Nel numero 171-172 della rivista Erba d’Arno, diretta da Aldemaro Toni, è stata pubblicata questa mia recensione al libro di Sonia Serazzi, Non c’è niente a Simbari Crichi, che ci tengo in modo particolare a far conoscere ai lettori di Poliscritture. La scrittrice è nata a Napoli nel 1971 e vive in un piccolo paese della Calabria, dove è tornata per scelta dopo essersi laureata a Perugia. Questo è il suo libro di esordio uscito nel 2004, che sempre l’editore Rubettino ha ripubblicato nel 2020. Ne sono arrivato a conoscenza leggendo il saggio La restanza dell’antropologo Vito Teti (Einaudi 2022), dove viene citata insieme ad altri autori per questo loro, non so se chiamarlo desiderio oppure bisogno, così lo chiamo incontro con la realtà dei piccoli paesi dell’entroterra non toccati dal turismo, che vivono il loro lento abbandono e spopolamento in una indolenza che sembra abbia la forza di sospendere il tempo. Oltre al libro interessato da questa recensione la Serazzi ha pubblicato, sempre per Rubettino, il romanzo breve E le ortiche c’hanno sempre ragione (2006) e Il cielo comincia dal basso (2018). Buona lettura… (a. a.) Continua la lettura di Su “Non c’è niente a Simbari Crichi”
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Diario d’ospedale 1977
Riordinadiario
Con qualche esitazione per i rischi di narcisismo che potrebbero esserci in queste pagine, pubblico il pezzo del mio Riordinadiario riferito ad alcuni mesi cruciali di un anno, che – sia sul piano personale che politico – ha segnato un taglio traumatico delle speranze di maturità inseguite nel decennio precedente. Il corpo che s’ammala è – che coincidenza! – il mio e quello sociale e politico della “nuova sinistra”, nella quale mi ero fino ad allora riconosciuto. Le note registrano il brancolamento di un io estratto di colpo dalla vita quotidiana, non certo facile ma in apparenza più rassicurante di quella ospedalizzata. Contro la minaccia di cecità da intendere sia sul piano fisico e materiale, sia su quello politico e sociale (in entrambi i casi i segnali sembrano non poter più arrivare come prima) ma forse anche – ahi, Saramago! – su quello simbolico, l’io riconosce la sua fragilità e tenta di reagire come può. [E. A.]
Continua la lettura di Diario d’ospedale 1977Punti di vista
di Giorgio Mannacio
Il titolo – deliberatamente modesto – vuole sottolineare come ciascuno di noi manifesti, quale che sia il suo campo di osservazione, atteggiamenti e opinioni largamente influenzate dalla propria storia. Anche quest’ultimo vocabolo viene qui utilizzato in una versione modesta. Con esso non si allude alla catena degli avvenimenti importanti ai quali ha assistito o ai quali ha partecipato ma a tutti quegli elementi della sua esperienza . Questa può consistere sia in avvenimenti visti o vissuti.
Sia in tracce culturali sia infine in superstizioni fossilizzate come verità. Questo percorso di esplorazione ci porta a spiegare i comportamenti e le opinioni . Altro è il problema della loro giustificazione in base a “ valori “ .
Continua la lettura di Punti di vistaIl 25 aprile nella mia memoria
Bella la via imboccata da Giorgio Mannacio: partire dai segni che la storia imprime nella memoria dei singoli e poi connetterli all’oggi, ai pensieri o ai dubbi che ci travagliano su quello stesso passato/presente/futuro. Per incoraggiare altre riflessioni simili in Appendice aggiungo gli appunti di lettura tratti dal magnifico libro di Claudio Pavone, «Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza», che ho finora pubblicato in “Poliscritture su Facebook” in coincidenza con le polemiche (non solo locali) che ogni volta la celebrazione del 25 aprile suscita. L’intento è collegare memoria e storia, sentimenti e ragionamenti dei singoli a sentimenti e ragionamenti in nome del *noi* possibile. [E. A.]
di Giorgio Mannacio
1.
A chi leggerà questo scritto raccomando vivamente di saperne definire i modestissimi limiti individuando in esso ciò che può servire e ciò che non può o non deve servire. Continua la lettura di Il 25 aprile nella mia memoria
Sulla poesia di Eugenio Grandinetti
di Luciano Aguzzi
Pubblico, come anticipato, questo articolato intervento di Luciano Aguzzi sulla poesia di Eugenio Grandinetti. Era stato inviato in un primo momento come semplice commento al post La storia/le storie (qui) ma i temi affrontati (pessimismo, nichilismo, rapporto tra poesia e prosa, memoria) meritano tutto il rilievo che un blog di ricerca critica può offrire. [E.A.]
L’amico e collega Eugenio Grandinetti (Belsito, Cosenza, 20 marzo 1931) è sulla breccia letteraria da parecchi decenni e autore di circa quaranta raccolte, solo in minima parte edite. E anche delle edite, solo due sono in commercio, mentre le altre sono edizioni fuori commercio e introvabili. Per darne un giudizio complessivo sarebbe necessaria una lunga riflessione sulla qualità e sulle forme letterarie, sulle tematiche affrontate, sulle ragioni (se esistono, come io credo) della sua prolificità che, con l’età e i molti problemi di salute, non si è attenuata, quasi ad esprimere un desiderio, forse una vera ansia, di dire tutto finché ha tempo, in una condizione in cui il tempo – per lui – sembra ormai identificarsi proprio con lo scrivere e l’esprimersi in versi. Nella sua poesia si avverte la sua concezione naturalistica – materialista – atea e il non credere a qualche tipo di sopravvivenza oltre la morte. Da questa concezione filosofica deriva un tormentato pessimismo che, a differenza del naturalismo ateo e materialistico classico al quale pure Grandinetti si rifà, non trova quiete nella contemplazione della natura e nella considerazione della necessità delle cose e del destino, ma anzi tende a interpretare il ciclo della natura come metafora di un eterno ripetersi senza scopo del mondo e della vita umana. Ripetersi aggravato, non arricchito, dalla consapevolezza (dai desideri, dalle passioni, dalle illusioni) da cui deriva la sofferenza che la natura inconsapevole, almeno, evita. C’è però, implicita e per me evidente, una sensibilità che presuppone il cristianesimo, o almeno la sensibilità religiosa post-classica. Continua la lettura di Sulla poesia di Eugenio Grandinetti
Calabria nei miei pensieri
di Eugenio Grandinetti
Le poesie e la nota in appendice
sono tratte dall’ Ebook omonimo (scaricabile qui)
Le castagne
Quando d’autunno i ricci si spaccavano
al mattino in paese era un fervore
di voci che si affacciavano dagli usci,
si aspettavano sulla soglia e tutte insieme
si avviavano in montagna alla raccolta
delle castagne che già cascolavano. Continua la lettura di Calabria nei miei pensieri
Appunti su «Viaggi» di Eugenio Grandinetti
di Ennio Abate
1.
«Viaggi» è smentita e critica indiretta del viaggiare reale (e dell’ideologia del “nuovo” che al viaggio spesso s’accompagna). L’io poetante che parla in questi versi, infatti, dichiara subito d’essere stato uno scrittore sedentario e offre un bilancio dei viaggi mentali da lui compiuti sul «foglio bianco di carta». Di altri possibili viaggi, non avvenuti e per giunta imprecisati, apparentemente si rammarica. Accampando ragioni alquanto generiche («Ci sarebbero stati altri percorsi,/ ma infermo era il proposito/ e la meta era incerta» (13), che paiono in contrasto con la ragione profonda (e filosofica) della sua scelta sedentaria desumibile dal senso generale della sua stessa poesia. Continua la lettura di Appunti su «Viaggi» di Eugenio Grandinetti