di Ennio Abate
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di Ennio Abate
Questo articolo fu pubblicato su ALLEGORIA n. 20-21, Anno VIII, NUOVA SERIE, 1996, nella rubrica “La ricezione”. Il suo sottotitolo, “Rileggendo i necrologi in morte di Franco Fortini”, chiariva bene il suo contenuto. La pagina 276, che qui ho copiato, riassume la critica che ha guidato da allora la mia riflessione su Fortini: “la maggior parte della cultura di sinistra italiana [che nel 1996 ancora c’era] non può più onorare Fortini assieme al suo comunismo. Perché se ne era già da tempo disfatta (di quel comunismo e di Fortini)”.
Continua la lettura di Il falso vecchio dentro il rumore di fondo
di Ennio Abate
Ué, Salierne, ire china e zitelle cu l’uocchie triste. Cummannata ra prievete e avvocatuzze smuorte. T’assaggiaie. ‘Na cirasa acre ire. Po sì maturate. E sò maturate e figliole ca, qunn’ere giovane e me ne jette, nun permesse accuvate, luntane viriette. Mò si e sere so cumm’allore e pe vie toie nu poche chiove ancore, a piaghe nun se sana chiù e ma porte appriesse. Nun chiù presepie, munne sì. Cumm’ati munni scumbinate. E a lengua - mia e toia - accussì antiche? E' raggia. O è niente. 4 giugno 2024
Ué, Salerno, eri piena di zitelle / dagli occhi tristi. Comandata/ da preti e avvocatuci pallidi. / Ti assaggiai. Una ciliegia acre eri. // Poi sei maturata. E sono maturate / le ragazze che, quand’ero giovane e me ne andai,/ vidi proibite,/ nascoste, da lontano. //Ora se le sere sono come una volta e per le tue vie nu poche chiove * ancora, la piaga non guarisce e me la porto con me. Non più presepio, mondo sei. Come altri mondo scombinata. E la lingua – mia e tua – tanto antica? E’ ira. O è niente.
* da Salvatore Di Giacomo.
Appendice
Versione pubblicata in “Immigratorio” (CFR 2011)
Uè, Salierne! Che città cummannate ra prievete chiene r’avvocatucci pallid’e zitelle cu l’uocchie triste ca ire! T’assaggiaie, ‘na cirasa acre ire. Sì maturate. Sò maturate e figliole ca viriett’e studentess’e ma cose nascoste, punizione sì state e sì rimaste! Me ne jette nu juorne e mò torne ancore. È sere, nu poche chiove ma rammelle jà chelle ca m’accuvaste quann’ere guaglione e ‘mparave a vulà cumm’a n’aucielle. Sì, vulave, vulave e vulive ì luntane! Ma e scelle erene debbule e te l’aje spezzate partenne prime ro tiempe. A piaghe ca te sì purtat’appriess’e nun t’a pozze curà cchiù. Tuorne viecchie. E vecchia me truove. Nun sò chiù presepie ma munne cumm’ati munni tutta scombinate. Chelle ca teneve to diette: sta lengua antiche lengua e malincunie ca parlavene e pariente tuoje pe rusculià storje e mmuorte ambresse ambresse accussì strengevene meglie a raggia mmiezz’e riente. ____________________________ Ué, Salerno! Che città comandata da preti/ affollata da pallidi avvocatucci e da zitelle/ dall’occhio triste/ fosti //Ti assaggiai, eri una ciliegia acre./ Sei maturata./ Sono diventate mature/ le fanciulle che vidi studentesse/ ma cosa non svelata, punizione/ sei stata/ e sei rimasta!// Me ne andai un giorno/ e adesso torno ancora. È sera, nu poche chiove/ma dammelo (suvvia)/ ciò che mi nascondevi/quand’ero ragazzo/ e imparavo a volare/ come un uccellino. //Sì, volavi, volavi/ e volevi andare lontano!/ Ma le tue ali erano deboli/ e te le spezzasti partendo/ prima del tempo./ La piaga che ti portasti dietro/ io non posso più curartela./ Torni da vecchio. E invecchiata/ trovi anche me.// Non sono più presepe/ma mondo come altri mondi/ tutta in disordine./Quello che avevo te lo diedi:/questa lingua antica/ lingua di malinconia/ quella che parlavano i tuoi parenti/ per rovistare nelle storie dei loro morti/ansiosamente,così stringevano meglio/ la disperazione tra i denti.
Intervista di Ennio Abate a Giancarlo Majorino (2006)
Alla rilettura d’oggi (2024) due cose colpiscono: – l’affermazione amarissima di Giancarlo Majorino: «il comunismo dovunque arretrato /non il terrorismo!» (p.75); la sua speranza (ancora blochiana) che “la torcia”, esprimente una distruttività crescente (essendo, allegoricamente, una torcia, può tuttavia tanto disgregare e annientare, quanto rischiarare). [E. A.]
Perché questo titolo ambiguo, che fa pensare sia a una “profezia” sia – come si dice nel risvolto di copertina – ad un anticipo del [tuo] poema? [1] Continua la lettura di Riordinadiario 2006. “Prossimamente” di Giancarlo Majorino
Ho fatto un indice in ordine cronologico (dal 1996 al 2024) di tutti i miei scritti – almeno quelli che sono riuscito a recuperare da una breve ricerca su vari blog da me curati o seguiti – su Franco Fortini e su temi collegabili alla sua opera. Alcuni sono dei saggi ma prevalgono gli interventi o i commenti d’occasione, spesso con repliche a vari interlocutori. L’insieme costituisce l’ossatura di un “quasi libro” cui da decenni penso. Lo pubblico sperando ancora in suggerimenti o osservazioni da parte di lettori attenti a questi temi. E in qualche improbabile indicazione su un possibile editore interessato a questo mio solitario studio per “proteggere le nostre verità”. (E. A.) Continua la lettura di Nei dintorni di Franco Fortini (1996-2024)
Omaggio camuffato a “Breve secondo Novecento” di Franco Fortini
in “La mosca di Milano”
di Ennio Abate
1.
Se/ obbligato ai tic e vivaci moine/
per salotti e soirées/ fra ceti medi e alti/
hai corso/
qualcosa di grandioso e abietto/ sullo sfondo/
e in filigrana/
feroci e oscure circostanze
sveli/
la tua cartamoneta scritta/
Piena di leggerezza/ allor/
sarà nel crash delle utilitarie/
la tua danza davanti alla ghigliottina
2.
Or che alle domande capitali /
della religione e della storia/
ha risposto il Capital (rivista!)/
e le Avanguardie/
han fatto flop (o Blob)/
rifugiati in camera da letto/
e goditi la gamba della donna
Ovvio premunirti/ lo puoi/
e teco reca in scorta/ fra sensualità e amarezza/
fazzolettini ricamati della migliore educazione letteraria/
il tuo io stia / insieme egocentrico e decentrato/
comodo/ su un paesaggio di vacuità festiva/
di serenità appena minacciata dalla vecchiaia
3.
Trova dei critici simili a te/
non gemelli/ ma della tua medesima cultura/
Dissipa e moltiplica i punti di vista/
le fratture/ gli antagonismi storico-sociali/
smessi/ abbandonali a quelli/
del Leoncavallo/
Rendi comico/ il Tutto/
di D’Alema il sorrisetto sprezzante/
del Buttiglione il viso allucinato e scimmiesco/
il capital di Berlusconi / così cafone e illuminato poco/
Sii fine insomma/ anche con Fini/
Scrivi solo bene/ per nuova plebe/
un bel collage alla Eco/
o alla Calvino un esatto montaggio/
del Nulla
4.
Giammai nelle tue poesie/
la miseria delle latterie/
Ma dovessi entrarci a scaldarti/
da disoccupato/
(cor gentil non scansa/ il suddetto malanno!)/
o per innominabili/ questioni economiche/
nelle periferie languissi/
spargi in crudi romanzi/
pedofili spelacchiati da giardinetti/
adolescenti cannibali in pubblci cessi porno-graffiti/
lolite manipolate su banchi di scuola/
durante l’ora obbligatoria di sesso a iosa/
Più squallide che puoi/ descrivile/
americanizzale/ bronxeggiale per benino/
e avrai/ in centro/ di botto una mansarda
5.
Non scrivere le verità che hai/
nel povero tascapane della tua esperienza/
Ai lettor paganti l’ozio guastan/
e sol dispersi e vaganti/ in estinzione/
critici ancora gustan/
Tu dei saper/ che sol/
procaccia fama/
l’Internet de il piacere della lettura/
Se l’amena rete/
è già intasata/ insisti/
Recati pellegrin/ nei siti del tardo romanzo storico/
o della rinomata/
apologia del comico e dell’ironia
Frequentali/ seduci/ fai ridere/
Dai l’impressione di un livello di cultura/
molto alto/
Ridi, godi o fingi/
e ti comprerà/ il partito di coloro che ridono/
poiché il mondo vuole essere ingannato
Nota
Breve secondo Novecento è un “libricino” postumo di Fortini uscito nel 1996 da Piero Manni con prefazione di Romano Luperini. Non mi risultano commenti o echi di rilievo, dopo l’annuncio della pubblicazione da parte di Attilio Lolini (il manifesto 10 ott. 1996). E forse è meglio così, visto che la prima circolazione era stata pensata solo per amici e conoscenti.
A me sta caro: è una tessera in più del mosaico personale che mi vado costruendo della sua opera, che rappresenta una singolare scuola di avviamento ad una scrittura critica per intellettuali di massa. Specie per quelli d’oggi, rabbuiati e confusi.
Una lettura attenta di Breve secondo Novecento ci mette poi di fronte all’ineludibile conglomerato storico-letterario-politico a cui lo stesso Fortini è appartenuto e che è oggi quasi del tutto ignorato dal dibattito culturale.
Fortini è fra i più letterati del Novecento. Eppure anche in queste brevi ritratti di trentasei moderni – da Arbasino a Calvino, Eco, Luzi, Pasolini, Zanzotto – sfora la Letteratura come un palloncino. Con i suoi spilli critici la libera dai miasmi d’accademia, di cenacoli, di gang, di Radio 3. Senza svenderla né restituirla ai Sacerdoti della Parola o del Mito.
Altri hanno compiuto operazioni in apparenza più radicali. Ma, abbassandola fino alla Trivial-literature o dissacrando il già abbondantemente dissacrato e contribuendo a resuscitare, per reazione, orfismi e new age, l’hanno resa indovinello, spettacolino, giochino miniaturizzato, merce insomma al contempo più elitaria e più vendibile, ma umanamente inservibile.
Pagine “letterarie” si trovano su tutti i mass media. Ma il revisionismo letterario è florido quanto quello storico e i cattivi maestri vengono sbeffeggiati, ripesati con la bilancia del buonismo o del cattivismo permesso e liquidati dai loro ex allievi approdati alle cattedre, ai salotti, alla TV.
Nulla, perciò, a gran parte del pubblico ancora leggente dice più il nome di Fortini e tantomeno interessano i problemi teorici, politici e di poetica su cui assieme ad altri spese una vita.
Di recente persino una giovane saggista capace di una polemica non puramente televisiva, come Carla Benedetti, ha preferito parlare di «Pasolini contro Calvino», saltando a più pari la critica fortiniana ad entrambi.
Come il barone di Munchausen si volle tirar fuori dalla palude prendendosi per i capelli, la Benedetti cerca una «via d’uscita dal gioco bloccato della letteratura» scegliendo una delle sue varianti postmoderne: postuma, sciolta (come un’Alka Seltzer) o ammaliata dal caos esterno (Leggi: mercato).
Come allora ripronunciare nomi di scrittori innominabili e richiamare problemi in apparenza “superati” ad una generazione che cova tranquilla nella bambagia della fine della storia e non sa che farsene degli antenati? o tirar l’orecchio al giovin scrittore senza staccarglielo? e infine invogliarlo a farsi critico, senza sentirsi chiedere quanto costa e a quale scuola di scrittura bisogna rivolgersi?
Mascherandosi da cinico andante. Miscelando Parini e Fortini. Sgambettandolo mentre corre verso il successo preordinato. Ci ho provato. Prosit.
Narratorio 11
di Ennio Abate
Dint’a chella casa nove, e primme juorne – l’avite già raccuntate, Narratò! – cumme se sentevene sule, isse e Eggidie! Parevene duie piccirille lamentuse. Quanne c’ere o sole, s’accusciavane pe tutt’o iuorne n’terra o balcone. Attacavene cu nu spaghe ao curnecione e a maniglie ra feneste l‘anghele e nu miezze lenzuole viecchie, ca Nannìne tirava fora ra na panca, e se mettevene sott’a sta tenda arrangiate. A guardà o ciele e o mare luntane? No, stevene ore e ore a spià si quacchune passave pa vie. Ma pe via Sichelgaite passave poca gente. O nisciune proprie. E si verevene quacche guaglione o guagliottole ca iucavene miezz’a via, Nannine nunn’e vuleve fa scenne. Quanne po chiuveve o ngere viente forte, se ne stevene ncopp’ao pavimente, tiranne na palline e vetre contre e noce o e nucelle ca erene e birilli. Nun tenevane manche e giurnalette ra guardà. E Nannine nun sapeve cumme fa pe cunsulà. Se senteve perze pur’esse. O ere sule Chiero ca se senteve estranie, pure si ngerene Nannìne e Eggidie, pecché aveve perze a fune ca o teneve assieme ae cuggine, a nonne, ae zie, ae gatte, ae cilluzze e Casebbarone? Nu strappe rinte? Nu spaesamiente? Continua la lettura di Primme piezze e Salierne rint’a cape e Chiero