SULL’ASSEMBLEA DELLE LISTE CIVICHE (ARTLISTA E CSD)
6 OTTOBRE 2022 IN VIA PETRARCA A COLOGNO MONZESE
di Ennio Abate
Ieri sera sono stato all’”auditorium” di Via Petrarca per seguire l’assemblea pubblica di ArtLista e CSD. La prima dopo il commissariamento del Comune di Cologno Monzese ma anche dopo la clausura per Covid e lo sconquasso per la guerra in Ucraina. Un po’ di pubblico (di anziani, molti di loro con un certo passato politico alle spalle) e anche qualche giovane.
Che delusione, però!
Esisterebbero ancora tutte le buone ragioni per continuare come Poliscritture, rivista che – ricordo – è iniziata nel 2005, un lavoro di laboratorio di cultura critica. Ma le cose – come si è visto – non sono andate e non vanno bene. Giocoforza nel 2017 abbiamo dovuto interrompere la pubblicazione della rivista cartacea (qui gli 11 numeri usciti). Anche due tentativi di rilanciare una redazione collettiva (il primo nello stesso 2017: Poliscritture 2; il secondo nel 2021: Poliscritture 3) si sono arenati. Poche e saltuarie restano le collaborazioni di autori giovani. Comunico, perciò, che abbandono definitivamente il progetto collettivo di Poliscritture. E sostituisco il suo affermativo sottotitolo con un volenteroso ma solo augurale Per un laboratorio di cultura critica. La nuova fase – declinante – della rivista sarà a cura di Ennio Abate e basta. E in questo luogo, fin quando potrò, pubblicherò i miei scritti (poeterie, narratorio, appunti politici e di lettura), ospiterò le rubriche intestate ad alcuni amici/che ed i testi da me ritenuti validi, che altri/e ancora dovessero propormi.
Grazie dell’attenzione.
P.s.
Nei prossimi giorni ritoccherò titoli, rubriche e grafica della Home Page
Nota
L’immagine d’accompagnamento è di Paul Klee. Il titolo è “Senecio”. Dicono che rappresenti con forme rettangolari geometriche racchiuse in un cerchio un volto di un vecchio e che forse il soggetto raffigurato sia lo stesso Klee. L’opera è del 1922.
E ADESSO POVER’UOMO [E POVERA DONNA] DI SINISTRA?
ADESSO CHE IL “NEOFASCISMO” [MELONI E FRATELLI D’ITALIA], SDOGANATO DAGLI USA, E’ ARRIVATO AL GOVERNO?
Prova ad “uscire di pianto in ragione” (Franco Fortini)
Continuerò a pubblicare alcuni dei capitoli che giudico sufficientemente elaborati di "A Vocazzione". Questo è nato in dialetto, forma che considero irrinunciabile - spiegherò in altra occasione le ragioni - per buona parte della prima sezione del mio Narratorio. Ma per agevolare ai non dialettofoni la lettura del mio salernitano/napoletano (di memoria), ho invertito l'ordine: prima la traduzione in italiano e poi il capitolo in dialetto.
Questa lunga intervista risale al 2015. La considero un’intervista-duello. Da una parte ci sono le 9 domande preparate da uno come me, convinto che la poesia sia lavoro: da distinguere (non separare) da tutte le forme (storiche) del lavoro umano. Esse mirano, perciò, a chiarire per quanto possibile le radici materiali (biografiche, storiche, geografiche, culturali) del «fare versi». Dall’altra ci sono le risposte di Sagredo, che a volte eludono o contestano apertamente le domande; e teatralizzano una visione della Poesia come inattesa Visitatrice, che quasi sottopone a stalking il poeta («ho pregato più volte, l’anno scorso, la Poesia di non disturbarmi più… invano! L’ho pregata da quando iniziai due decenni fa»). Il risultato mi pare, comunque, interessante: Sagredo espone qui numerosi ricordi del suo «periodo infantile» o della sua «esperienza adolescenziale leccese-salentina»; rende note alcune fonti ispiratrici o guide della sua ricerca (Vanini, Ripellino, «il santo Federico» [Nietzsche], Tommaso Riccardo, Stirner, i formalisti russi, Andrzej Nowicki, Francesco P. Raimondi ,ecc.); esalta il cosmopolitismo culturale (novecentesco) contrapponendolo – a mio parere sin troppo – alla «mancanza d’aria» della poesia italiana; e rivendica una assoluta libertà («I miei versi sono nati nella massima e totale libertà e verità interiori, una sorta di creazione arbitraria senza zavorre culturali»). Il lettore valuterà le ragioni delle due posizioni .
In una notte piovosa. C’era uno omino con una testa grossa che, mentre correva, perdeva pezzi del suo corpo. Perse dapprima un piede. Poi la mano, mentre il fascio di luce di un lampione (che subito dopo si spense) gliela illuminò, squarciandola). Biancore tremendo. Si sentì l’inizio di una musica: un andante disperato. Un cane latrò. La musica si arrestò.
L’ombra dell’uomo che correva – aveva perduto ormai tutto il petto, cuore compreso – schizzò davanti a lui. Fermati, ti prego! – gli disse – Non sei più quello di una volta. Fatti in là, maledetta – sibilò l’omino – Non mi hai voluto coprire quando avevo freddo. Adesso vattene!
Passavano alcuni giovani. Uscivano da un cinema discutendo della trama del film appena visto. Esprimevano impressioni bambinesche e se le ributtavano addosso l’un con l’altro. Ad alta voce. L’omino voleva intervenire. Aveva visto anche lui quel film.
Ormai, però, aveva perso quasi tutti i suoi pezzi. La sua testa tonda stava finendo di rotolare verso un muro in fondo alla strada. Il suo occhio, prima che la testa si fermasse dolcemente sul ciglio del marciapiedi tra mozziconi di sigarette e cartacce colorate, staccandosi saltellò oltre sull’asfalto come una biglia .
FRANCO FORTINI, IL DISSENSO E L'AUTORITA'
(QUADERNI PIACENTINI N. 34 - MAGGIO 1968
Dicevo nella conclusione della Prima parte: «Tutte queste perplessità si rafforzarono dopo la lettura della replica di Fortini a Fachinelli».
Sul numero successivo dei Quaderni Piacentini – il 34 del maggio ’68 – nel saggio «Il dissenso e l’autorità» di Franco Fortini trovai, infatti, un immediato contrappunto al discorso psicanalitico del saggio di Fachinelli.
Qui si suonava un’altra musica, dissonante rispetto a quella utopistica e suadente-ambivalente di Fachinelli. Ho pensato più tardi che, leggere Fortini dopo Fachinelli, fu come passare dal tiepido-bollente dell’occupazione della Statale di Milano a una doccia fredda in una stanza appartata e in ombra. Vediamo perché. Continua la lettura di Fachinelli e/o Fortini? (2)→
In «Lasciare un segno nella vita. Danilo Montaldi e il Novecento»
a cura di Goffredo Fofi e Mariuccia Salvati (6)
di Ennio Abate
Ho letto con rispetto e curiosità questo saggio di Gabriella Montaldi Seelrhost, la vedova di Danilo Montaldi; e, al posto di una breve recensione, mi è venuta fuori una riflessione lunga e impegnativa. La propongo con la massima disponibilità a confrontarmi (in particolare con quanti conobbero ben più di me Montaldi) e, se necessario, a correggerne il taglio forse troppo critico che ha preso.
Il saggio si concentra sul periodo di formazione e si conclude con la seconda metà degli anni Cinquanta, quando la ricerca da autodidatta di Montaldi ottiene il riconoscimento di intellettuali di valore come Fortini, Vittorini, Pizzorno e le sue prime “storie di vita” compaiono su importanti riviste italiane. Continua la lettura di Gabriella Montaldi Seelhorst, La formazione. Lasciare un segno→
Riapro la cartella 1973-1975. I fogli sono dattiloscritti. Alcuni sono di carta velina. (Allora si usava ancora per ricavare una o più copie di un documento dattiloscritto, mettendo tra i fogli la carta carbone[i]Continua la lettura di Riordinadiario 1975→