COME CI SIAMO ALLONTANATI (ANCHE DA FORTINI)
di Ennio Abate
«E questo ci permette anche di vedere chiaramente cosa ci divide da lui. L’omogeneità lineare e accelerata del tardo capitalismo abita le nostre menti come una seconda natura. Lo abbiamo visto in questi anni di pandemia: al netto dei traumi subiti, far fronte alla catastrofe ha significato ristabilire quanto prima la possibilità che il futuro sia in continuità con il pre-catastrofe. […] Ciò significa che anche i vivi dovrebbero avere la capacità di porsi in attesa: ma questo può avvenire se vi è una visualizzazione del futuro, un’ipotesi da immaginare. Noi cosa attendiamo? (Bernardo De Luca, qui)
Eppure «l’omogeneità lineare e accelerata del tardo capitalismo» c’era anche ai tempi di Panzieri e Fortini. Come mai non abitava quelle menti «come una seconda natura» come abita oggi «le nostre menti»?
Suggerirei a LPLC2, visto che a settembre festeggia i suoi dieci anni, di passarsi la mano sulla ideologia postmoderna che è imperversata nel 99% degli articoli pubblicati. (E basti contare gli articoli dedicati in questi altri “dieci inverni” a Fortini).
P.s.
@ Bernardo De Luca
A questo link (qui) una mia lettura del 2004 quasi sullo stesso tema della sua lectio magistralis (per un eventuale confronto-dialogo) e qui sotto lo stralcio delle mie conclusioni di allora:
«Si dirà che forse è sbagliato chiedere ai testi di Fortini del ’90 o precedenti delle indicazioni politiche concrete e per una situazione ancora più deteriorata. O che egli non fu un politico puro. Ma di sicuro in quei testi ci sono antidoti validi contro la cancellazione della memoria storica di qualsiasi tradizione del comunismo, contro la sua riduzione a pura aspirazione o nostalgia o contro l’annebbiamento ideologico del capitalismo, che sarebbe diventato soltanto un «enorme guazzabuglio» e si sarebbe «annullato diventando tutto» (Sofri). E anche contro la riduzione della politica a «militarizzazione o ceto politico autoriproducentesi» (Rossanda). Dobbiamo sapere che tanto silenzio non è legato a fattori contingenti. Quello calato su di lui è in buona parte lo stesso silenzio che incombe oggi sulle “rovine” del socialismo/comunismo, di cui egli chiese invano negli ultimi anni di vita un “buon uso” da parte della Sinistra italiana. E proprio perché “lo scandaloso Fortini è così intrecciato con la storia – non solo culturale e non solo italiana – del Novecento” (Bonavita) e la storia del Novecento è stata scossa dai tentativi comunisti, a cui egli legò le sorti della sua persona e delle sue opere, dobbiamo anche sapere che quel silenzio non si romperà, se non si riporranno in forme nuove e per il momento incognite quei problemi affrontati nelle esperienze comuniste. Nel frattempo le nostre riletture dell’opera di Fortini dovrebbero evitare le trappole dell’imbalsamazione o dei dissezionamenti. Non mi pare possibile ritagliare la sua figura dal difficile ripensamento della storia del comunismo. Qualcuno, però, potrebbe obiettare col cinismo oggi di moda: “Ma dai, Fortini sarà stato comunista, ma il comunismo è morto, quindi anche una parte di Fortini è morta. Salviamo il poeta, il saggista intelligente, il polemista acuto; e lasciamo da parte il suo comunismo, il suo abbaglio, la sua fede. Viva è la sua poesia, come viva ancor oggi è la poesia di Dante. Morta è la sua ideologia, come morto è il cattolicesimo di Dante”. Direi che bisognerà respingere questa semplificazione: troppo essenziale è, a mio avviso, quel legame fra Fortini e la vicenda comunista del Novecento, pur da lui declinata esistenzialmente in modi particolari. Un Fortini poeta e basta, un Fortini senza la sua volontà di essere comunista, da collocare in un contesto modernizzato e ipertecnologico sarebbe una decorazione, come lo è stato Dante in epoca moderna. Meglio, allora, che resti anche lui un marziano: inattuale, classico, ecc. piuttosto che alloggiato nei loculi predisposti per i “cattivi maestri” su Internet. Se arriveranno dei marziani comunisti, lo riconosceranno e tornerà a parlare.» Ennio Abate 6 settembre 2004