Archivi tag: Avanguardia Operaia

Anni ’70. Sconfitti sì, pentiti no.

di Ennio Abate

Ho letto negli ultimi giorni varie reazioni alla presa di posizione della filosofa Donatella Di Cesare in occasione della morte di Barbara Balzerani. i E mi sono chiesto perché noi ex della nuova sinistra torniamo sull’argomento del lottarmatismo degli anni ’70, anche quando siamo fuori gioco rispetto all’attuale svolgimento della lotta politica.
E mi chiedo anche perché i commenti su quelle vicende non riescono ad andare, ancora oggi, oltre la demonizzazione dei brigatisti e l’assoluzione dei governanti d’allora.  Mi ha colpito anche che quanti hanno difeso almeno il diritto d’opinione della Di Cesare  diano per scontato il giudizio negativo sul lottarmatismo (o terrorismo) ma tacciano su come lo Stato lo abbia vinto e abbia  vinto anche le formazioni politiche della nuova sinistra (Avanguardia Operaia, Lotta Continua, Pdup, MLS) che il lottarmartismo criticarono. E, cioè, non accennino più ai danni subiti dalla democrazia italiana proprio da quella vittoria dello Stato..ii Ancora nel 2024, dunque, il dibattito non può uscire dall’oscillazione: compagni criminali o compagni che sbagliarono. (E a sbagliare oggi sarebbe la Donatella Di Cesare) . Continua la lettura di Anni ’70. Sconfitti sì, pentiti no.

Eravamo con gli operai

 

In morte di Vincenzo Martinelli

in questa sempre brutta periferia
inermi e senza più compagnia
signora Morte ci trascina via

a cura di Ennio Abate

Questa testimonianza sulla vita di Vincenzo Martinelli la raccolsi nel 2018 in vista della preparazione del libro STORIE DI PERIFERIE. COLOGNO MONZESE NEGLI ANNI ’70 a cura del gruppo “on the road” – edizione fuori commercio 2020.
Vincenzo delinea un percorso comune nei decenni ’60-’70: dalla condizione iniziale di isolamento, vissuta da migliaia di immigrati dal Sud diventati al Nord operai in fabbrica – per lui  in quel piccolo inferno dell’hinterland  milanese (la Manuliplast di Brugherio) –   Vincenzo si ritrova a vivere un momento esaltante e straordinario di rivolta e di vera democrazia (’68-’69). Scopre la politica e il sindacalismo. E diventa un militante politico di base, un leader legato alla sorte degli operai.
Poi percorrerà – sempre come tanti –  la via crucis  della sconfitta: perdita del lavoro, difficoltà economiche, sbandamento. E dovrà accorgersi – con quanta sofferenza non lo dice, lo lascia intuire – che la passione sua e dei suoi compagni e la prospettiva che si potesse cambiare  o addirittura rivoluzionare la fabbrica e l’intera società erano state presto riassorbite e cancellate. Con le stragi e la strategia della tensione. Con i compromessi  e le scelte moderate delle organizzazioni che controllavano e guidavano le lotte operaie (PCI e Sindacato). Con l’estremismo  suicida e omicida delle formazioni armate (Brigate Rosse e altre) che, coinvolte in modi tuttora misteriosi e controversi nel rapimento e nell’uccisione di Aldo Moro, ebbero comunque un effetto certo: chiudere la bocca a lui, agli operai e a migliaia  di militanti della Sinistra (storica o nuova).
Anche Vincenzo si dovette adattare alle condizioni degli sconfitti. Dopo gli anni Settanta s’impegnò nel volontariato e si occupò di patronato da sindacalista scrupoloso e attento alla difesa quotidiana dei lavoratori. 

Rileggo oggi questa testimonianza nel momento di lutto per la sua morte. La trovo sobria e sincera. E’ soprattutto ricca di riferimenti puntuali  alla durezza, alla nocività, ai rischi per la salute (e a volte per la vita) del lavoro in fabbrica. Vincenzo non taceva sulla sua gestione militaresca da parte dei dirigenti aziendali. E neppure sulla repressione antioperaia da parte di carabinieri e magistratura. Questo è il vero nucleo di verità collettiva e storica vissuta e incisa nella sua memoria. Sul resto, quando svela un certo antintellettualismo sia pur temperato dall’amicizia o una diffidenza e un rifiuto quasi  morale verso le esperienze giovanili  o femministe o più culturalmente americanizzate (cfr. il giudizio verso l’esperienza del Circolo la Comune  e anche dell libreria Celes) mi pare a disagio e troppo guardingo. Nel rielaborare la sua storia non ha mai potuto o voluto abbandonare la nostalgia per la sua giovinezza  di militante politico («Posso dire che sono rimasto ideologicamente di AO»). Come se  fosse rimasto per sempre legato alla durezza di quel mondo  operaio scomparso, che l’aveva accolto e riconosciuto come leader. E forse alla matrice contadina originaria e profonda del Sud. Due ragioni del suo rifiuto istintivo delle seduzioni ambigue di quel desiderio dissidente (Fachinelli), dilagate  tra i giovani e le donne. Da considerare, comunque, con grande rispetto. [E. A.] Continua la lettura di Eravamo con gli operai

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I numeri del “quotidiano”

QdL Testata small

Cliccare sul numero per visualizzarlo. Una volta visualizzato si potranno cercare specifici termini nel numero visualizzato o si potrà stamparlo o scaricarlo. La digitalizzazione è a cura dell’ Archivio Storico della Nuova Sinistra LinkEsterno “Marco Pezzi” di Bologna.
Nell’elenco sono presenti anche numeri delle riviste “Avanguardia Operaia” e “Politica Comunista” (vecchia e nuova serie) e verranno archiviati numeri dei “Quaderni”.

a questo link

https://www.quotidianodeilavoratori.it/?fbclid=IwAR2dRwAJ9sZNKDV2njgBko2EgMT-KYWbe4phi0dkEGLLjBPlC2uzgBn24gA

Fachinelli e/o Fortini? (1)


Per un libro da scrivere

di Ennio Abate

Prima parte

ELVIO FACHINELLI, IL DESIDERIO DISSIDENTE
(QUADERNI PIACENTINI N.33 - FEBBRAIO 1968)

Dietro front. Torno al 1968. In quell’anno lessi pure «Il desiderio dissidente» sul n.33 – febbraio 1968 dei «quaderni piacentini». Un saggio calato – oggi direi: quasi affogato –   in un presente che allora ribolliva.  Fachinelli parlava di «movimenti di dissidenza giovanile del nostro e degli altri paesi ad alto sviluppo industriale». Li  diceva fragili nei «contenuti programmatici» e nei «comportamenti», ma tenaci: non si facevano riassorbire dal Sistema, dal Potere. Diceva. Ma chi era per me, che partecipavo all’occupazione della Statale di Milano (qui), Elvio Fachinelli e che effetti ebbe su di me quella lettura? Un nome che sentivo per la prima volta, uno psicanalista. Visto appena – una sola volta, mi pare nel 1988 –  vent’anni dopo  tra il pubblico della Casa della Cultura di Via Borgogna. E, quando lessi quel suo saggio, sulla psicanalisi avevo al massimo curiosità, sospetti o idee libresche e incerte. Forse, se non fosse stato pubblicato sui «quaderni piacentini»,  neppure l’avrei  notato. Perché l’ideologismo della politica al primo posto, impostosi per tutti gli anni  Settanta, mi aveva  raggiunto e  preso in ostaggio. Continua la lettura di Fachinelli e/o Fortini? (1)

Un compagno perso di vista

Ricordando Lucio Paccagna

di Ennio Abate

Lucio Paccagna era nato il 19 marzo 1955 in provincia di Padova, a Megliadino (poi dal 2018 Borgo Veneto, un comune di circa 7000 abitanti nato dalla fusione dei comuni di Megliadino San Fidenzio, Saletto e Santa Margherita).  La sua famiglia di origini contadine immigrò dal Veneto nel milanese nel 1961. Suo padre  fu operaio  alla Falk di Sesto San Giovanni e sua sua madre casalinga.  Poi si aggiunse Carlisa, una sorella più piccola.  Già da studente del Settimo ITIS di Milano, durante le vacanze estive, fece lavori di facchinaggio (“partiva la mattina e arrivava alla sera”) o d’altro tipo e sempre temporanei in piccole ditte.  Per pagarsi i libri e per aiutare la famiglia. Diplomatosi in meccanica nel 1974, fu assunto in un’azienda elettronica, la Marconi S.P.A. di Milano. In un primo tempo come addetto al settore automazione e strumentazione di  qualità, passò poi all’ufficio acquisti e  ne divenne responsabile. Al Settimo ITIS ebbe i primi contatti  politici con  militanti di Avanguardia Operaia, che lì  operavano; e fu in prima fila nelle lotte studentesche d’istituto. Poi, da quando cominciò  a lavorare, svolse attività sindacale come delegato nel consiglio di fabbrica; e fu attivo per oltre 30 anni nelle RSU (Rappresentanze Sindacali Unitarie, istituite nel 1998). A Cologno Monzese, dove  ha  abitato,  partecipò alla Commissione piccole fabbriche della cellula di Avanguardia Operaia. Nel 1976, anno della scissione di quella organizzazione, entrò in Democrazia Proletaria e fu  consigliere di zona dal 1985 al 1990, per continuare poi la sua militanza in Rifondazione Comunista per circa 15 anni, sempre restando iscritto alla CGIL. Pensionato, nelle ultime elezioni  a sindaco di Cologno Monzese nel 2020,  fu nella lista di Sinistra Alternativa. Continua la lettura di Un compagno perso di vista

Dieci anni di IPSILON


Peripezie  di un’associazione culturale a Cologno Monzese

di Ennio Abate


Lavorando al mio Riordinadiario,  ritorno sulle «peripezie di Ipsilon». Ne avevo scritto a caldo già nel 1999 in Samizdat Colognom n. 2 (“foglio semiclandestino per l’esodo”) e poi nel 2009 (qui ). Ad ogni rilettura mi rifaccio le stesse domande: perché  ci dividemmo? era inevitabile? cosa non capii io o non capirono gli altri le altre (qui sopra nella foto)?
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«Cosa farò da grande?»

 Riordinadiario 2009. Una riflessione sul lavoro culturale e politico “sott’acqua” di Attilio Mangano

di Ennio Abate

Oggi 10 aprile 2022 Facebook mi ha ricordato che sono passati ben 6 anni dalla morte di Attilio Mangano.  E io ho pensato ancor di più che la nostra storia  si è disfatta. Beh, almeno siamo stati amici e ci siamo detti delle verità. Poi  ho aperto  la cartella del mio carteggio con lui e,  per ricordarlo meno sbrigativamente, pubblico questo scritto che gli avevo dedicato per festeggiare ( a modo mio) il compimento dei suoi 64 anni. [ E. A.] Continua la lettura di «Cosa farò da grande?»

Nel tumulto del 1968

“Nei dintorni di Franco Fortini”. Capitolo 1

di Ennio Abate

 si spandea lungo ne’ campi 
Di falangi un tumulto 
(Ugo Foscolo, Dei sepolcri)

 È  curioso, ma prima del 1968 il nome di Fortini non compare nei miei scritti [1]. E non c’è traccia del suo nome nella mia memoria prima dei due ricordi che ho riferito rievocando la mia partecipazione da studente lavoratore all’occupazione della Statale di Milano nel ’68 (qui): Continua la lettura di Nel tumulto del 1968

Appunti  sulla storia di AO

di Ennio Abate

Meglio la malinconica consapevolezza di una sconfitta. Meglio la dignitosa riflessione di un intellettuale che contribuisce alla lotta con l’esperienza maturata in un’altra epoca.

(Fabrizio Billi e William Gambetta, Massimo Gorla una vita nella sinistra rivoluzionaria,  pag. 90, Centro Documentazione di Pistoia)

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