di Paolo Di Marco
Non è possibile scordare l’emozione che ti afferra quando leggi la storia descritta da Braudel; già nella sua prima grande opera, ‘Civiltà e imperi nel mediterraneo all’epoca di Filippo II’ tutto il primo libro è dedicato alla geografia fisica del Mediterraneo, a come questa faceva nascere popoli e abitudini di vita e commerci e rotte. Ma così facendo costruiva anche una sorta di paesaggio di cui questi erano gli elementi costitutivi, i parametri di uno spazio a molte dimensioni lungo cui scorreva la storia, le gole che indirizzavano il percorso obbligato degli accadimenti. Alla fine la politica e le scelte erano il risultato di questo percorso; come succede nei fiumi reali ci sono lanche e punti di svolta legati a piccoli elementi, a inciampi occasionali, ma come in tutte le scelte vere emergono là dove le possibilità si riducono, quando i numerosi parametri liberi si riducono a uno o due.
Con Hiroshima tutto questo finisce.
La potenza distruttiva di una bomba che rade al suolo città intere annulla tutto il paesaggio storico, la sua ricchezza di parametri e determinazioni, lasciando il destino intero dell’uomo alla mercè di un idiota col cappello da cowboy (come ci racconta Kubrick). Certo, i canyon, le cascate, le gole rimangono, ma son diventate diafane e fragili. Le allodole continuano a cantare, ma a volte si interrompono, tengono il fiato sospeso.
La scienza, quel semplice E=mc2 ci ha fatto questo.
In quali altri guai (o promesse) di dimensioni planetarie è implicata? Continua la lettura di Androidi, Bombe e Sciami: la scienza in piazza senza ombrello