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Quattro poesie da “Tre regni”

di Cristiana Fischer

Dall’appena pubblicata (su You Print) e a prima vista smilza e sommessa raccolta di poesie di Cristiana Fischer ho scelto di segnalare questi quattro testi. E, dunque, quattro temi: Il vento (“re sonoro”); la casa abbracciata da “alberi giganti”; il fiducioso desiderio di “credere” e di “sapere”; la vecchia in meditazione sulla “sua morte” e su “un doppio sé impensabile”. Lì ho estratti (non proprio a caso ma con un certo arbitrio) dalla prima lettura che ho fatto. Ma – occhio al titolo della raccolta e al termine “regni”! – alla ineludibile tripartizione scelta dall’autrice andranno ricondotti in seconda o terza lettura per svelarne gli enigmi allegorici, che mi pare di cogliere. [E.A.]

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Un’orchestra sul Titanic

di Cristiana Fischer

Diversi strumenti musicali compongono nell’orchestra una ricca tavolozza timbrica. Ci sono i suoni gravi e vibranti che danno una colorazione drammatica al discorso, insieme al corpo centrale degli archi che lo sostiene con continuità e senza interruzioni. Il discorso ininterrotto cui mi riferisco è quello che trasmettono imperterrite tutte le fonti di comunicazione scritte, orali e  visive, sui canali ufficiali delle tv, di stato o quasi (come sono quelle dei grandi gruppi privati), più la selva di fonti diffuse, come gli alberi le rocce e i rivi di una larga foresta che corrisponde all’intrico dei social. È il discorso della guerra, al 99% impegnato a sostenere la validità di un quadro che non si smette di abbellire e rafforzare: la povera Ucraina invasa dal rabbioso capo russo.
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2022. Notte di Capodanno in Piazza Duomo a Milano

Questi sono i primi  cinque interventi di una riflessione che  speriamo corale su un episodio di cronaca che sembra, come altri consimili,  paralizzare e azzerare le nostre già affaticate capacità di  pensare e agire sugli sconvolgimenti in atto nella nostra vita sociale. Altri  sono in arrivo e verranno pubblicati mano mano. [E. A.]

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Addii

di Cristiana Fischer

Ci si innamora del corpo della figura della voce del brillio degli occhi e delle pieghe del sorriso prima di tutto, dei colori, del tessuto muscolare, dello scatto degli arti, dell’andatura e delle posture di riposo. Attira il corpo che traspare dalla maschera sociale.

Non è vero che lei mescoli tutto nella piazza memoriale, che non attribuisca a ognuno il suo incarnato specifico. Piccola e calda, anche il suo ultimo frutto è perfetta. Si ferma a  osservarla ancora un poco. La ha nutrita per l’ultima volta prima di affidarla alla sorella,  (matertera, l’altra madre) per la festa. Pare che la piccola sorrida, un “sorriso del latte”che manifesta il suo benessere. Esplora il colore e la consistenza della pelle, la sfumatura cupa che si alleggerisce in un tenue rosato sulle tempie. Altre volte, per i figli precedenti, è stata la voce che la ha riportata indietro con un balzo, a un fratello proprio e a quaranta anni in precedenza.
Come discriminare le differenze nella eredità dei doppi patrimoni genetici che ogni volta producono la creatura unica?
– Ti ho portato la bambina in tempo per la festa. [1]
– Verrà con me anche la tua prima figlia. Porterà il figlio del proprio fratello, il ragazzo che hai partorito tre anni dopo di lei.
“Moltiplicherò la tua discendenza come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare” [2] le ha detto la dea e la ha colmata di figli e benedizioni in abbondanza. Come se l’umanità femminile dovesse insegnare la creaturalità prima di tutto, con la sua fragilità mortale. E quindi, in quella bellezza musicale e armonica, trovare una pace che tutti ci conforti.
– Non ricordo più niente di lei né dei figli successivi.
Ora dimenticherà anche questo ultimo corpicino caldo di femmina, che sa destinata a partorire generazioni successive.

Stamattina la valle era colma di nebbia ed emergevano solo i cocuzzoli e qualche cresta con la doppia fila di case sui bordi della vecchia mulattiera. L’isolamento era cominciato dalla strada che saliva verso le valli interne. Successe dopo le piogge di novembre, era franato un pezzo di monte sulla strada che collegava il paese a quello dopo, che rimase collegato alla costa solo attraverso un percorso più lungo, tra due valloni infestati di canne e ginestre, che ogni estate prendevano fuoco.
La strada ostruita si inerpicava tra un antico rimboschimento e arrivava a un altopiano di piccoli colli verso rilievi più alti, che man mano si spogliavano di vegetazione fin che si restava davanti a una ritta parete di roccia, con alcune creste isolate. La frana era consistente, ragione per cui occorrevano mezzi e numerosi uomini, prima per spostarla e poi per imbragare con reti di acciaio il fianco a spuntoni del monte, addossando intanto in basso cassoni di pietre.
Arrivò presto la neve e l’anno finì con le notizie precise arrivate dalla Provincia. Dopo Capodanno si cominciarono a cercare le coperture per finanziare i lavori dato che le province, cui spettava l’esecuzione, erano state abolite ma gli uffici per sostituirle non erano ancora stati incardinati. La primavera successiva non iniziarono i lavori perché non si doveva turbare la nidificazione dei nibbi che allevavano la loro prole. Intanto i finanziamenti erano stati dirottati su impegni più urgenti. Poi si smise di pensarci.
Quando si fonderanno i ghiacci dei poli e si alzerà anche di poco il livello dei mari i paesi arroccati emergeranno come isole in un lago, e il medico di base, che si sta attrezzando per raggiungere le sue località di servizio con un cavallo, dovrà ricorrere a una barca sperando che intanto abbia imparato a destreggiarsi.

Tutto precipitò quando furono proclamate, dopo molti anni, finalmente le elezioni. Già allora i circa mille abitanti di ciascun paese si erano abituati alla immobilità. Erano ormai quasi tutti vecchi, i pochi giovani si muovevano improvvisando percorsi erratici con i trattori lungo i costoni o sulle banchine naturali di pietre deposte dalle piene lungo i torrenti.
I vecchi erano divisi, molti erano ridiventati come l’avaro di Molière o sior Todaro di Goldoni: padroni avari e comandoni, non accettavano niente del nuovo mondo che sfilava in TV davanti ai loro occhi catarattici, in tutto era peggiore di quello che avevano combattuto o sfruttato da giovani. Disprezzo apocalittico verso il presente.
Le donne vecchie e giovani lavoravano con le mani, il cibo le vesti gli oggetti utili ogni giorno, e chiacchieravano insieme. Alla stupidità dei mariti appena se ne accennava, per condividere qualche risata che era amarezza in quella solitudine.
Ai partiti nuovi e vecchi non parve vero di avere circoscrizioni di vecchi immobilizzati da visitare con l’elicottero, rapidamente e con parsimonia. Promettere qualche sollievo: una futura riparazione del ponte, il riempimento di una voragine, una deviazione per la strada crollata.

Il medico arriva a cavallo attraverso le frane e i boschi. Quando il corpo attivo e sano comincia a presentare qualche smagliatura allora si corrono seri rischi. Non di ammalarsi (precipitando lungo un tobòga di crescenti infermità di debolezze e inabilità a provvedere a sostenersi in proprio) ma il rischio di entrare in un cannocchiale che si snoda in differenti stadi successivi di osservazioni esami accertamenti approfonditi e in cui la vita sarà istradata tra sponde estranee ai percorsi scelti fino ad allora. Come rispose  Socrate al tribunale che gli chiedeva come si autovalutasse? “Che cosa merito di patire perché sono così? Qualcosa di buono, cittadini ateniesi, se in verità si deve ricompensare secondo il merito; e qualcosa di buono che mi si addica. Che cosa si addice a un uomo povero che vi ha fatto del bene e che ha bisogno di tempo libero per la vostra istruzione? Non c’è nulla che si addica di più, cittadini ateniesi, di una pensione nel Pritaneo”.[3]
Nel grande ciclo della vegetazione che risorge dal fuoco solare solo i semi sopravvivono nella terra scura. Bruciano le erbe secche, le foglie appassiscono e diventano una grigia rete di polvere.
La dea assicura alla sterilità raggiunta una natura rocciosa e consistente come nodi vegetali millenari e sepolti. Lontani rifioriranno germogli tenerissimi e lucenti. Altra vita bagnata, anche immersa in acque scure e profonde, incurante delle vigili attenzioni predatorie dei nostri discendenti, ondeggerà sinuosa come il fresco spirito leggero saprà ristorarla o saprà nutrirsi del minuscolo plancton.


NOTE

[1] “Il rito de I Matralia, celebrato nell’antica Roma l’11 giugno, era riservato alle donne libere, sposate una sola volta, le matrone, che in processione si recavano al tempio della Mater Matuta, portando in braccio i figli dei fratelli e delle sorelle. In tal modo, assicuravano ai nipoti tutela e affetto nel caso di dipartita dei loro genitori.” http://www.capuanova.it/adottaunamadre/matralia/
In Lucrezio, che è la fonte più antica,  Matuta è dea dell’aurora. Dei Matralia scrivono anche Ovidio e Plutarco.
Nella cultura matrilineare dei Mosuo, gli uomini sono responsabili dei figli delle sorelle, zie e nipoti, e gli viene assegnato un ruolo che devono svolgere con grande responsabilità.

[2] Genesi, 22, 17.

[3]Platone, Apologia di Socrate, 26
Treccani, Pritaneo  “Cuore della città, penetrale urbis, il pritaneo dovette esistere in ogni città greca e custodire fra le sue mura il focolare comune e il fuoco sacro divinizzato sotto il nome della dea Estia […] in esso sono nutriti a spese pubbliche quanti Atene reputi degni di tanto onore.”

Tigì e talkshow


di Cristiana Fischer

“Accendo?”
“È ora.”
“Sai che ci sono anche quelli che la tv non ce l’hanno?”
“E altri che non la guardano…”. Mentre traffichiamo per la cena il basso continuo snocciola fatti e notizie.
“Che ha detto la Ursula?”
“Non so, non ascoltavo.”
I servizi scorrono veloci. “Un bel messaggio di apertura al mondo femminile” parla un giovanotto sicuro.
“Mi vergogno ancora di più di essere italiano” dice un altro di mezza età. “E’ un atto egoistico, occorre rispetto della persona” (ai novax).
Una in fila “Aspetto da dieci minuti di poter entrare”, nel magazzino di distribuzione di fantasie sub specie di regali.
Un ultimo servizio sulla chiara bellezza dell’aria e del mare più a sud. Nella nostra goccia serale di benessere: pensionati, vaccinati, quasisani, cena e pantofole calde, telefonate di figli e nipoti.
L’opinionista ufficiale e autorevole di parte, cui si alternerà l’altro autorevole e ufficiale sostenitore di parte, appena diversa ma complementare per fondare ragionevoli opinioni, apre la serata di talk show.
Su una delle reti rai scorre da qualche settimana una rivisitazione degli anni del  terrorismo: pochi noti soggetti le fanno nascere, apogeo nelle lotte di fabbrica, frammentazione con annessi tradimenti, fine delle br. Niente a che vedere con le attuali  commistioni novax e nogreenpass, destra più sinistri, fascisti e filosofi, professori, medici e esasperati in genere, ma che mi viene in mente?
Che c’entra, infatti? Intanto si diffonde un’aria di minaccia e certezza di galera. C’è un sottotesto.
Corona di ferro e cotta di maglia medievale sotto le giacche e le scollature, scontri tra contee e ducati, lance e spade. Giullari lecchini tra una capriola e l’altra insultano seri astrologhi che scrutando le stelle oltre il freddo cielo notturno predicono sciagure.
Quelle portate dal virus, minacciosamente presentificate da serie di numeri senza appropriato contesto, versate dal cielo azzurrino degli schermi da Nostra Signora (Sergio Saviane?) a saturare ogni poro e ogni respiro, fisico e mentale.
Per avvalorare, la “presa diretta”. Di una realtà che non esiste: interviste selezionate, abiti da lavoro e tute casalinghe, oppure tailleur di rappresentanza, intonazioni dialettali o neutre e pacate, sguardi umili o diretti, perfino di sfida. Uno-due, favorevoli e contrari.
Il tema non è importante quanto introdurre suggestioni. Lo sciopero generale richiamato per deplorare o schernire. E’ Natale, corpi avvolti in luridi piumini su strati di cartone che isolano dal marciapiede. I portici, le borse intorno, Croce Rossa e Caritas distribuiscono sacche di cibo e coperte.
“Ogni notte mi rubano le cose”, una vecchia di madrelingua slava in frasi smozzicate.
Lavoratori stralunati: “mi mancano tre anni alla pensione ma la ditta chiude e ha licenziato tutti”.
La tv è di compagnia, fa rumore, conosciamo le facce le voci i jingles e le smorfie di personaggi peraltro interscambiabili.
“Credo che solo noi vecchi ci stordiamo di tv.”
“Eh già. E votiamo.”
“Già.”

Turbolenze

di Cristiana Fischer

1. Il malsonno. Nella città, una fascia parallela, a destra. Cerco Novi. E la trovo in un passaggio che qualcuno mi segnala, passaggio aperto, da cui sbocco in una fiera, quelle di una volta, con i baracconi del tiro a segno e le montagne russe. Lo spiazzo è appena un luogo indefinito, ampio. Novi scorre di fianco, lungo la città, anche se certamente è più breve. Non mi importa dei giochi e degli stordimenti dei calcinculo, né degli autoscontri. Cerchiamo, non so per quale ragione, la chiesa dell’Annunziata.
Prendo a destra e rincorro un percorso che non mi porta in nessun luogo. Fin che torno alle giostre dove Nonsochi mi informa che la chiesa dell’Annunziata (che ha il cimitero dietro, sottolinea incidentalmente) è sì lungo la strada, ma a sinistra. Arrivo abbastanza vicino, la vedo isolata, in gotico inglese, e sono certa del verde scuro e fitto, che solo immagino, del cimitero retrostante.
Destra e sinistra per me che sto dormendo. La strada nei due sensi scorre in piano. Non riconosco i posti e non immagino di arrivare in un luogo che conosco. Sto nei dati di fatto: volevo avanzare invece occorre tornare indietro e procedere a sinistra, in un  controsenso che è un indietro metafisico, è la morte però è anche, ne sono certa, un nuovo inizio.
Le due direzioni, sinistra e destra, in PNL (programmazione neurolinguistica) si rivolgono l’una a ricordo/passato e l’altra a costruzione/futuro. Nessuna certezza scientifica, se fossi mancina o se leggessi le pagine da destra verso sinistra il senso delle due direzioni legittimamente lo scambierei.
E con i nomi: Novi, Annunziata e cimitero, l’inconscio ha precisato la questione di cui il sogno tratta. Marcello Massimini, medico e neurofisiologo, capovolge il quadro: i sogni, dice in un video, sono un livello estremamente importante di coscienza, forse la forma di coscienza più pura. E’ una esperienza generata interamente dentro il cervello mentre è disconnesso, sia dal punto di vista degli input sensoriali che degli output motori, non sta  scambiando cioè nessuna informazione con il mondo circostante. Il sogno è necessario per integrare le informazioni registrate dalla realtà nella memoria del nostro cervello.
Leone dice “ho sognato che”. Stiamo scendendo in auto al mare, per fare la spesa al supermarket. Dichiarazione sorprendente, raramente dice che sogna, anzi fu convinto per molti anni di non sognare mai. Nel sogno aveva provocato un danno al parafango anteriore destro, strisciando in retromarcia contro l’auto parcheggiata davanti. Ecco un altro inciampo metaforico sul davanti laterale destro, quello del futuro.
Allora “ti racconto il sogno che ho fatto io: siamo a Milano, che ha una fascia urbana parallela, a destra. Cerco Novi…“
Leone tace. Le riflessioni alla nostra età sono pensieri pesanti da condividere.
Gli recito “Breve pertugio dentro dalla Muda/ … /m’avea mostrato per lo suo forame/più lune già, quand’io feci ’l mal sonno/che del futuro mi squarciò ’l velame.” Gli piace quando ricordo versi della Commedia che si attagliano alle circostanze.
Risponde: “Muorto si’tu e muorto so’ pur’io; ognuno comme a ‘na’ato è tale e qquale.  E cos’è la Muda?”
“Locale buio in cui venivano tenuti gli uccelli da richiamo nel periodo in cui mutavano le penne.”

2. La mer, la mer, toujours recommencée. Rispetto al Grande Gioco (la rivalità coloniale e strategica tra l’impero russo e quello britannico per la supremazia in Asia centrale durante il secolo XIX, finita con la rivoluzione sovietica) e al Nuovo Grande Gioco (gli interventi economici e politici di Cina, Russia, Stati Uniti, India, Pakistan, Arabia Saudita con altre petromonarchie, e Israele, nei cinque -stan: Kazakistan, Kirghizistan, Turkmenistan, Tagikistan, Uzbekistan) l’interesse del pianeta oggi si sporge fisicamente nello spazio, oltre i 500 km, verso Marte che è il dio della guerra.
«Gioco» per dire che le Potenze Politiche (numero di umani impiegabili, competenze politiche e tecniche, beni e strumenti disponibili, cemento delle convinzioni inscalfibili su sé e sull’altro: tutto lavoro accumulato che diventa energia da spendere per sopravvivere) implementano la loro influenza su zone interessanti per la posizione geografica e le ricchezze del sottosuolo. L’Arabia Saudita ha finanziato con miliardi il Tagikistan per contrastare sia l’Iran sciita che i fratelli musulmani.
Con i Fratelli musulmani sostenuti dalla Turchia, e Hezbollah sostenuto dall’Iran in Libano, siamo arrivati sulle sponde del Mediterraneo orientale.

Il mare è alto sopra l’orizzonte. “A giugno prendo il motorino e vado al mare da solo, se tu non vuoi venire.” La prima tappa nel nostro giro di spese è il pescivendolo. Triglie, pesce pregiatissimo già per gli Etruschi e gli antichi romani. Forse però quelle che compreremo sono le triglie entrate nel Mediterraneo attraverso il canale di Suez.
Giornale La repubblica, 16 ottobre 2014. Più di 400 specie di pesci e invertebrati sono giunte nel Mediterraneo dopo l’apertura del Canale («specie lessepsiane»). Poco più di 300 attraverso l’acqua di zavorra delle navi o attaccate alle carene. Circa 60 specie, soprattutto alghe, sono state introdotte accidentalmente attraverso l’acquacoltura. Colpevole è anche il riscaldamento globale: le acque tra Turchia meridionale, Siria, Libano, Israele, Gaza, Cipro ed Egitto sono diventate notevolmente più calde negli ultimi ventanni, quindi ideali per la sopravvivenza delle specie provenienti da Mar Rosso, Mar Arabico e Oceano Indiano. In questa regione del Mediterraneo, dice lo studio, fino al 40% della fauna marina è di origine «aliena».

3. Le potenze. La nipote ha ormai cinquanta anni, solo pochi mesi fa ha scoperto che il marito aveva da tempo intrecciato una relazione amorosa con un’altra donna e quindi lo ha cacciato di casa. Agli inizi del loro rapporto non ci capacitavamo della sua scelta per un marito affettuoso e scherzoso ma meno istruito e meno stabile nel carattere.
Il marito la ha tradita, con un atto di forza ha rotto l’equilibrio e ha mandato un segnale. La forza è un composto: una nel nome e nella minaccia, se viene azzannata e scomposta svapora. Dopo un po’ di ravvedimenti di lei e pentimenti di lui, il reprobo è stato riaccolto.
L’equilibrio delle potenze si regola al minimo conflittuale, esplicitando le premesse individuali delle conflittualità. “Proprio la globalizzazione sta ponendo in evidenza quanto l’enorme massa di merci, che ogni giorno produce e mette in movimento l’economia mondiale, rimandi […] ad una soggettività fortemente identitaria: una soggettività impersonale ed astratta, che impone i suoi obbligati percorsi e protocolli di accumulazione, la sua logica di crescita, in qualsiasi campo concreto si trovi ad investire e ad operare” (Roberto Finelli).
Luigi Ferrajoli ha scritto per un costituzionalismo oltre lo stato: “Occorre trasformare queste istituzioni, ma anche la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e l’Organizzazione Mondiale del Commercio, in vere istituzioni di garanzia indipendenti dal controllo dei paesi più ricchi, mettendole in grado di attuare le finalità enunciate nei loro stessi statuti: la garanzia dei diritti sociali, la promozione dello sviluppo dei paesi poveri, la crescita dell’occupazione e la riduzione degli squilibri e delle eccessive disuguaglianze.”
Con maggiore realismo, Gayatri Chakravorty Spivak: “La Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale cominciarono con una missione di tipo socialista e internazionale senza il vantaggio della struttura statale socialista […] Ma questa fase cambiò rapidamente e completamente. Lo sviluppo ben presto divenne un alibi per uno sfruttamento sostenibile.”
Forza e potenza, in amore e geopolitica. Turbolenze. Correnti a diversa temperatura e peso si incrociano e prendono il posto l’una dell’altra, trascinano un corteo di acqua, di gelo o di soffi profumati, con pesanti carichi svelti dalle sedi: boschi, sabbia dei deserti, vapore acqueo, nubi roventi di incendi del cuore.

4 . “Ti racconto una storia: lo stretto di Gibilterra non è sempre stato aperto, forse in seguito a movimenti relativi tra le placche africana, arabica e euroasiatica, o forse per una glaciazione che ha abbassato il livello dei mari facendo emergere il fondo roccioso dello Stretto. E questo potrebbe avvenire ancora.”
“A breve?”
“Non proprio.”
Oggi il prevalente interesse europeo si muove sull’asse est-ovest, in collegamento con gli  Stati Uniti e in funzione antirussa e anticinese: per questo il Mediterraneo è tornato ad essere importantissima via di comunicazione tra l’Oceano Atlantico e l’Oceano Indiano e, attraverso lo stretto di Malacca, fino al Pacifico. Già da alcuni anni, dopo la Brexit, la Gran Bretagna ha accentuato la sua presenza con navi e istallazioni militari a Gibilterra, Malta e Cipro, in direzione del Mar Rosso, del golfo Persico e dell’Oceano Indiano.
L’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, nel suo blog: “Piaccia o no, il Mediterraneo è oggi, ancora più che in passato, un continuum geo-strategico e soprattutto geo-economico con il Mar Nero, l’Oceano Indiano e il Golfo Arabico-Persico.  Quell’entità geo-politica e geo-economica che a partire dagli anni ’90 è stata identificata con il termine Mediterraneo allargato, per indicare l’area di diretto interesse nazionale.”

“All’armi, all’armi!”

Ora la madre di lei piange al telefono con Leone, suo fratello. Teme che il matrimonio possa anche non proseguire pianamente. Il padre della tradita esprime il suo dissenso a proposito del rientro del fedifrago e rifiuta di accoglierlo nella sua casa.
“Lo comprendo. Il matrimonio è un istituto giuridico, il marito della figlia ha rotto un patto che è fondante per la società.”
“Occorre serrare nella memoria gli sbagli passati per poter ricominciare un nuovo  percorso.”
“Ma le tracce segnate restano permanenti.”
Anche la coscienza di veglia, afferma Marcello Massimini, è fortemente disconnessa dall’ambiente circostante. E’ “una forma di sogno, modulato dalla realtà”, una forma particolare di coscienza, modulata dai sensi, che ci serve per sopravvivere, facendoci reagire all’ambiente in modo appropriato.
Nello spazio della modulazione quasi otto miliardi di input: complessità di voci singole che si devono accordare nell’orchestra del dialogo interno cerebrale.

 

 

Nota. Elementi usati:

Totò, ‘A livella.
Marcello Massimini: qui
Paul Valéry, Il cimitero marino.
Il Manifesto, ”Luigi Ferrajoli: l’orizzonte universale dei diritti fondamentali”, 9 aprile 2021.
Judith Butler, Gayatri Chakravorty Spivak, Che fine ha fatto lo stato-nazione? Meltemi, 2020.
Roberto Finelli, Al di là del terrore. Per una nuova antropologia (qui)

Misura

Trinità di Rublev

di Cristiana Fischer

L’illusoria potenza di credere all’influenza materna nei confronti di maschi liberi. Ma  voglio credere in una via riformista: liberi ma non salvi, nella vecchia via guerresca cannibalica paleolitica.
La vostra libertà richiede che anche noi, le madri di tutti, non siamo altro che allevatrici temporali per lanciarvi liberi in un mondo di sole vostre regole.
Invece credo che ogni complementarietà sia acquiescenza al vostro mondo di lotte tra maschi senza memoria di nascita.
Il mondo vegetale -stabile- gioca la sessuazione insieme a compatibilità. Noi primati la generazione riduciamo a un’unica modalità: duale. Mentre nascere e fiorire sboccia in forme di travolgente umanità. 

Allora sono minoranza! Bella esperienza
ascoltano con sufficienza
quel poco che conferma e il centro esatto
di differenza si trascura. Ma per non sbagliare
preciso che non sono contenuti argomentati
ma logica teorica che cause e effetti inenarrabili
non ancora previsti ha anticipato. Invece
si tratta di altro mondo che già c'è e non si vede
dai ciechi, il nuovo essere del mondo
di colori verdi e chiari. 
 
 
carovane di nomadi infiniti
venti di particelle le frontiere
di foglie scompongono correnti
sopraffanno i giganti del tempo
dita lacere e scheletri viventi.
Un'aria azzurra e i turbini disciolti
galleggiano diffusi oltremontani
si placano sul mare come un'ombra
di incertezza mai ripresa. L'attacco
dell'incanto è rimandato.  
 
 
Si aggrappano gli alberi in aspetto severo
al loro bosco ai nuovi margini, la rete di radici
i funghi nutriti e i colori che regalano
equilibrio vegetale. Querce e carpini
induriti e sconvolti perenni nei secoli
fioriscono carezze di stagione e soddisfare
i voli è loro ferma e costante volontà.
 
 
Il pensiero ha un innesto
nel corpo e non per caso
il corpo mortale conserviamo
pronti a tutto non a morte cieca
senza speranza: la virtù la forza
che apre i cieli oltre materie consistenti
miste di quanti e sostanzepensiero:
come se tutto svanisse in materia
come le anime dei morti adesso. 
 
 
Lo spazio che mi allarga al solo tempo
dei gesti necessari sulla terra
scandito nei ritmi spazio ecoico che risuona
in millenni e milioni
di storie individuali. Come cieca alla tastiera
punto ai frutti generali
cacciando spirito generativo.
La mente ultrapossente che ci pensa
risponde a necessaria debolezza. 
 
 
con noi i morti tutti quanti
vivono in coincidenza temporale
nel tempo nostro - e non trascendentale
della possibile divina
incarnazione che un pensiero illuminista
ha confinato nell'eguale
per cui tutto il possibile è reale con lo scandalo
di mortalità.
 
 
Tutto si spiega oppure il nulla
se la vita ci dispera
e il dio barbuto eterno ci rallegra
nell'unica fantastica idiosfera
dell'ultimo conflitto e noi segnando la stazione
fermiamo la voglia del delitto e la disperazione
volta a volta del popolo sconfitto. 
 
 
 
Pensare e sapere come forze
spirituali al materiale di cui siamo fatti.
Abbi pazienza ripete e come tutti
raccolgo l'indicibile del cielo in terra
e delle morte madri successive
spirito ci sostiene. 

Trinità di Cimabue

La vita che volevo

di Cristiana Fischer

Poter ripercorrere gli ultimi 50 anni della vita politica del nostro paese attraverso le parole di una protagonista delle istituzioni, nota a tutti ma sconosciuta come persona, ecco il messaggio che la pubblicità del libro di Ilda Boccassini, La stanza numero 30,  trasmetteva.
Poco più giovane di me, quindi si trattava anche della mia storia, l’offerta era appetitosa. Al supermercato  ho trovato subito il libro, a destra dell’ingresso e sopra un tavolo basso, fra pile di libri di altro genere. Ho cominciato a leggerlo e in poco tempo lo ho finito, fissando nella mente due osservazioni: la nettezza dell’impegno preso con se stessa e mai un dubbio sul valore del servizio cui si era dedicata.
Proveniente da una famiglia di magistrati: padre, nonno e zio, e determinata a percorrere la stessa carriera, affronta subito un conflitto che mette in scena il suo essere una donna.
Sposata giovanissima e già con un bimbo piccolo affronta l’esame per entrare in magistratura. “Studiare e fare la mamma è stata una esperienza molto dura […] La mia vita privata era inesistente […] Per di più guadagnavo pochissimo contando solo su una borsa di studio collegata alla cattedra di Diritto penale. Mi pesava molto dover ricorrere all’aiuto dei miei genitori né loro mancavano di farmelo notare.”
Supera il concorso. “Telefonai subito ai miei genitori: pianse perfino mio padre e io potei finalmente dirgli che non l’avevo deluso, visto che quando mi ero sposata -così giovane e con un figlio in arrivo- si era detto convinto che mai avrei affrontato la fatica del concorso, che avevo buttato via la mia vita.”
Un secondo passo che coinvolge il suo essere una donna e il suo lavoro di magistrato (il maschile è la terminazione che lei usa sempre) è la guida che si sceglie: valoriale e professionale. E’ un uomo conosciuto in tutto il mondo, umanamente ricco e profondo, su cui si allacciano conflitti politici e psicologici, la miseria umana e l’ambizione, invidia e menzogna, finché perderà la vita nello scontro tra stato e crimine: è Giovanni Falcone.
Se ne innamora e lo amerà sempre, anche dopo la morte.
Le difficoltà che Falcone sta affrontando annunciano anche a lei quelle che dovrà affrontare nel lavoro. Ed è una donna, bella, e di carattere impetuoso e deciso. Ilda la rossa (cura molto la sua chioma come il suo vestire), selvaggia, come la definì Falcone.

 “Eravamo ancora in auto e a metà strada tra l’aeroporto e la città, tenendomi vicino a sé, puntò il dito verso l’Isola delle femmine. Con il suo sorriso sornione disse: ‘Sai perché si chiama Isola delle femmine? Perché lì venivano confinate le donne un po’ troppo ribelli. Ecco, anche tu meriteresti lo stesso trattamento.’ Restai per un momento interdetta perché mi parve un rimprovero, ma quello che aggiunse subito dopo mi sciolse il cuore: ‘Sei una ribelle, ma comunque verrei ogni giorno a nuoto pur di vederti’.”

Come lui, combatterà il crimine organizzato e la “zona grigia”, quella fascia di professionisti di cui il crimine ha bisogno.

Tutte le indagini hanno riscontrato la presenza di figure riconducibili al paradigma della ‘borghesia mafiosa’ e dimostrano che nessuna categoria professionale è risparmiata da tali presenze, che assumono il volto di imprenditori, notai, commercialisti, medici, appartenenti alle forze di polizia, magistrati, avvocati, funzionari pubblici di alto grado, uomini politici.

Troverà anche nel suo ambiente la zona grigia, meschinità, carrierismo, che freneranno per “mancanza di etica” il suo lavoro e non riconosceranno i suoi meriti.
Tuttavia è convinta che

Resistere alle lusinghe del potere, respingerne gli attacchi, rinunciare al carrierismo è una strada possibile. Sono convinta che le giovani donne magistrato del futuro potrebbero fare la differenza se – come mi auguro – sapranno smarcarsi dai falsi miti, dai cattivi maestri e dalle cattive maestre. E se saranno capaci di frenare la deriva attuale facendo argine con la loro umiltà, coerenza, solidarietà, passione per le istituzioni.

 Numerosi sono i riconoscimenti del valore di donne che hanno lavorato con lei, magistrate e appartenenti alla forze di polizia, amiche, consuocere, mediche e infermiere.
Conclusa la vita professionale trova la pace per potersi dedicare a un’altra vita. Il bilancio che fa è in questa frase:  “ho vissuto la vita che volevo e proprio come volevo viverla”.

 Vedere le rondini in cielo e osservare senza fretta il volto innocente dei miei nipoti mentre dormono. […] Rimarrò una combattente? Credo di sì. E queste righe vogliono dire che ho raccolto la mia ennesima sfida, perché so che il racconto della mia vita non piacerà a tanti, soprattutto a molti miei colleghi.

***

Non ricordo come in quegli stessi giorni ho incontrato, forse nell’articolo di una rivista online, Barbara Balzerani. Una donna, anche lei una protagonista, ma di ben altri scenari. Sarà dirigente delle BR e avrà un ruolo in rapimenti e azioni armate, anche nel rapimento e nel delitto Moro.
Scelte che hanno impresso alla sua vita (ha la stessa età di Boccassini e quindi pochi anni meno di me) un marchio duro e doloroso: dare la morte, viverla nei compagni e nel rischio continuo della propria vita.
Entrando nelle BR deve contrattare con se stessa la rinuncia ad affermare la sua differenza  femminile. In un’epoca che è segnata dal femminismo della differenza, lei pratica una “reale” uguaglianza.

In tutta evidenza il suo essere comunista era entrato in rotta di collisione con l’espressione femminista dell’essere donna […] I suoi erano tempi in cui le donne sparavano come gli uomini, in una guerra che non prevedeva territori liberati, né mariti, né figli […] Tra quei compagni, quasi sempre, avrei visto imporsi la legge non del maggior potere ma della maggiore autorevolezza. Coniugarsi la più grande responsabilità con l’assenza di qualunque privilegio. Con loro avrei imparato cosa significhi veramente non aver niente di proprio. A superare piccole e grandi meschinità nel dare e ricevere, come accade quando persino la propria incolumità fisica riposa nell’affidamento reciproco.(Compagna luna, DeriveApprodi, 2°ed. 2021)

E tuttavia oggi rileva non solo il maschilismo dei compagni ma la deformazione che quella falsa uguaglianza produceva sulle compagne.

Ripensando alla strumentalizzazione machista del carisma politico di molti capi e capetti del movimento, utile anche ad attirare, più degli altri, lo sguardo delle compagne. Atteggiamenti odiosi, illibertari, vecchi, che l’avevano confermata nell’idea che solo necessità prioritarie potevano imporre il rimando a dopo di certe questioni, quando condizioni più favorevoli avrebbero permesso di affrontare anche il nemico interno. […] Lì ha incontrato donne che giocavano la loro femminilità in deformante competizione con uno stereotipo maschile in armi. Le peggiori.

Liberata nel 2011 dopo 26 anni di carcerazione, nei numerosi libri scritti anche durante la detenzione, e nelle interviste rilasciate in seguito, sembra risultarle necessario spiegare, e forse giustificare, le azioni compiute. “Queste pagine non vogliono offendere nessuno, soprattutto quanti se ne sentiranno offesi. Se ci fossero ancora, mi piacerebbe le leggessero soprattutto mia madre e mio padre.”
La lotta armata “in una democrazia parlamentare a capitalismo maturo, fuori dunque dalla tradizione resistenziale e altra cosa dalle guerriglie nazionaliste e terzomondiste”, fu in realtà socialmente radicata nelle fabbriche e nel mondo del lavoro per più di un decennio.
La scelta armata, di “guerra alla guerra”, a un certo punto si continua come in un meccanismo che non lascia più scampo, come era il Fato per gli antichi, la pronuncia di una necessità superiore che travolge chi compie l’errore iniziale che porterà alla rovina. Mi viene in mente la frase: Dio confonde coloro che vuole perdere.

A pensarci adesso non è facile ricordare dove trovassero tanta incosciente fermezza nel giocarsi la vita. Non erano che gruppetti di giovani compagni, insofferenti dei tentennamenti di una sinistra extraparlamentare messa alle corde, con nient’altro che la determinazione a cercare nuove strade per continuare quella rivoluzione che aveva consumato in fretta l’innocenza dei primi entusiasmi di fronte al volto livido di un Potere assassino e stragista e di una sinistra istituzionale che perfezionava la sua paranoide sindrome rinunciataria da accerchiamento.

Ma c’è anche un altro quadro sul cui sfondo Barbara Balzerani giustifica le scelte fatte, ed è la crisi generale del pianeta, natura e popoli, che il capitalismo produce con l’ombra cupa dello sfruttamento, che forse vincerà la capacità di rivolta degli oppressi.

Adesso che la furia della produzione capitalistica ha diradato tante nebbie, possiamo vedere con un po’ più di chiarezza quanto gli stati con i loro confini, le proprietà della terra con le loro recinzioni, la produzione con lo sfruttamento del lavoro e dei territori, le biotecnologie abbiano messo in forse alla vita di continuare. Forse è tempo di celebrare il fallimento di questa macchina di morte che nessuna versione ecologica può riesumare. Di incepparne il funzionamento. Anche senza tutte le rifiniture di programma, è questo il tempo. Per gli irregolari, gli illegali, gli scarti, gli indios, i comunardi. L’impasto che può metterci all’altezza di un’altra storia, interamente umana (ultime righe, di conclusione, del libro Lettera a mio padre, DeriveApprodi, 2021)

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La sua visione generale, legata alla lotta di classe, la stringe a idee generali sulla storia e sulla umanità, che sconfina in termini che di solito rimandano al divino. Una generalità che trascende la democrazia.
Viviamo in un tempo in cui le scelte si dispongono tutte, equivalenti, sul piano della offerta  letteraria, ragionata, pubblica. Si tratta di comunicazione, di libri, di social. Alla democrazia invece mi rivolgo, per il concreto rimando a un criterio di verità cui si rifà la filosofa Franca D’Agostini, che affronta da par suo il tema della Verità in rapporto alla legalità e alla giustizia.
Concludo con due citazioni che richiamano appunto al confronto per orientare la vita umana e le istituzioni.

Chiediamoci: perché la libertà di espressione non è solo un bene individuale (la possibilità di esprimere se stessi manifestando le proprie idee) ma è anche un bene collettivo, che deve essere salvaguardato? Una delle ragioni è sicuramente il fatto che è uno strumento fondamentale per completare le verità incomplete di cui ciascuno di noi dispone (cfr. Aristotele) evitando gli errori e gli inganni. Anzi, avere la possibilità di confrontare diverse versioni di uno stesso fatto o fenomeno è (accanto alle funzioni inferenziali) la prima forma di completamento delle verità empiriche.  (da qui)

Capire il tipo di realtà che è caratteristico di ciò che non esiste può essere importante. Per esempio, un’analisi degli oggetti inesistenti fornisce un rendiconto delle realtà di finzione, per esempio quelle che leggiamo nei romanzi. E spiega come funzionano. Ora nella filosofia politica le ideologie sono finzioni. Il mondo non funziona in un certo modo, ma noi creiamo – la classe dominante crea – una sorta di romanzo sul funzionamento del mondo e naturalmente lo usa per i suoi fini strategici. Capire le finzioni significa in definitiva capire le ideologie. (da qui)

 

Amore e libertà

Eva Illouz

di Cristiana Fischer     

Caro Ennio, mi hai chiesto cosa pensassi dell’articolo di Paola Giacomoni sul libro di Eva Illouz “La fine dell’amore. Sociologia delle relazioni negative”, uscito su Le parole e le cose il 13 settembre 2021 (qui). Di riflessioni me ne ha suscitate parecchie e le raccolgo in tre questioni che mi sono posta:
–  hanno un senso particolare, oggi, queste “relazioni negative” o ci sono sempre state?
–  da che punto di vista Illouz dà conto della diffusione di queste relazioni: solo sociologico, come dice il titolo? e qual è il punto di vista di Giacomoni?
–  chi sono le donne che adottano quel comportamento?
Innanzitutto la definizione: “Le relazioni negative hanno scopi indistinti, nebulosi, indefiniti, non hanno regole schematizzate di ingaggio e di disingaggio, comportano pochissime, se non nessuna punizione per la loro distruzione. […] Le relazioni negative si manifestano nella decisione, conscia o inconscia da parte di molti uomini e molte donne, di non stabilire rapporti stabili e di non avere figli e nel fatto che, negli ultimi vent’anni, i nuclei familiari unipersonali hanno visto un notevole aumento» ( Illouz, pp. 31,32 ).

“Decisione conscia o inconscia”: si tratta quindi di un comportamento diffuso e quasi necessitato dalle condizioni di vita generali della modernità avanzata, o modernità contemporanea, o ipermodernità che, come scrive Paola Giacomoni,  si relaziona con il “tema dell’evoluzione della «modernità emotiva» sullo sfondo delle trasformazioni del capitalismo dalla sua forma classica a quella monopolistica e di consumo che ha intriso delle sue regole il modo in cui viviamo l’amore e le relazioni intime”.
L’articolo di Paola Giacomoni fa parte infatti di una rubrica su LPLC a cura di Federica Gregoratto: l’amore ai tempi del neoliberalismo. Quindi sono andata a leggere “Poliamore e neoliberalismo”, l’articolo che Gregoratto ha pubblicato il 14 settembre 2020 (qui, quando la sua rubrica era appena stata aperta.
L’articolo riguarda “la possibilità, il piacere, e il diritto di amare e desiderare, essere amate e desiderate da più persone contemporaneamente”. Una concezione dell’amore che non è “quantità definita e quantificabile”, ma moltiplicabile, come in realtà è sempre avvenuto per l’amore verso i figli. (Qui si potrebbe rilevare come oggi la quantità di amore genitoriale si riduca, data la generale disposizione a generare un solo figlio, proprio mentre l’amore si moltiplica verso una pluralità di amanti.)
La conclusione cui mira “Poliamore e capitalismo” è però politica. Riferendosi a una canzone di Leonard Cohen che coinvolge un suo amore, una donna che ha intrecciato contemporaneamente un amore anche con un amico del cantante, Gregoratto conclude che “Cohen, Jane e l’amico non hanno del resto nemmeno l’intenzione di cambiare il mondo a partire dalla loro esperienza […] è forse proprio da questo sottrarsi alle responsabilità, alle bandiere, ai manifesti, che può riverberarsi un significato politico?”

Torno alle “relazioni negative” per chiedermi: con che distacco Illouz e Giacomoni guardano a quelle molte donne che entrano in relazioni “estranee a ogni progetto comune e a narrazioni sociali che conferiscano alla scelta un valore più ampio e una stabilità”? L’impostazione sociologica di Illouz disegna quasi un nuovo tipo umano femminile, donne  che entrano nelle relazioni attraverso il sesso e non viceversa, “in un universo completamente sessualizzato, che corrisponde […] sostanzialmente al modello della sessualità al maschile.”
A questo punto Paola Giacomoni, che recensisce il libro, avanza alcune osservazioni. Innanzitutto si chiede “se davvero le donne di oggi hanno introiettato il modello sessuale maschile o se non hanno invece trovato che la separazione tra sesso ed emozioni non è poi così male”. Si chiede poi se sia il mercato a rendere possibile un consumismo sessuale diffuso ed endemico, o se non sarebbe da confrontare con il “libertinismo sessuale settecentesco, reinterpretando Casanova, che certo era un consumatore seriale, ma non provvisto del distacco nichilista di oggi”.
Propone infine una domanda cui il libro di Illouz non risponde: che funzione può svolgere oggi l’amore romantico, che negli anni ’60 ha rappresentato la “scelta sentimentale autentica dei contraenti”? E quindi: “se la massima espressione della libertà porta alla propria autodissoluzione, quali indizi possiamo individuare nel modello prevalente che consentano di immaginare almeno brandelli di schemi costruttivi che non siano il ritorno al passato patriarcale? A questa domanda in un testo tanto ricco non troviamo però alcuna
risposta”.

Al centro della mia/nostra esperienza femminista era “il senso libero della differenza sessuale”. Cos’è la libertà femminile? E’ la mia libertà. Il senso libero della mia differenza femminile lo esprimo in prima persona.
Voglio dire che ogni donna è una donna è una donna è una donna… in quanto sa di esserlo.
Quindi la farfallona (la Casanova), la sposa devota, l’amante lesbica e la suora di clausura,  l’attrice femminista e la professionista ambiziosa, la madre la figlia sorella nipote cugina  suocera e, e, e… Non sarò io a dire a un’altra donna in che modo dovrà essere una donna. Ma se vuole si confronterà in una relazione con me.
Come si offrono a me la ricerca sociologica di Illouz e le osservazioni di Giacomoni? Mi informano e mi propongono delle scelte, di cui vedono anche le mancanze, ma si attengono a criteri euristici basati sulla generalizzazione, esterni alle donne di cui parlano. Di esse io niente so, quindi anch’io guardo da fuori queste “relazioni negative” mentre, per capire davvero, aspetterei che una o più donne si raccontassero nel vivere a quel modo sessualità e emozioni. Ma questo è un lavoro che fanno le narratrici, sarebbe letteratura.

Qualche tempo prima, il 19 marzo 2019, Federica Gregoratto aveva pubblicato “La riproduzione della vita sociale e i suoi problemi. Qualche riflessione sullo sciopero femminista e il Manifesto per il 99%” (qui). Questo articolo, che non appartiene alla rubrica che Gregoratto allora non aveva ancora aperto, parla di sua madre che “è quasi sempre stata una casalinga e una mamma a tempo pieno. Questo è sempre stato il suo lavoro, prendersi cura di me, mio fratello, mio padre, della nostra casa, ma anche di un sacco di gente e di cose intorno a lei”.
Il “lavoro della riproduzione della vita sociale” unifica tutte le donne e rinchiude già in sé altri tipi di lavoro, lavoro d’amore e di cura, altri aspetti di lavoro immateriale, ed è manipolazione, appropriazione e trasformazione della natura.
Gregoratto guarda al movimento di quegli anni, transnazionale e non solo femminista ma  anti-razzista, ecologista e anti-imperialista, come ha scritto per esempio la femminista socialista Judith Butler. Ma io rifiuto la affermazione di Gregoratto, che il lavoro di riproduzione della vita sociale sia “l’unica cosa che hanno in comune donne appartenenti a classi e gruppi sociali diversi, migranti o autoctone, coloro che rinunciano a un salario indipendente, coloro che hanno una carriera prestigiosa ma poi si ritrovano con un ‘secondo turno’ a casa, e coloro che si destreggiano tra le varie gigs di una cosiddetta gig economy che precarizza e indebita al di là delle capacità emotive, psicologiche e fisiche di sopportazione”. Anche questa idea si basa su un procedimento di generalizzazione: attraverso il lavoro d’amore è vero che quasi tutte ci occupiamo di  riprodurre la vita sociale, curando la famiglia, e poi nei lavori “femminili”, come insegnare, medicare, giudicare.
Questo lavoro di cura è anche spesso un doppio legame e non  una scelta. Però è anche una scelta: quella di continuare a far esistere elementi di civiltà e riconoscimento nei rapporti sociali. E’ questa, se mai,  “l’unica cosa che hanno in comune donne appartenenti a classi e gruppi sociali diversi, migranti o autoctone”.
Sottostante a questo lavoro di riproduzione della vita sociale, in fondo, c’è amore per la libertà e non solo mia.

materia d’aria

Mulino ad acqua da un disegno di Fausto Veranzio, in Machinae novae, 1615-16

di Cristiana Fischer                              

 La dea "è in contatto con gli alberi e le bestie, tutti i viventi la  riconoscono come una di loro. Non ha bisogno di nominarli per essere quella che, in una lingua assai più tarda, si chiamerà potnia theron, la Signora degli Animali". 

              Ginevra Bompiani, L'altra metà di  Dio.

1. Al crepuscolo cominciano a uscire gli animali mentre nibbi e poiane diventano ciechi e si ritirano. Volpi e volpetti corrono con noi ai bordi della strada, poi saltano sotto una siepe, un tasso col fine odorato scava nel rigagnolo. Si arresta un istante su un tronco secco una martora col codone e subito vola tra i rami. Un capriolo si affaccia sui gabbioni di pietre che trattengono la terra dal bosco, incerto perché ha visto i fari, salta giù ma velocissimo si gira e risale.
“Un’auto ci insegue, vai più veloce!” ma quella svolta a un incrocio, e ormai noi siamo arrivati. Pizzeria all’aperto, ci sono altri che conosciamo. I bimbi sembrano più grandetti delle bimbe, elegantissime nei bei colori delle vestine. Una ha un abitino largo di organza a cuori dorati, cordoncino d’oro in vita, con pendaglio. Un giovane padre cura la bimba di un altro, la scosta dalla ringhiera sulla strada. Lei si allontana docile ma torna per affacciarsi e forse il vero padre si fida di sua figlia.
Ripartiamo a caccia di apparizioni, quelle che sfuggono il sole suadente e terrificante del giorno. Luci dei paesi in cima ai colli a pan di zucchero e su piane lontane.

Il primo passo da compiere è conoscere. Il secondo è collegare. Il terzo è la guerra, diffusa e latente, focolai inestinguibili ma dilagano nuovi incendi. Certo che siamo arroccati e pubblicamente difesi, ma perché rinunciare al poco essenziale (il PE) cui altri aspirano? Intrappolati tra le buone ragioni di difendere il nostro PE e la certezza che i desideri di tutti sono i loro stessi diritti. Corto circuito tra desideri e diritti. Prigionieri di ideali universali temiamo di dover dividere una torta che non si ingrossa (oh, per pochi si ingrossa un’altra torta, che accumulano per il futuro!) quando con i loro diritti verranno a prendersi i beni. Quelli nostri, dei poveri del mondo ricco.

L’opposta facciata della Casa-mondo esibisce le pratiche della disuguaglianza, la scissione di intere regioni dalla comune eguaglianza: geografiche, di genere, di età. Di aspetto, che fissa differenze etniche, poche le ibridazioni consentite.
Il secondo passo compone: è un unico meccanismo perverso, la squilibrata spartizione del prodotto, a generare le crisi? Le ultime due, lo scoppio della bolla immobiliare nel 2008 e la contrazione del lavoro causa Covid, sono crisi mondiali? Dal cielo dei loro incontri nuovi signori della ricchezza declasseranno i vecchi signori spodestati? Come decideranno la distribuzione del prodotto, l’eguaglianza tra i lavoratori? Freneranno l’accesso agli esclusi?
Non so se ogni volta sia necessaria una crisi – precipita un impoverimento generale che costringe anche i ricchi a consumare le scorte – perché ricominci un nuovo ciclo. Certo la causa è la sproporzione: il lusso di un esercito e di un’amministrazione per sostenersi al potere distrugge l’intero apparato produttivo se schiavi, servi e clienti si sottraggono

Un ultimo trucco prepara l’ultima crisi. In verità sempre meno beni sono prodotto del lavoro comune. Si annuncia però che briciole della magra torta saranno divise tra tutti nell’ultima ridotta, quella della sopravvivenza nei confini.

Accecati dalle metafore delle missioni militari di pace e della democrazia spiegata con le armi. Il pubblico discorso indirizza solo a pochi un messaggio sul coraggio, di agire, immaginare, improvvisare.
Lo storico rivendica la parzialità come fondamento: “la brace di una vocazione culturale universale a Roma è ancora accesa e starebbe nel raccontare al Globo come è nata e si è svolta la civiltà occidentale per due millenni e mezzo, parte ormai della storia del mondo. La storia neppure Dio è in grado di riscriverla”. (Andrea Carandini sul Corriere della Sera del 24 agosto 2021).
Il realismo politico generalizza una possibilità che è stata valida solo per una parte: produrre il mondo e gestire la guerra, grazie al lavoro di tutti.

2. Da quanti lati arriveranno gli assalti a questa nostra residua cittadella della pace? Svalorizzate le parole, tutte le parole, certezze di anima, salute e storica eternità. Respirando aria di fantasie, aria pensabile.
Le verità ossimoriche si dilatano storicamente in chiasmi tra il comune e l’appropriazione privata. Quasi mille anni fa gli stessi pochi testi si leggevano e discutevano pubblicamente nelle aree di un immaginario condiviso, e si nominava intelletto possibile il luogo di tutti i pensieri, una regione dell’essere in cui il pensabile esiste per propria autonomia.
Materia noetica dove si articola lo sforzo sensoriale e intellettivo umano, come negli stessi secoli l’aria e l’acqua erano il medio in cui funzionavano i mulini, le segherie, le concerie, le gualchiere.
In quello stesso sforzo costruttivo i pensieri hanno articolato la separazione (“al settimo giorno si riposò”) tra infinità divina e creazione del mondo, alla cui custodia siamo stati inviati.

L’intelletto possibile, luogo di tutti i pensabili, si sta progressivamente materializzando e sostanziando in una comune esperienza onlife, come una trina, trama sottile che permea  gli istanti fisici e corporali di ciascuno e dovunque. Trama che si autorappresenta e in cui ci rappresentiamo, dove creazione e conoscenza coincidono.

Il mondo onlife, universalmente costruito e contribuíto, partecipabile e accessibile, poggia su supporti fisici localizzati in proprietà: passibili di interruzione e di censura, senza obbligo di rendiconto.
La natura (participio futuro di nasco) come divina potenza creatrice è infinita in atto,  simile a lei il mondo onlife, infinito però potenziale: possibile è la ripetizione,  aggiungendo ulteriori elementi di serie a un contesto definito.

Hanno visto un lupo vicino all’ufficio postale e un cervo con grande palco di corna lungo il muro del cimitero. Non sento gridi di notte. Forse le presenze fanno giri lontani e nei nuclei abitati entrano di giorno a caccia di resti. Sono cosí veloci!
Ho idea del margine mobile che si può instaurare tra le diverse animalità e la unica nostra, e di una specie di parità, diversa da quella civile e del lavoro, che ci dovrebbe interessare  ripensando la nascita. Per riconsiderare in modo egualitario la costruzione sociale. La cura dei piccoli è divisa tra i sessi nella maggior parte delle specie, tra noi sapienti ha  impostato la divisione di classe: avere figli implica ancora per noi donne usare di altre per allevare i nostri.

NOTA

Ho scritto riflettendo su questi testi:

Augusto Illuminati, Averroé e l’intelletto pubblico, Manifestolibri, 1996

Ginevra Bompiani, L’altra metà di Dio, Feltrinelli, 2019

Emanuele Dattilo, Il dio sensibile, Neri Pozza, 2021