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Criticare, non calpestare Walter Benjamin

a cura di Ennio Abate

Da tempo su FB sempre meno mi sento di entrare  in polemica con  persone che mi paiono intelligenti, preparate e  affrontano le stesse questioni  (globalizzazione, populismi, nazionalismi, imperialismo, neocolonialismo,   guerra in Ucraina,  oltrepassamento  o riconferma della distinzione  tra destra e sinistra, abbandono o ripensamento delle opere dei  nostri “antenati”), sulle quali – da isolato –  io pure continuo a riflettere.  Perché le posizioni  che si confrontano sono sempre più divaricate e inconciliabili. Eppure a volte mi chiedo. ma perché dargliela per vinta? perché tacere sulle differenze che – pur in una apparente ricerca comune –  vengono fuori?  E allora mi sento di intervenire e di ragionare in pubblico.  Pur sapendo che lo scambio è diseguale e viziato in partenza dai rapporti  (sfavorevoli) di potere tra me (un isolato) e loro (ben inseriti e appoggiati da solide istituzioni). E’ il caso di questa mezza discussione su Walter Benjamin con il filosofo Vincenzo Costa (qui).  Pubblico l’istruttiva cronaca  dello scambio. Che ripropone per me la domanda cruciale: criticare sì, ma in quali modi e per quale progetto.  Continua la lettura di Criticare, non calpestare Walter Benjamin

Una poesia di otto anni fa sulla Grecia (e la Francia)

di Ennio Abate

GRECIA, VECCHIA SEI, DIMMI COSA SEI E SAI

Come potevano tagliare il mantello
e dividerlo con l’ignudo al freddo
se ambivano bere nei calici
della Grecia aristocratica?

Come potevano credere che i dannati
della terra, avendo eruttato
la loro rabbia solo tra le crepe della storia,
fossero inesistenti e da sbeffeggiare?

Oh, caldi nipotini di Danton, algidi
epigoni di Robespierre, ascoltatela
la vecchia madre Grecia, non l’antica!

Storia. Storie.

di Ennio Abate

Ahi, noi! I finti vivi
respiranti sazi e distratti
intenti alle proprie
- intere (crediamo) -
assorbenti storie!

Parziali racconti, invece.
Come ceneri del lusso
salgono in vecchi e illustri camini.

Fuori nuovi corpi migranti
s’affaticano in crani già più smussati.
Riprendono in lingue ibride
parole comuni
bisogni di sempre.
Guerreggiano in altre forme
sui nostri morti passati.
Prosciugano i riflessi di sole
nelle pozzanghere d’Occidente
dove la nostra finì.

Unici.
Insopportabili.
Inconcepiti.

I partigiani ieri.
I moribondi ieri a Baghdad.
Les banlieues ieri e oggi.

(2006/2023)

P.s.
Leggendo su FB i commenti di Maria G Meriggi e Lanfranco Caminiti sui fatti di Francia.

In morte di Silvio Berlusconi

Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
Rosso e turchino, non si scomodò:
Tutto quel chiasso ei non degnò d’un guardo
E a brucar serio e lento seguitò.
(da Giosuè Carducci, Davanti San Guido)Commenti sparsi

Ennio Abate
Questo è il padre politico del CETOMEDISMO (italiano) che ha raso al suolo la sinistra.

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A che punto è a nuttata a Cologno Monzese

Riordinadiario maggio 2023

 di Ennio Abate

“Ci sedemmo dalla parte del torto [del 51, 91% dei non votanti o schede nulle] visto che tutti gli altri posti erano occupati [dalle coalizioni dei partiti]”
(B. Brecht rivisto nel 2023 a Cologno Monzese) Continua la lettura di A che punto è a nuttata a Cologno Monzese

In morte di Luigi Manzi. Un omaggio

di Ennio Abate

Rimando all’articolo e ai commenti del 4 agosto 2013 sul blog POESIA E MOLTINPOESIA

QUI

e aggiungo questo  mio appunto:

RIORDINADIARIO DI E. A./

A PROPOSIO DI LUIGI MANZI

12 marzo 2013

A G. Linguaglossa:

La poesia di Luigi Manzi è una bella poesia, ma non aiuta a chiarire l’uso equivoco che fai del termine «piccola borghesia». Ora anzi parli addirittura di «essenza «piccolo borghese»; e cioè sottrai la categoria al piano storico, l’unico per me valido per non sfondare verso una sorta di “metafisica sociologica”.
Se ci atteniamo a tale piano, sarà chiaro che possiamo ( o si poteva almeno fino agli anni Settanta del Novecento) parlare con una certa precisione di piccola borghesia. Era la classe intermedia (e tutto sommato secondaria) tra la borghesia e il proletariato, le due protagoniste del conflitto “fondamentale” nella società capitalistica. Era la visione classica marxista, che in certe sue ripetizioni scolastiche ha, quando erano forti i partiti della sinistra socialista e comunista, alimentato purtroppo atteggiamenti moralistici e di svalutazione nei confronti della reale piccola borghesia e da parte degli stessi intellettuali piccolo borghesi, spesso tra I più più sensibili al “conflitto di classe”. Conflitto che pareva imponesse loro di di stare, appunto, o con i dominatori (borghesi) o con i dominati (proletari o operai).
Questo residuo moralismo, oggi di segno ribaltato per il crollo di quelle ideologie, mi pare emerga nel tuo commento quando parli di Giovanni Giudici ed ironizzi sul «mandato catto-comunista di attenzione alla vita quotidiana degli “umili”, cioè i piccoli borghesi che edificavano a quel tempo la nazione».
Non mi pare poi che regga neppure la contrapposizione netta che vedi tra Manzi e Giudici o tra la poesia di Manzi e quella di Giudici.
Non so quale sia l’estrazione sociale di Manzi, ma non credo sia troppo diversa da quella di Giudici o da quella nostra; cioè di appartenenti al ceto medio (in via d’impoverimento) che possiamo considerare l’erede della piccola borghesia del secondo Novecento. Quindi, sul piano strettamente sociologico, piccolo borghese era Giudici e piccolo borghese all’incirca sarà anche Manzi.
Ma spostandoci sul piano simbolico, ti pare che l’attenzione «alla Attualità, al Quotidiano, al Privato» possa essere un attributo esclusivo di una poesia “piccolo borghese”? E dove stanno allora Manzi e la sua poesia, ammesso che riescano a prendere «le distanze da tutto» – (un inspiegabile “mistero” per me, se Manzi vive in questo nostro povero Paese) – o non siano «né di destra né di sinistra» e non puntino « al centro, né al cielo della cielità né alla terra della presunta terrestrità»?
Posso ammettere che la sua sia « una poesia senza mandato, senza mandatario», ma «senza messaggio»? E poi davvero «non si rivolge a nessuno né vuole convincere nessuno»?
Resto alquanto scettico. A me pare che, per correggere le distorsioni di una certa poesia “impegnata” o “propagandistica” di anni passati, si finisca per attribuire l’etichetta di «grande poesia» solo a quella che ha perso o cela i suoi legami con la storia e la realtà. (E sia chiaro che qui non mi sto pronunciando né su questa poesia di Manzi né su di lui).

Erbario

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Narratorio grafico 1976-’84 (1)

di Ennio Abate

Nel marzo 1986 preparai una prima bozza di fotocopie del mio narratorio grafico (che poi diventerà “di Tabea Nineo“). E’ composta da 174 disegni, tutti in b/n e realizzati con inchiostro di china e pennino tra il 1976 (anno in cui terminò la mia esperienza politica in Avanguardia Operaia) e il 1984. Il senso dinamico e drammatico di questa ricerca , sempre divisa e oscillante tra  immagine e parola (qui), si coglie leggendo le voci dell’Indice (cfr. Appendice): delle  sezioni: Salernitudine, Mortificazione del sogno contadino, Immigratorio, Samizdat, poi riprese in vari modi anche nelle mie Poeterie e nel Narratorio; e dei titoli che improvvisai al momeno selezionando i 174 disegni.  Pubblico  i disegni (pochi) di  Erbario aggiungendo oggi brevi note  e il richiamo possibile a un testo in versi del mio  Reliquairio di gioventù. [E. A.]  Continua la lettura di Erbario