in «Lasciare un segno nella vita. Danilo Montaldi e il Novecento»
a cura di Goffredo Fofi e Mariuccia Salvati (4)
Suntino e stralcio a cura di Ennio Abate
Bruno Cartosio è stato prima lettore di alcuni libri di Montaldi e, più tardi, l’ha conosciuto di persona. Qui, in forma autobiografica, narra di quando lesse «Milano, Corea», tra 1963-1965, studente alla Statale di Milano ai tempi in cui vi insegnavano Dal Pra, Berengo e Gambi. E così scoprì che la metropoli milanese aveva anche un’altra faccia, quella degli immigrati dalle zone povere d’Italia (pag. 186). Ad «Autobiografie della leggera», pubblicato nel 1961, ci arriva subito dopo, nel 1971. Dopo essersi recato, nel 1969, negli USA e essere stato in Canada per due anni come insegnante. Qui si era imbattuto in «Marty Glabermann, ex operaio, studioso e militante, ex trockista a cui faceva capo un gruppo operaio e intellettuale marxista» (pag. 191), che lo aveva messo al corrente di un destinatario italiano – Montaldi, guarda un po’! – a cui spediva la sua/loro rivista «Correspondence». E Glabermann accompagna a Cremona nel 1974 per conoscere, con lui e di persona, Danilo Montaldi. Nella sua testimonianza Cartosio dice molte altre cose interessanti: – come la sua formazione di studente (allora legato al PCI) e poi di storico ricevette stimoli e suggestioni dai libri di Montaldi (nel 1965 intervistava “alla Montaldi” alcuni vecchi partigiani); – come si addentrò nel campo della etnomusicologia assieme a quelli del Nuovo Canzoniere Italiano (Bosio, ecc.) e dell’Istituto Ernesto De Martino (Coggiola, ecc.), o in quello (nascente) della storia orale (Bermani, Portelli); – come queste esperienze in Italia s’intrecciarono con la rete della «nuova storia sociale» statunitense: quella operaia di Gutman e quella di Rawick, l’autore di «Lo schiavo americano dal tramonto all’alba». C’è un troppo veloce accenno alla polemica, secondo me da scavare, tra il mantovano Bosio e il cremonese Montaldi. E, però, Cartosio riconosce in pieno la funzione di pioniere che Montaldi ebbe in queste vicende: «che la storia collettiva è fatta di storie individuali – non solo dei dirigenti ma anche dei militanti di base, non solo dei militanti di base ma anche dei lumpen, non solo del passato ma anche del presente – il primo a dirlo era stato Danilo Montaldi, a partire dal 1960» (pagg. 194-195).
Stralcio: