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A che punto è a nuttata a Cologno Monzese

Riordinadiario maggio 2023

 di Ennio Abate

“Ci sedemmo dalla parte del torto [del 51, 91% dei non votanti o schede nulle] visto che tutti gli altri posti erano occupati [dalle coalizioni dei partiti]”
(B. Brecht rivisto nel 2023 a Cologno Monzese) Continua la lettura di A che punto è a nuttata a Cologno Monzese

In morte di Luigi Manzi. Un omaggio

di Ennio Abate

Rimando all’articolo e ai commenti del 4 agosto 2013 sul blog POESIA E MOLTINPOESIA

QUI

e aggiungo questo  mio appunto:

RIORDINADIARIO DI E. A./

A PROPOSIO DI LUIGI MANZI

12 marzo 2013

A G. Linguaglossa:

La poesia di Luigi Manzi è una bella poesia, ma non aiuta a chiarire l’uso equivoco che fai del termine «piccola borghesia». Ora anzi parli addirittura di «essenza «piccolo borghese»; e cioè sottrai la categoria al piano storico, l’unico per me valido per non sfondare verso una sorta di “metafisica sociologica”.
Se ci atteniamo a tale piano, sarà chiaro che possiamo ( o si poteva almeno fino agli anni Settanta del Novecento) parlare con una certa precisione di piccola borghesia. Era la classe intermedia (e tutto sommato secondaria) tra la borghesia e il proletariato, le due protagoniste del conflitto “fondamentale” nella società capitalistica. Era la visione classica marxista, che in certe sue ripetizioni scolastiche ha, quando erano forti i partiti della sinistra socialista e comunista, alimentato purtroppo atteggiamenti moralistici e di svalutazione nei confronti della reale piccola borghesia e da parte degli stessi intellettuali piccolo borghesi, spesso tra I più più sensibili al “conflitto di classe”. Conflitto che pareva imponesse loro di di stare, appunto, o con i dominatori (borghesi) o con i dominati (proletari o operai).
Questo residuo moralismo, oggi di segno ribaltato per il crollo di quelle ideologie, mi pare emerga nel tuo commento quando parli di Giovanni Giudici ed ironizzi sul «mandato catto-comunista di attenzione alla vita quotidiana degli “umili”, cioè i piccoli borghesi che edificavano a quel tempo la nazione».
Non mi pare poi che regga neppure la contrapposizione netta che vedi tra Manzi e Giudici o tra la poesia di Manzi e quella di Giudici.
Non so quale sia l’estrazione sociale di Manzi, ma non credo sia troppo diversa da quella di Giudici o da quella nostra; cioè di appartenenti al ceto medio (in via d’impoverimento) che possiamo considerare l’erede della piccola borghesia del secondo Novecento. Quindi, sul piano strettamente sociologico, piccolo borghese era Giudici e piccolo borghese all’incirca sarà anche Manzi.
Ma spostandoci sul piano simbolico, ti pare che l’attenzione «alla Attualità, al Quotidiano, al Privato» possa essere un attributo esclusivo di una poesia “piccolo borghese”? E dove stanno allora Manzi e la sua poesia, ammesso che riescano a prendere «le distanze da tutto» – (un inspiegabile “mistero” per me, se Manzi vive in questo nostro povero Paese) – o non siano «né di destra né di sinistra» e non puntino « al centro, né al cielo della cielità né alla terra della presunta terrestrità»?
Posso ammettere che la sua sia « una poesia senza mandato, senza mandatario», ma «senza messaggio»? E poi davvero «non si rivolge a nessuno né vuole convincere nessuno»?
Resto alquanto scettico. A me pare che, per correggere le distorsioni di una certa poesia “impegnata” o “propagandistica” di anni passati, si finisca per attribuire l’etichetta di «grande poesia» solo a quella che ha perso o cela i suoi legami con la storia e la realtà. (E sia chiaro che qui non mi sto pronunciando né su questa poesia di Manzi né su di lui).

Erbario

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Narratorio grafico 1976-’84 (1)

di Ennio Abate

Nel marzo 1986 preparai una prima bozza di fotocopie del mio narratorio grafico (che poi diventerà “di Tabea Nineo“). E’ composta da 174 disegni, tutti in b/n e realizzati con inchiostro di china e pennino tra il 1976 (anno in cui terminò la mia esperienza politica in Avanguardia Operaia) e il 1984. Il senso dinamico e drammatico di questa ricerca , sempre divisa e oscillante tra  immagine e parola (qui), si coglie leggendo le voci dell’Indice (cfr. Appendice): delle  sezioni: Salernitudine, Mortificazione del sogno contadino, Immigratorio, Samizdat, poi riprese in vari modi anche nelle mie Poeterie e nel Narratorio; e dei titoli che improvvisai al momeno selezionando i 174 disegni.  Pubblico  i disegni (pochi) di  Erbario aggiungendo oggi brevi note  e il richiamo possibile a un testo in versi del mio  Reliquairio di gioventù. [E. A.]  Continua la lettura di Erbario

Critica della politica in una città di periferia

di Ennio Abate

Pubblico  queste mie riflessioni  sulla necessità di continuare a  fare critica della politica.  Anche da solo e  con gli unici strumenti che mi restano: la parola scritta e la mia memoria storica. Posso farla solo in una dimensione locale, Cologno Monzese, hinterland di Milano. E  calibrando la mia voce su un momento –  quello  delle elezioni del sindaco della città – dove il marasma ideologico, che sta corrodendo tutti gli schieramenti politici  tradizionali (i partiti) e apparentemente nuovi (le liste civiche) si manifesta in modo più acuto e repellente nella forma delle piccole ambizioni personali, dei  maneggi ambigui di corto respiro, degli inviti ipocriti ad una partecipazione democratica sterilizzata. 

***
ELOGIO DELLA CRITICA DENTRO O FUORI DAI PARTITI (E DALLE LISTE CIVICHE)
Questa è la mia RISPOSTA @ CSD dopo aver letto nel loro Bollettino d’informazione aprile/maggio 2023 il pezzo intitolato «Accuse e critiche rivolte a CSD sulle sue scelte e alleanze elettorali»(Cfr. Appendice)

Cari amici/che, siccome il mio nome – non so se per errore – è ancora presente nella vostra mailing list, mi è arrivato il Bollettino d’informazione e ho letto il lungo pezzo intitolato «Accuse e critiche rivolte a CSD sulle sue scelte e alleanze elettorali etc.». Dopo qualche incertezza, ho deciso di rispondervi con questi veloci appunti. Non capisco perché: 1) parlate di me e di altri, vostri compagni di strada per periodi più o meno lunghi, senza usare nomi e cognomi ma ricorrendo a una perifrasi (« Alcune persone politicamente impegnate e presenti sui social (fra l’altro tutti in passato hanno militato nella nostra associazione anche con ruoli di responsabilità)» che cela a stento un certo livore; 2) passate sotto silenzio le ragioni dell’allontanamento – non per capricci, credo – mio, di Roman Tomat, di Cambiaghi e non so se di altri; 3) visto che parlate di “ascolto dei cittadini”, non potevate replicare e ragionare pubblicamente (e democraticamente) alle critiche mie o di altri; e anche alla proposta – di sicuro priva di «sarcasmo» o «dileggio» – da me fatta il 4 luglio 2022 (https://www.facebook.com/…/colognom/posts/5237514563019174) del nome di Antonio Tagliaferri come candidato sindaco; 4) vi raccontate una storia reticente di CSD. In proposito, vi faccio notare che: a. sono state poche le persone provenienti dalle «esperienze dei movimenti di sinistra nati nel ’68» confluite in CSD, dove è sempre prevalsa la componente cattolica e parrocchiale; b. non spiegate le ragioni dell’interruzione della «pratica partecipativa del Forum cittadino» sorto in occasione della campagna elettorale per “Beretta Sindaco” nel 2004. Concludendo. Ho trovato scorretto che citiate dei miei interventi solo alcune frasi decontestualizzate. E che non diate una spiegazione sincera (innanzitutto a voi stessi) del vostro silenzio negli ultimi mesi, che mi è parso imbarazzato, autodifensivo e dovuto all’accettazione di un dogma indiscutibile, che è poi la ragione principale del mio dissenso da voi: il vostro rapporto acritico col PD. Infatti, anche quando affermate che «Il PD ha “scaricato” la candidata Sindaco nella prima seduta di Consiglio Comunale» non ne traete la conseguenza per me logica: che si tratta di un partito che strumentalizza e inganna i suoi alleati. Cordiali saluti Ennio Abate

 

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Eravamo con gli operai

 

In morte di Vincenzo Martinelli

in questa sempre brutta periferia
inermi e senza più compagnia
signora Morte ci trascina via

a cura di Ennio Abate

Questa testimonianza sulla vita di Vincenzo Martinelli la raccolsi nel 2018 in vista della preparazione del libro STORIE DI PERIFERIE. COLOGNO MONZESE NEGLI ANNI ’70 a cura del gruppo “on the road” – edizione fuori commercio 2020.
Vincenzo delinea un percorso comune nei decenni ’60-’70: dalla condizione iniziale di isolamento, vissuta da migliaia di immigrati dal Sud diventati al Nord operai in fabbrica – per lui  in quel piccolo inferno dell’hinterland  milanese (la Manuliplast di Brugherio) –   Vincenzo si ritrova a vivere un momento esaltante e straordinario di rivolta e di vera democrazia (’68-’69). Scopre la politica e il sindacalismo. E diventa un militante politico di base, un leader legato alla sorte degli operai.
Poi percorrerà – sempre come tanti –  la via crucis  della sconfitta: perdita del lavoro, difficoltà economiche, sbandamento. E dovrà accorgersi – con quanta sofferenza non lo dice, lo lascia intuire – che la passione sua e dei suoi compagni e la prospettiva che si potesse cambiare  o addirittura rivoluzionare la fabbrica e l’intera società erano state presto riassorbite e cancellate. Con le stragi e la strategia della tensione. Con i compromessi  e le scelte moderate delle organizzazioni che controllavano e guidavano le lotte operaie (PCI e Sindacato). Con l’estremismo  suicida e omicida delle formazioni armate (Brigate Rosse e altre) che, coinvolte in modi tuttora misteriosi e controversi nel rapimento e nell’uccisione di Aldo Moro, ebbero comunque un effetto certo: chiudere la bocca a lui, agli operai e a migliaia  di militanti della Sinistra (storica o nuova).
Anche Vincenzo si dovette adattare alle condizioni degli sconfitti. Dopo gli anni Settanta s’impegnò nel volontariato e si occupò di patronato da sindacalista scrupoloso e attento alla difesa quotidiana dei lavoratori. 

Rileggo oggi questa testimonianza nel momento di lutto per la sua morte. La trovo sobria e sincera. E’ soprattutto ricca di riferimenti puntuali  alla durezza, alla nocività, ai rischi per la salute (e a volte per la vita) del lavoro in fabbrica. Vincenzo non taceva sulla sua gestione militaresca da parte dei dirigenti aziendali. E neppure sulla repressione antioperaia da parte di carabinieri e magistratura. Questo è il vero nucleo di verità collettiva e storica vissuta e incisa nella sua memoria. Sul resto, quando svela un certo antintellettualismo sia pur temperato dall’amicizia o una diffidenza e un rifiuto quasi  morale verso le esperienze giovanili  o femministe o più culturalmente americanizzate (cfr. il giudizio verso l’esperienza del Circolo la Comune  e anche dell libreria Celes) mi pare a disagio e troppo guardingo. Nel rielaborare la sua storia non ha mai potuto o voluto abbandonare la nostalgia per la sua giovinezza  di militante politico («Posso dire che sono rimasto ideologicamente di AO»). Come se  fosse rimasto per sempre legato alla durezza di quel mondo  operaio scomparso, che l’aveva accolto e riconosciuto come leader. E forse alla matrice contadina originaria e profonda del Sud. Due ragioni del suo rifiuto istintivo delle seduzioni ambigue di quel desiderio dissidente (Fachinelli), dilagate  tra i giovani e le donne. Da considerare, comunque, con grande rispetto. [E. A.] Continua la lettura di Eravamo con gli operai