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Lo sceriffo

di Daniele Barni

Un invito a leggere questo racconto di Daniele Barni che parla di un certo tipo di matti che colorano, o almeno coloravano, il monocorde vivere di provincia. Nel leggerlo mi è tornato alla mente la prima volta che sono stato a Vetulonia, oggi piccolo borgo della Maremma, ma dal passato più che glorioso, essendo una delle storiche città della dodecapoli etrusca. Dopo aver visitato il museo etrusco, l’acropoli ed alcune tombe a tumulo sparpagliate nella campagna, per rinfrescarmi sono entrato in un caffè dove c’erano quattro o cinque personaggi davvero strani, tra di loro anche una donna. Sbevucchiando a grappini ridendo e rilanciando un paradosso dietro l’altro, lasciavano pagato un cicchetto per qualcuno del borgo che in giornata sarebbe senz’altro capitato al bar. La barista, scuotendo la testa in una smorfia divertita, ad un certo punto mi ha detto: – Scusi eh, … questo chiasso, … ma se non ci fossero loro a Vetulonia non si potrebbe che morire di noia.
Il racconto LO SCERIFFO sarebbe stato da inserire nell’almanacco La casa degli strani che ho curato nel 2019 per Aska Edizioni, insieme a Giuseppe Baldassarre e Fabio Flego. Peccato … Comunque sia, a corredo del testo, inserisco il disegno di mio figlio Nilo, usato per la copertina di quel libro. Buona Lettura. (A. A.)

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Donne e uomini

L’albero della vita, disegno di Nilo Australi (tecnica mista)       

di Daniele Barni

Vorrei condividere con voi questa poesia che Daniele Barni mi ha inviato proprio ieri. È fresca fresca di scrittura. DONNE E UOMINI, a volte mi domando se mai torneremo ad essere parte di uno stesso corpo? [Angelo Australi]

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Un lavoro insolito

 

di Daniele Barni

“Col culo bisogna lavorare per fare i soldi, non col cervello o colle mani. Altroché.”

“Il solito volgare.”

“E che! C’ho ragione io, eccome. Guarda, guarda lì se non c’ho ragione io!” Continua la lettura di Un lavoro insolito

La strage di Capaci

di Daniele Barni

Era il 23 maggio 1992, l’ora del pomeriggio in cui la fame comincia a sfottere lo stomaco. Asserragliato nella cucina al di qua di trincee di libri, mi attrezzavo da buon secchioncello a fronteggiare la maturità, già minacciosa. Alla mia Nordmende color tristezza, alta sulla scaffalatura, si affacciavano personaggi diversi a farmi compagnia. Ammutoliti dal telecomando, li lasciavo ai loro mimi. Continua la lettura di La strage di Capaci

L’ultimo viaggio di Odisseo

di Daniele Barni

Quando con la prua della pentecontera intaccammo nella notte l’oceano, al di là delle Colonne d’Eracle, io mi tenevo seduto al timone di sinistra. A quello di destra penzolava, addormentato, mio cognato Euriloco. Lo rinvenni con un sibilo, perché non volevo che, trascinando nel sonno il timone, mi impedisse di conficcarmi perfettamente a perpendicolo in quel nuovo mare: lo avrei considerato un indizio dell’avversità di Tiche. Anche tutti gli altri dormivano. Solo allora, e poi mai più, riesumai dalla coscienza i compagni perduti, e contai il misero gruzzolo di coloro che mi rimanevano con l’ultima nave. Poi chiamai Perimede, che guizzò con la testa dal torpore, intorpidendola di nuovo contro la fiancata. Barcollò fino a me, anticipato da altrettanto barcollanti imprecazioni: “Odisseo, per la tripunta di Poseidone scuotitore di terra, che cosa accade?!”

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Su alcune poesie inedite di Daniele Barni

di Angelo Australi

Il poeta ammette/di mettere/ nella sua poetica/ un po’ di etica/ ovviamente estetica, / un po’ di emotica/ ovviamente demotica, / un po’ di pratica/ ovviamente ieratica, / e tanta ispirazione. / Dimenticando il più: / La TRAspirazione.

Questa strofa è tratta da “Figure etimologiche e bisticci” una poesia di Daniele Barni che si trova nel libro Piccola antologia di anonimi contemporanei, pubblicato da Italic Pequod nel 2017. Un verso dissacrante il suo, e al tempo stesso divaricante per similitudini. Come Leopardi, tende a confrontarsi con il nulla, lì dove sta la poesia che scopre la vita, ma non si scopre. Daniele Barni è speculativo, quasi in modo fisico, nella sua disillusione generazionale trovo il bisogno di scoprire la forza di questa perdita in senso meno lirico e più da poeta “civile”.

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