Archivi tag: Ennio Abate

Da “Prof Samizdat”

di Ennio Abate

1.

Dove lo troviamo prof Samizdat? A bagnomaria nel quotidiano scolastico. Eccolo. Ha dettato i voti d’italiano e storia. Primo quadrimestre, eh. Restano da firmare i tabelloni e il registro azzurro. Ultimi avvertimenti di una voce – la coordinatrice di classe. Con la fregola addosso si accalcano per lo scarabocchio finale sui tabelloni e i registri. Battutine. Quali? Boh. Ultimi saluti distratti. Si scappa fuori. Perché il pomeriggio è di piombo. Dentro e fuori? Ci arriveremo, ci arriveremo. Lui pure scappa. Per i corridoi a quell’ora deserti e silenziosi.

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Su «Ogni vigilia è disarmata» di Giorgio Mannacio

di Ennio Abate

Appunti e interrogativi

Con Giorgio Mannacio ho fatto – anche in compagnia di altri poeti e scrittori dell’area milanese e sempre in concorde discordia – alcuni tratti di strada insieme (Monte Analogo, Laboratorio Moltinpoesia alla Palazzina Liberty di Milano tra 2006 e 2012). E continuiamo a farne altri con Poliscritture, a cui egli non ha smesso di collaborare. Anche per ribadire la mia attenzione alla sua ricerca, pubblico subito le mie impressioni di lettura dell’ultima sua raccolta poetica, alla cui sobria presentazione al Teatro Arsenale sabato 14 dicembre 2019 (qui) ho partecipato con piacere. Qua e là – a completamento o a correzione della mia interpretazione e comunque per passione del confronto – ho integrato (vedi Note) alcune utili osservazioni che nel frattempo Giorgio, su mia sollecitazione, mi ha inviato per e mail. [E. A.]

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12 dicembre 1969. Piazza Fontana

a cura di Ennio Abate

[da una replica del 13 dicembre 2018 a un’amica su FB] Gli scontri cavallereschi sono una favola o comunque momenti eccezionali. Quando il conflitto supera una certa soglia e mette in gioco i corpi oppure si carica di motivazioni politiche, religiose, ideologiche, non si sa mai dove può arrivare. Anche quando fosse gestito da grandi strateghi. Come dimostrano le due guerre mondiali. Perciò “Il rispetto …. dovuto a tutti a livello personale ed in particolare alle istituzioni” è un’istanza morale, che ha purtroppo una presa e un consenso molto labile nella realtà. Mi ha sempre impressionato, anche nei punti in cui non condivido suo pessimismo lucido e realistico, il “Saggio sulla violenza” di Wolfgang Sofsky ( Einaudi 1998). E ne voglio citare qui un passo che riflette sul mito della nascita della società:

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Don Biancalani, le “sardine” ma anche un ripasso sul populismo

di Ennio Abate

Ho pubblicato volentieri il post di cronaca di Marisa Salabelle su don Biancalani (qui) ma devo precisare che queste pur lodevoli e buone e necessarie provocazioni non bastano. Nel senso che tutto questo giocare di fioretto sul piano  dei simboli e della comunicazione non permetterà mai di cambiare realmente i rapporti di forza oggi sfavorevolissimi tra – per abbreviare – “noi” e “loro”. Non credo di sottovalutare il peso  di certi messaggi simbolici, ma i problemi reali vengono solo sfiorati. Resta il fatto che la società non si smuove. E semmai, sul piano simbolico, il colpetto che danno Biancalani o le sardine è sommerso dal cupo  avanzare – lento, sotterraneo – di un malcontento che ha  toni sempre più razzisti e  qualunquisti-populisti. Non voglio fare il profeta di sventure, ma cosa succederà alle elezioni? E’ il movimento sottostante e preoccupante dell’insieme che ci sfugge, secondo me.

P.s. Stamattina ho letto un ragionamento di Roberto Fineschi sul populismo che dà senso a queste mie preoccupazioni e mostra quanto le cose da capire e fare siano più complesse. (E credo che rifletterci non significhi svalutare quello che fa don Biancalani o potrebbero fare le “sardine” da troppi frettolosamente snobbate).

L’ho segnalato così su POLISCRITTURE FB:

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Diario d’ospedale 1977

Tabea Nineo, Occhio infranto, 1977

Riordinadiario

Con qualche esitazione per i rischi di narcisismo che potrebbero esserci in queste pagine, pubblico il pezzo del mio Riordinadiario riferito ad alcuni mesi cruciali di un anno, che – sia sul piano personale che politico ha segnato un taglio traumatico delle speranze di maturità inseguite nel decennio precedente. Il corpo che s’ammala è – che coincidenza! – il mio e quello sociale e politico della “nuova sinistra”, nella quale mi ero fino ad allora riconosciuto. Le note registrano il brancolamento di un io estratto di colpo dalla vita quotidiana, non certo facile ma in apparenza più rassicurante di quella ospedalizzata. Contro la minaccia di cecità da intendere sia sul piano fisico e materiale, sia su quello politico e sociale (in entrambi i casi i segnali sembrano non poter più arrivare come prima) ma forse anche – ahi, Saramago! – su quello simbolico, l’io riconosce la sua fragilità e tenta di reagire come può. [E. A.]

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Sul conflitto Israele- palestinesi.Una e-mail

RIORDINADIARIO 2009

di Ennio Abate

Cara XY,

io obnubilato e poco obiettivo? Se ci fossero in giro intellettuali obiettivi e non obnubilati mi sentirei davvero a disagio per queste etichette che mi attribuisci. Ma non ne vedo. Né fra noi di Poliscritture, che stiamo discutendo/litigando su questo dramma, né tra più autorevoli opinion maker.

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27 aprile 1983. Si può uscire dagli anni di piombo?

RIORDINADIARIO 1983

di Ennio Abate

In questi miei appunti personali del 27 aprile 1983 è fissata la convinzione, che ancora mi guida nella riflessione sugli anni Settanta: «l’oggetto “terrorismo” non trova alcuna spiegazione soddisfacente. L’ammissione di non essere stati in grado di fermare il fenomeno o di averlo fermato con costi sociali e politici così rilevanti è rimasta a mezza bocca o addirittura respinta. Era inevitabile che si dovesse eliminare ogni movimento per sconfiggere il terrorismo? Se si risponde sì a questa domanda, bisognerà anche ammettere che il terrorismo, barbaro quanto si vuole, da noi è stato quasi un fenomeno di massa [o comunque di grande rilievo]». E mi accorgo, rileggendoli e pubblicandoli ora, che alcuni ragionamenti che ho fatto di recente su quegli anni lontani (ad es. partendo dal romanzo di Luca Visentini, Sognavamo cavalli selvaggi: qui) sono in sintonia con le cose dette in quell’occasione soprattutto da Gad Lerner («Quanto ai reati associativi, se «Rosso» tra 1973 e 1978 fu «banda armata» allora tutta la Nuova sinistra era banda armata», Romano Madera («Negare qualsiasi continuità? Significherebbe negare che non c’è differenza tra acqua, ghiaccio e vapore. Se è permesso dire certe cose per Potere Operaio allora bisogna dirle per tutti i gruppi. Se è caduta con fragore la nostra ipotesi, si deve dire che sono cadute tutte le altre [della Sinistra]»), Marco Boato («La testa in questi anni non se la sono spaccata solo i terroristi: nel 1968 e nel 1977 intere generazioni sono state devastate senza riuscire a trovare interlocutori validi: prima questi fenomeni sono stati trattati come eresie e poi, nel 1977, si è arrivati allo scontro frontale») e Alberto Magnaghi («Bisogna fare una distinzione tra partito armato, che si può criticare, e bisogno di lotta armata, che è fenomeno da capire perché nasce dalla sovversione per mancanza di sbocco politico di un movimento di massa nuovo. Altrimenti sarà la sinistra nel suo complesso a ridursi al pentitismo. Ecco la tragedia storica.»).

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Odio, propaganda, critica

Tabea Nineo, Dedicato a Liliana Segre, olio al 7 nov. 2019

a cura di Ennio Abate

Ennio Abate Ieri alle 07:40 · 

“c’è un principio d’odio generalizzato (paragonate il problema migranti con le limitazioni del ‘38 agli ebrei; la alfabetizzazione in aumento; le librerie bruciate; i cori razzisti e le messe sulla tomba di Mussolini) che si muove strisciando tra le case, nel silenzio dei potenti (politici, intellettuali, artisti), sempre e comunque a discapito dei più deboli e della Storia” (Benny Nonasky)

Direi, piuttosto, che c’è un’area politica vasta che utilizza l’odio per i suoi scopi e un’altra che non sa neppure più odiare quelli che l’hanno sottomessa e la stanno distruggendo (vedi – esempio tra tanti – Ilva Taranto). Non è l’odio in sé il problema ma per quali scopi viene governato. [E. A.]

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Le ceneri di Pasolini


Su “Pasolini in salsa piccante” di Marco Belpoliti
Guanda, 2010

di Ennio Abate

Nell’anniversario dell’omicidio di Pasolini (2 novembre 1975) ripubblico questa mia riflessione del 30 aprile 2011 sulla sua figura scritta in polemica con il libro di Marco Belpoliti, Pasolini in salsa piccante, (Guanda, Parma 2010) e con le interpretazioni tuttora distorte che circolano sul Web. [E. A.]

 Insomma, c’è l’opera Pasolini;e c’è la leggenda Pasolini, e questa presso la maggioranza prevale sull’altra.
(A. Asor Rosa, La Repubblica, 21 ott. 2005)
 
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