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Rifacimento di una poesia di “Immigratorio” (2011)

di Ennio Abate

Ué, Salierne, ire china e zitelle 
cu l’uocchie triste. Cummannata 
ra prievete e avvocatuzze smuorte.
T’assaggiaie. ‘Na cirasa acre ire.

Po sì maturate. E sò maturate 
e figliole ca, qunn’ere giovane
e me ne jette, nun permesse 
accuvate, luntane  viriette. 
 
Mò si e sere so cumm’allore 
e pe vie toie nu poche chiove 
ancore, a piaghe nun se sana 
chiù e ma porte appriesse.
 
Nun chiù presepie,  munne sì. 
Cumm’ati munni  scumbinate.
E a lengua - mia e toia - accussì 
antiche? E' raggia. O è niente.

4 giugno 2024

Ué, Salerno, eri piena di zitelle / dagli occhi tristi. Comandata/ da preti e avvocatuci pallidi. / Ti assaggiai. Una ciliegia acre eri. // Poi sei maturata. E sono maturate / le ragazze che, quand’ero giovane e me ne andai,/ vidi proibite,/ nascoste, da lontano. //Ora se le sere sono come una volta e per le tue vie nu poche chiove * ancora, la piaga non guarisce e me la porto con me. Non più presepio, mondo sei. Come altri mondo scombinata. E la lingua – mia e tua – tanto antica? E’ ira. O è niente.

* da Salvatore Di Giacomo.

Appendice

Versione pubblicata in “Immigratorio” (CFR 2011)

Uè, Salierne!

Che città cummannate ra prievete
chiene r’avvocatucci pallid’e zitelle 
cu l’uocchie triste 
ca ire! 

T’assaggiaie, ‘na cirasa acre ire. 
Sì maturate. Sò maturate 
e figliole ca viriett’e studentess’e 
ma cose nascoste, punizione
sì state 
e sì rimaste! 

Me ne jette nu juorne 
e mò torne ancore. 
È sere, nu poche chiove 
ma rammelle jà 
chelle ca m’accuvaste
quann’ere guaglione 
e ‘mparave a vulà 
cumm’a n’aucielle.

 Sì, vulave, vulave 
e vulive ì luntane!
Ma e scelle erene debbule 
e te l’aje spezzate partenne
prime ro tiempe. 
A piaghe ca te sì purtat’appriess’e 
nun t’a pozze curà cchiù. 
Tuorne viecchie. E vecchia 
me truove. 
Nun sò chiù presepie 
ma munne cumm’ati munni 
tutta scombinate.
Chelle ca teneve to diette: 
sta lengua antiche
lengua e malincunie
ca parlavene e pariente tuoje
pe rusculià storje e mmuorte
ambresse ambresse
accussì strengevene meglie
a raggia mmiezz’e riente.



____________________________ 
Ué, Salerno! 

Che città comandata da preti/ affollata da pallidi avvocatucci e da zitelle/ dall’occhio triste/ fosti //Ti assaggiai, eri una ciliegia acre./ Sei maturata./ Sono diventate mature/ le fanciulle che vidi studentesse/ ma cosa non svelata, punizione/ sei stata/ e sei rimasta!// Me ne andai un giorno/ e adesso torno ancora. È sera, nu poche chiove/ma dammelo (suvvia)/ ciò che mi nascondevi/quand’ero ragazzo/ e imparavo a volare/ come un uccellino. //Sì, volavi, volavi/ e volevi andare lontano!/ Ma le tue ali erano deboli/ e te le spezzasti partendo/ prima del tempo./ La piaga che ti portasti dietro/ io non posso più curartela./ Torni da vecchio. E invecchiata/ trovi anche me.// Non sono più presepe/ma mondo come altri mondi/ tutta in disordine./Quello che avevo te lo diedi:/questa lingua antica/ lingua di malinconia/ quella che parlavano i tuoi parenti/ per rovistare nelle storie dei loro morti/ansiosamente,così stringevano meglio/ la disperazione tra i denti. 

Riordinadiario 2006. “Prossimamente” di Giancarlo Majorino

Intervista di Ennio Abate a Giancarlo Majorino (2006)

Alla rilettura d’oggi (2024) due cose colpiscono: – l’affermazione amarissima di Giancarlo Majorino: «il comunismo dovunque arretrato /non il terrorismo!» (p.75);  la sua speranza (ancora blochiana) che “la torcia”, esprimente una distruttività crescente (essendo, allegoricamente, una torcia, può tuttavia tanto disgregare e annientare, quanto rischiarare). [E. A.]

Perché questo titolo ambiguo, che fa pensare sia a una “profezia” sia – come si dice nel risvolto di copertina – ad un anticipo del [tuo] poema? [1] Continua la lettura di Riordinadiario 2006. “Prossimamente” di Giancarlo Majorino

Nei dintorni di Franco Fortini (1996-2024)


di Ennio Abate

Ho fatto un indice in ordine cronologico (dal 1996 al 2024) di tutti i miei scritti – almeno quelli che sono riuscito a recuperare da una breve ricerca su vari blog da me curati o seguiti – su Franco Fortini e su temi collegabili alla sua opera. Alcuni sono dei saggi ma prevalgono gli interventi o i commenti d’occasione, spesso con repliche a vari interlocutori. L’insieme costituisce l’ossatura di un “quasi libro” cui da decenni penso. Lo pubblico sperando ancora in suggerimenti o osservazioni da parte  di lettori attenti a questi temi. E in qualche improbabile indicazione su un possibile editore interessato a questo mio  solitario studio per “proteggere le nostre verità”. (E. A.) Continua la lettura di Nei dintorni di Franco Fortini (1996-2024)

Consigli al giovin scrittor d’oggi (febbraio 1998)

Omaggio camuffato a “Breve secondo Novecento” di Franco Fortini
in “La mosca di Milano” 

di Ennio Abate

1.

Se/ obbligato ai tic e vivaci moine/
per salotti e soirées/ fra ceti medi e alti/
hai corso/
qualcosa di grandioso e abietto/ sullo sfondo/
e in filigrana/
feroci e oscure circostanze
sveli/
la tua cartamoneta scritta/

Piena di leggerezza/ allor/
sarà nel crash delle utilitarie/
la tua danza davanti alla ghigliottina

2.

Or che alle domande capitali /
della religione e della storia/
ha risposto il Capital (rivista!)/
e le Avanguardie/
han fatto flop (o Blob)/
rifugiati in camera da letto/
e goditi la gamba della donna

Ovvio premunirti/ lo puoi/
e teco reca in scorta/ fra sensualità e amarezza/
fazzolettini ricamati della migliore educazione letteraria/
il tuo io stia / insieme egocentrico e decentrato/
comodo/ su un paesaggio di vacuità festiva/
di serenità appena minacciata dalla vecchiaia

3.

Trova dei critici simili a te/
non gemelli/ ma della tua medesima cultura/
Dissipa e moltiplica i punti di vista/
le fratture/ gli antagonismi storico-sociali/
smessi/ abbandonali a quelli/
del Leoncavallo/

Rendi comico/ il Tutto/
di D’Alema il sorrisetto sprezzante/
del Buttiglione il viso allucinato e scimmiesco/
il capital di Berlusconi / così cafone e illuminato poco/
Sii fine insomma/ anche con Fini/
Scrivi solo bene/ per nuova plebe/
un bel collage alla Eco/
o alla Calvino un esatto montaggio/
del Nulla

4.

Giammai nelle tue poesie/
la miseria delle latterie/
Ma dovessi entrarci a scaldarti/
da disoccupato/
(cor gentil non scansa/ il suddetto malanno!)/
o per innominabili/ questioni economiche/
nelle periferie languissi/
spargi in crudi romanzi/
pedofili spelacchiati da giardinetti/
adolescenti cannibali in pubblci cessi porno-graffiti/
lolite manipolate su banchi di scuola/
durante l’ora obbligatoria di sesso a iosa/
Più squallide che puoi/ descrivile/
americanizzale/ bronxeggiale per benino/
e avrai/ in centro/ di botto una mansarda

5.

Non scrivere le verità che hai/
nel povero tascapane della tua esperienza/
Ai lettor paganti l’ozio guastan/
e sol dispersi e vaganti/ in estinzione/
critici ancora gustan/
Tu dei saper/ che sol/
procaccia fama/
l’Internet de il piacere della lettura/
Se l’amena rete/
è già intasata/ insisti/
Recati pellegrin/ nei siti del tardo romanzo storico/
o della rinomata/
apologia del comico e dell’ironia
Frequentali/ seduci/ fai ridere/
Dai l’impressione di un livello di cultura/
molto alto/

Ridi, godi o fingi/
e ti comprerà/ il partito di coloro che ridono/
poiché il mondo vuole essere ingannato

Nota

Breve secondo Novecento è un “libricino” postumo di Fortini uscito nel 1996 da Piero Manni con prefazione di Romano Luperini. Non mi risultano commenti o echi di rilievo, dopo l’annuncio della pubblicazione da parte di Attilio Lolini (il manifesto 10 ott. 1996). E forse è meglio così, visto che la prima circolazione era stata pensata solo per amici e conoscenti.
A me sta caro: è una tessera in più del mosaico personale che mi vado costruendo della sua opera, che rappresenta una singolare scuola di avviamento ad una scrittura critica per intellettuali di massa. Specie per quelli d’oggi, rabbuiati e confusi.
Una lettura attenta di Breve secondo Novecento ci mette poi di fronte all’ineludibile conglomerato storico-letterario-politico a cui lo stesso Fortini è appartenuto e che è oggi quasi del tutto ignorato dal dibattito culturale.
Fortini è fra i più letterati del Novecento. Eppure anche in queste brevi ritratti di trentasei moderni – da Arbasino a Calvino, Eco, Luzi, Pasolini, Zanzotto – sfora la Letteratura come un palloncino. Con i suoi spilli critici la libera dai miasmi d’accademia, di cenacoli, di gang, di Radio 3. Senza svenderla né restituirla ai Sacerdoti della Parola o del Mito.
Altri hanno compiuto operazioni in apparenza più radicali. Ma, abbassandola fino alla Trivial-literature o dissacrando il già abbondantemente dissacrato e contribuendo a resuscitare, per reazione, orfismi e new age, l’hanno resa indovinello, spettacolino, giochino miniaturizzato, merce insomma al contempo più elitaria e più vendibile, ma umanamente inservibile.
Pagine “letterarie” si trovano su tutti i mass media. Ma il revisionismo letterario è florido quanto quello storico e i cattivi maestri vengono sbeffeggiati, ripesati con la bilancia del buonismo o del cattivismo permesso e liquidati dai loro ex allievi approdati alle cattedre, ai salotti, alla TV.
Nulla, perciò, a gran parte del pubblico ancora leggente dice più il nome di Fortini e tantomeno interessano i problemi teorici, politici e di poetica su cui assieme ad altri spese una vita.
Di recente persino una giovane saggista capace di una polemica non puramente televisiva, come Carla Benedetti, ha preferito parlare di «Pasolini contro Calvino», saltando a più pari la critica fortiniana ad entrambi.
Come il barone di Munchausen si volle tirar fuori dalla palude prendendosi per i capelli, la Benedetti cerca una «via d’uscita dal gioco bloccato della letteratura» scegliendo una delle sue varianti postmoderne: postuma, sciolta (come un’Alka Seltzer) o ammaliata dal caos esterno (Leggi: mercato).
Come allora ripronunciare nomi di scrittori innominabili e richiamare problemi in apparenza “superati” ad una generazione che cova tranquilla nella bambagia della fine della storia e non sa che farsene degli antenati? o tirar l’orecchio al giovin scrittore senza staccarglielo? e infine invogliarlo a farsi critico, senza sentirsi chiedere quanto costa e a quale scuola di scrittura bisogna rivolgersi?
Mascherandosi da cinico andante. Miscelando Parini e Fortini. Sgambettandolo mentre corre verso il successo preordinato. Ci ho provato. Prosit.

Primme piezze e Salierne rint’a cape e Chiero

Narratorio 11

di Ennio Abate

Dint’a chella casa nove, e primme juorne – l’avite già raccuntate, Narratò! – cumme se sentevene sule, isse e Eggidie! Parevene duie piccirille lamentuse. Quanne c’ere o sole, saccusciavane pe tutt’o iuorne n’terra o balcone. Attacavene cu nu spaghe ao curnecione e a maniglie ra feneste langhele e nu miezze lenzuole viecchie, ca Nannìne tirava fora ra na panca, e se mettevene sott’a sta tenda arrangiate. A guardà o ciele e o mare luntane? No, stevene ore e ore a spià si quacchune passave pa vie. Ma pe via Sichelgaite passave poca gente. O nisciune proprie. E si verevene quacche guaglione o guagliottole ca iucavene miezz’a via, Nannine nunn’e vuleve fa scenne. Quanne po chiuveve o ngere viente forte, se ne stevene ncopp’ao pavimente, tiranne na palline e vetre contre e noce o e nucelle ca erene e birilli. Nun tenevane manche e giurnalette ra guardà. E Nannine nun sapeve cumme fa pe cunsulà. Se senteve perze pur’esse. O ere sule Chiero ca se senteve estranie, pure si ngerene Nannìne e Eggidie, pecché aveve perze a fune ca o teneve assieme ae cuggine, a nonne, ae zie, ae gatte, ae cilluzze e Casebbarone? Nu strappe rinte? Nu spaesamiente? Continua la lettura di Primme piezze e Salierne rint’a cape e Chiero

Lavorando a Narratorio

di Ennio Abate

Scorri, buia campagna d’infanzia, mostra  i tuoi sterpi.

Ci siamo fatti vecchi. Ci siamo persi. E ai bambini
sognatori che fummo – biascicanti favori, baciamani,
abbassaocchi – somigliamo nella sofferenza dei ricordi.

Dal braciere di povere fiabe scintillano ancora
immagini pie contro geli pugnalatori. Conservare
queste marmellate di paure, cibo di compassione.

E non scendere irriconoscibili e muti
negli immensi cimiteri marini dei dimenticati.
Narreremo furie e lamenti della carne dei viventi.
Nutriremo l’impazienza di altri combattenti.

8 maggio 2024

* Copertina. Tabea Nineo, Nonna animali contadino e nudo, carboncino 1990

 

Ra e mane e zi Luigia ae mane re mierece

Narratorio 10

di Ennio Abate

Dopo aver corso quel rischio di morte all’inizio della sua vita e dopo l’incidente del dito – l’unghia saltata non ricrebbe più e la punta del dito rimase deforme [1] – l’infanzia di Chiero fu punteggiata da vari malanni e  un serio incidente. Il Narratore perché dovrebbe saltarli?
Nel passaggio da Casebbarone a Salierne gli  venne l’uocchie sinistre strabbicheun occhio era rimasto a Casebbarone e l’altro era attirato da Salierne? – e per qualche tempo dovette portare gli occhiali corretivi. E i coetanei – terribili! –  sfottevano: o quatruocchie! Continua la lettura di Ra e mane e zi Luigia ae mane re mierece