ho chiesto di riordinare gli appunti usati nella conferenza per renderli un breve testo critico su questo spassoso libro che parla degli insetti, pubblicato da Guanda nel 2016 …Ecco il risultato…  (A. A.)

 

Gli animali in Letteratura:  dal cane Argo in poi caratteristiche, vizi, virtù del mondo animale fanno parte integrante della storia letteraria, a sottolineare come non solo lo spazio e il tempo di una storia ma anche gli esseri viventi di altre specie hanno qualcosa da comunicare all’immaginario collettivo. La loro biologia è stata assunta in chiave prevalentemente antropomorfizzata, quasi come uno specchio, nel bene e nel male, di quanto lo scrittore stava   dichiarando circa le qualità, i destini  ma soprattutto le azioni del mondo degli uomini.

In La strategia della farfalla Marco Belpoliti presenta con abilità il mondo organizzato e infinitamente piccolo degli insetti con capitoli dedicati alle varie specie. Un viaggio in un universo che ci circonda e di cui raramente ci accorgiamo ma che rivela un’attrazione incredibile quando vi orientiamo la nostra attenzione.

Si tratta di una visita nel mondo degli insetti, nell’intento di Belpoliti,  per cambiare il nostro sguardo verso di loro e anche il nostro comportamento.

«Ci sono molte ragioni per cui è bene riflettere sul comportamento e sul destino di questi esseri minuscoli, di cui non ci occupiamo se non quando ci infastidiscono», sostiene lo scrittore, al quale  interessa osservare il mondo di esseri viventi infinitamente piccoli e  interrogarsi su quanto vi emerge. In tal senso ci si può domandare perché siano belle le farfalle, quale sia la percezione del tempo per una zecca, capace di resistere in immobile attesa della preda fino a diciotto anni, o stupirsi per l’elegante e variegata organizzazione sociale messa a punto dagli insetti, che richiama  aspettative e utopie mai del tutto realizzate dagli uomini.

La parte iniziale presenta una bellissima metafora di  William Osborne Wilson, padre della sociobiologia, in cui si narra che se tre milioni di anni fa un’astronave di scienziati alieni fosse atterrata sul nostro Pianeta, per saggiare le forme di vita presenti, avrebbe potuto osservare da vicino le operose api, termiti e formiche, concludendo che “gli insetti sono il culmine dell’evoluzione e gli invertebrati domineranno anche nei prossimi cento mega-anni”.

Così non è stato per la comparsa  sulla superficie terrestre dell’uomo che  si è evoluto diventando il padrone della Terra e insieme il suo possibile distruttore. Ma gli insetti sono ancora qui e costituiscono almeno i tre quarti dell’oltre milione di specie di animali viventi: nel “globo terrestre vi sarebbero un miliardo di miliardi d’insetti, duecento milioni di insetti per ogni essere umano”!

Come non restarne affascinati? Se non altro, come non cominciare a osservarli con occhi diversi?

Nel libro leggiamo in più passaggi, come affermano diversi studiosi, naturalisti, zoologi che saranno proprio gli insetti a dominare dopo l’autoestinzione del genere umano, tesi che l’autrice del presente articolo non auspica e spera non prospettarsi nel futuro.

Belpoliti ha dichiarato di aver cominciato a interessarsi degli insetti leggendo le opere di Darwin  e poi ampliando la loro conoscenza  attraverso le opere di Primo levi e Vladimir Nabokov. Pietra miliare sono stati inoltre gli studi dedicati al linguaggio delle api di Karl von Frisch e l’etologia, vera passione negli anni Settanta e Ottanta, lanciata dalle opere di Konrad Lorenz, ma anche i risultati di molti altri studiosi, tra cui  Bert Hölldobler, Celli e Fabre, sono racchiusi in queste pagine.  “La strategia della farfalla” ce ne illustra brevemente e suggestivamente le ricerche sui  mondi segreti di sedici tra insetti e altri piccoli animali intorno a noi.

Belpoliti  accompagna così i lettori in una passeggiata naturalistica tra formiche, api, vespe, farfalle, lucciole, coccinelle, scarafaggi, zanzare, mosche, pulci e via dicendo alla scoperta  della vita degli insetti e della loro organizzazione sociale, dei loro costumi alimentari e sessuali così come delle loro attività principali.

Un mondo, quello degli insetti,  di cui si evidenzia ordine, bellezza, capacità organizzativa e di costruzione di super-organismi collettivi perfettamente funzionanti, ma anche con tratti assurdi e feroci, volti al mantenimento della specie,  ma mai banali. Al noto proverbio per il quale, si sa, il diavolo si nasconde nel particolare, Flaubert, si sa un po’ meno, rispondeva che è Dio, semmai, a celarsi in esso, ha osservato Belpoliti in un’intervista. Per aprirci attraverso l’estremamente piccolo a orizzonti nuovi di conoscenza dove il dettaglio non è mai trascurabile, alla ricerca di minuzie e curiosità che verosimilmente nessuno di noi è abituato a osservare e catturare.

Di modo che possiamo affermare che per Marco Belpoliti esaminare la vita degli insetti, i loro linguaggi e comportamenti sociali, i rituali di corteggiamento, le danze nuziali  e attrazioni istintuali volte alla riproduzione appare come un ottimo modo per interpretare l’universo degli uomini, esponendo in che modo differiscono o somigliano all’uomo stesso.

Guida l’esplorazione entomologica una certezza: gli insetti ci potrebbero consentire di ridimensionare  certe nostre manie – definiamole pure così – di grandezza. “Siamo da questo punto di vista straordinariamente egocentrici; giudicare gli altri esseri viventi solo in rapporto alle proprie capacità intellettuali è un atto di presunzione”: per cui se è vero  che siamo dotati di intelligenza, si può notevolmente dubitare di quanto e come la usiamo, soprattutto se osserviamo lo stato in cui stiamo riducendo il nostro Pianeta.

Gli insetti usano l’istinto e ci stupiscono con i loro comportamenti innati che guidano le loro azioni, ma sono anche capaci di apprendere l’adattamento all’ambiente: “Non si tratta di esseri inferiori, dal momento che il loro livello di organizzazione è sul medesimo piano di quello dei vertebrati”.

 L’ orizzonte narrativo  resta però quello  dell’umanista, non quello  dello scienziato. Belpoliti coniuga così, in un’operazione culturale piacevole e arricchente, osservazione etnografica e scrittura letteraria mostrando come queste due pratiche, se sinergicamente condotte, costruiscono una panoramica densa di vitalità e prospettive ermeneutiche.

In questa minuziosa esplorazione, in questo viaggio naturalistico lo scrittore si fa accompagnare da illustri compagni di viaggio. Troviamo  Pasolini con la sua magica e irresistibile attrazione per le   lucciole, Kafka e il suo scarafaggio Gregor,  Calvino e la forza delle formiche,   Nabokov con i suoi giochi sui nomi delle farfalle, Faulkner che osserva parallelamente zanzare e  uomini, Deleuze per cui le zecche sono animali bergsoniani, che dilatano il tempo a seconda delle proprie esigenze alimentari.

Su tutti troneggia Primo Levi: ai suoi occhi curiosi e capaci di sorprendersi il mondo degli animali è risorsa letteraria, fonte inesauribile per la creazione scritturale. Da Levi il nostro riprende l’idea che occorra non attribuire agli animali meccanismi mentali umani né descrivere l’uomo in termini zoologici; la cosa giusta da fare e  semmai «entrare in comunicazione» con gli animali, non tenendo presente soltanto un traguardo scientifico,  ma per simpatia e senza arroganza.

Per non dare per scontato nulla, nemmeno gli insetti più antipatici. Fino ad arrivare all’interessante e sorprendente domanda su quale utilità abbiano le  fastidiose e temute vespe.  Questi imenotteri sono strutturati in società complesse ma qui, a differenza delle amate api, non c’è da produrre per gli uomini il benefico miele. Dunque “Perché vivere insieme nel nido?”

In esso vige il polimorfismo per cui alcune vespe, sia femmine che maschi,  diventano riproduttrici, altre hanno il semplice ruolo di operaie: tutte in ogni caso rivelano uno stupefacente, e direi invidiabile, grado di solidarietà sociale   perché “i problemi dell’individuo si fondono con quelli della comunità e da essa vengono risolti”.

Da qui discenderebbero comportamenti sociali altruistici orientati ad accudire le sorelle delle operaie sterili”. Esiste così un grado di accudimento maggiore tra sorelle (i maschi non ci sono, perché muoiono dopo la fecondazione delle femmine) che non con i propri figli. Stupendo accorgersi infine, rispondendo alla domanda iniziale, che sono proprio questi imenotteri che contribuiscono a diffondere i lieviti che fanno maturare l’uva: “senza vespe, niente vino”. Più utili di così!

A sorpresa l’ultimo capitolo – così è suddivisa la narrazione – curiosamente è assegnato ai ragni, che non sono insetti ma loro predatori. Ma come non riprenderne le movenze e i rituali? Sono finissimi ed estetici tessitori per poter essere predatori, come hanno dimostrato recentemente le tele della Nuova Zelanda, con ragni capaci di consociarsi per un’opera incredibile di tessitura naturalistica lunga 30 metri, che ondeggia al vento e crea scenari lunari. “Il filo di seta è un capolavoro fisico-chimico”. Per non parlare dei ragni in delirio, chissà in quale esperimento scientifico, per aver assunto Lsd: “cambiano il modo di tessere la loro tela, la fanno non più geometricamente perfetta ma mostruosa, storta, deformata, come le visioni dei drogati umani”.  

L’aracnofobia, ci racconta Belpoliti, non è una paura come tutte le altre. Levi ne era perseguitato e indicava l’origine di questo suo disagio in una incisione di Dorè  vista da adolescente e raffigurante il  canto XII della Commedia. Aracne, tessitrice che aveva sfidato l’orgoglio di Atena,  viene colta nell’atto di trasformarsi in ragna, mentre spuntano dal suo corpo le sei braccia pelose transitoriamente accostate nell’immagine di Dorè a quelle umane. “Un ibrido di cui Dante, nel lavoro dell’artista francese, sembra contemplare gli inguini: mezzo disgustato e mezzo voyeur. Come dargli torto?” La metamorfosi parziale introduce  una prossimità fisiologica ai limiti della ripugnanza;  la coesistenza del genere animale col corpo umano esprime  la continuità fra i regni della natura. Il ragno è vicino a noi, sembra dirci Belpoliti, più di quanto immaginiamo.

Il respiro del libro di Marco Belpoliti, proprio passando attraverso lo sguardo minuto dell’entomologo ripreso con simpatia dallo scrittore, è insomma assai ampio.

Qualcuno potrebbe rintracciare nella forma riflessiva e non solo descrittiva del testo  un riferimento non troppo celato al declino recente della categoria dell’antropocentrismo, in vista di una nuova concezione dell’uomo ma anche del grande e in fondo ancora non chiaramente conosciuto mondo naturale. Una natura che sempre più va inserita come parte integrante del pianeta cultura: nel rapporto con l’ambiente, il clima  e gli altri esseri viventi sul pianeta si gioca e si struttura la modalità di esistenza dell’uomo, della sua dignità, del suo essere “centro” ma anche  “custode e responsabile” dell’universo.  La stessa nozione di sopravvivenza globale della specie umana non può che essere inserita in un ecosistema che ci precede e dagli equilibri preordinati. Il rapporto tra gli uomini e tra gli uomini e la natura è allo stadio attuale dell’evoluzione un nodo di riflessione ineluttabile. Se non vogliamo consegnare il futuro del pianeta alle laboriose e “intelligenti” formiche!

Superando l’opposizione, dunque,  tra natura e cultura possiamo sperare di godere ancora per tanto tempo della bellezza strepitosa delle farfalle. E qual è la loro strategia?

Il vero miracolo delle farfalle è nella simmetria, nelle ali. La simmetria è il  risultato di uno sviluppo non perturbato”  e il colore delle membrane alari è un effetto chimico e fisico. Deriva da pigmenti e dalla luce riflessa dalle minuscole strutture lamellari che compongono le scaglie: una miriade di scaglie – disposte come tegole di un tetto – che rifrangono e deviano la luce. Il gioco della superficie e l’inferenza delle onde luminose viene costantemente modificato dall’angolazione di osservazione. Si generano così colori intensi, iridescenti, cangianti a partire dal punto di vista dell’osservatore, secondo una prospettiva che possiamo definire quantistica. Come dire che per ciascuno esiste la propria farfalla, un angolo esclusivo e personale di contemplazione della bellezza!

Come indica il titolo del libro di Belpoliti, le farfalle sono dotate di un’ottima strategia di sopravvivenza, fatto sottolineato dalle loro due nascite e due morti nel ciclo da pupa a insetto adulto. Paradossalmente viste da vicino le farfalle presentano un “volto” alquanto mostruoso con un boccale esagerato, grandi occhi senza pupille e antenne simili a corna. Potremmo asserire che hanno una parte frontale che ingrandita ci appare da film horror. Per la loro conformazione fisica, però, la testa non la notiamo, le ali sì.

Offrire il lato migliore, stupire e meravigliare volando in spazi dove siano perfettamente visibili, avere una struttura lamellare di alta ingegneria naturalistica non è forse un’ottima strategia per presentare al mondo ciò che di bello le connota, oscurando il loro limite?

Mostrare la propria bellezza, qui da intendersi come sensibilità, intelligenza, capacità di relazione e cura sociale, creatività e quant’altro,  minimizzando i lati brutti o che semplicemente non ci piacciono   è sicuramente un’ottima strada anche per noi esseri umani.  Dare visibilità a ciò che possediamo come punto di forza, donare il meglio di noi sapendo che siamo creature meravigliosamente organizzate, pensanti e cariche ogni giorno di nuova vitalità – per quanto breve possa essere il nostro cammino – non potrebbe ampliare la prospettiva della nostra percezione interiore? La strategia della farfalla  non offre forse spunti di nuova contezza in rapporto al nostro modo di percepirci e relazionarci nell’ambito sociale?

Relazionarci con le farfalle ci invita a esprimere intensamente la nostra “personale bellezza”, ovunque noi siamo.