Archivi tag: Ennio Abate

«Ragazzi tanto per staccarci un po’ dall’intellettualità…»

Riordinadiario 2011

Ennio Abate a Lucio Mayoor Tosi (11 febbraio 2011)

Siamo, infatti,  passati, quasi senza accorgercene, dal ”Siamo tutti intellettuali” (ai tempi di Gramsci, quando essere intellettuali era un privilegio per pochi e un’aspirazione per molti) all’ “Abbasso gli intellettuali” (ai tempi nostri, della TV, del Web, della società dello spettacolo). E nella nostra mailing list serpeggiano eufemistici o sibillini messaggi, che in sostanza dicono: Gli intellettuali  sono non-concludenti.(Con il mio intelletto, traduco: inconcludenti; e cioè parlano e parlano ma non concludono un c…). La stessa solfa viene ripetuta in varie dosi. Con gran spreco d’intelletto e abbondanza di fumo, secondo me. Perché chi scrive un post  o mette quattro frasi in fila di commento, di un po’ d’intelletto pur necessita.

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Sbratto 4: 2012

Tabea Nineo, Disegno a china, 1977 circa

20 febbraio

Che fine avrà fatto il vecchio M.? Tutto preso dal culto della moglie defunta. La sua Beatrice. Una leggera ostilità tra noi. Si è mantenuta intatta malgrado le attestazioni di stima e la cordialità dei momenti d’incontro. Un ricordo preciso: quando mi portò a pranzo in quella bettola di operai e muratori.

I rapporti sono raffreddati o rallentati. Ce li trasciniamo. Stentando. Senza convinzione. Smarrimento.

23 marzo

Penso a Fortini e a Majorino nel ‘68. Sembrava che parlassero proprio di noi giovani d’allora nelle loro scritture.

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Masticare, non sputare Marx

DIARIO/RIORDINADIARIO

di Ennio Abate

Oggi ho lasciato un commento critico sotto la pagina FB che Pierluigi Fagan ha dedicato al tema del postcapitalismo e del posteconomicismo (qui). Ne è seguito un breve scambio con lui, che riporto. Certamente la ricerca di Fagan è importante e va seguita con attenzione. Eppure – insisto – le manca qualcosa che in Marx c’era. Aggiungo in Appendice un altro mio commento del gennaio 2012 che insisteva sempre in questa difesa del pensiero di Marx. Allora l’interlocutore era Mauro Piras su Le parole e le cose. ( Tutta la discussione si può leggere qui). Oggi Marx sarà per molti solo uno spettro dell’Ottocento, ma anche rispetto al presente politico, che ci costringe a scegliere solo tra false alternative (o padella o brace, per semplificare: vedi qui ) ribadisco quanto scrivevo in quel 2012: «Io sono per tentare un necessario, indispensabile forse, passo avanti rispetto a Marx (se ne fossimo capaci), non per indietreggiare (come ha fatto la sinistra mettendolo da parte). Non ci si può rassegnare, di fronte alla conflittualità reale delle società capitalistiche, a svolgere grosso modo la funzione palliativa (in mancanza di meglio, non oso neppure più disprezzarla…) che svolgono le religioni » [E. A.]

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Su “Scorre il giovane tempo” di Meeten Nasr

Appunti di Ennio Abate

1.

Il titolo di questa Autoantologia delle poesie scritte da Meeten tra 1982 e 2014 viene chiarito leggendo a pag. 93 la poesia Nel bosco (da una stampa giapponese). E va subito in primo piano il legame con l’ Oriente di questo «viaggiatore svagato e inconsapevole», come l’ha definito Gianpiero Neri (pag. 35). In questo suo esplorare Meeten a me pare anche goloso, eclettico e culturalmente attrezzato. Ha il respiro del cosmopolita. Per l’essere figlio di «madre sefardita»? Grazie anche ai suoi studi di «epistemologia e di storia della scienza»? Non saprei dire. Ma, nel suo andare in giro per il mondo («Tornando da Bali senza scalo inseguivamo la luce del tramonto. Trascorsi le ore della più lunga notte attraversando l’India e osservando la Terra dal finestrino», pag. 97) a me pare che l’assorbimento, che rozzamente chiamerei delle culture orientali, abbia prevalsoi sulla sua stessa formazione umanistica («ha fatto studi di filologia greco-latina»).

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Rilettura di Cesare Pavese (1)

Appunti (da diario 2010)

di Ennio Abate

Se i padri ideali (e non solo quello naturale) hanno una importanza non sottovalutabile nella formazione e nelle nostre biografie, Cesare Pavese fu per me – prima di Fortini o di Marx o di altri poi frequentati (quasi esclusivamente attraverso i libri) – uno dei primi. Di lui lessi da giovane – tra 59 e ‘62 – quasi tutto. Poi lo persi di vista. O, più tardi, venni a conoscere anche interpretazioni feroci su di lui (di Moravia, di Luperini). O meditate (di Fortini). Un’occasione per rileggere «Lavorare stanca» e «Il mestiere di vivere» ci fu nel 2010. Non ricordo più su sollecitazione di chi. E ne pubblico solo oggi gli appunti (in due puntate) sotto la spinta di alcuni articoli o saggi letti sul Web che riparlano di lui (qui, qui, qui o qui). Le mie note hanno il taglio da riordinadiario, e cioè di un rendiconto/confronto molto personale.

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Oh pezzo di me che fosti

Tabea Nineo, Bassorilievo in creta 36×35 cm, 1980 circa

di Ennio Abate

 Oh, pezzo di me che fosti
 solo tra gli impiegati e gli sbandati
 quando poesia era un ricamo privato
 e la storia eco o rombo lontano di mare
 e  respirasti in camere di pensione 
 addossato a muri e gente sconosciuta. 
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Su una petizione a favore dei migranti della Open Arms

di Ennio Abate

Donatella Di Cesare, la studiosa di filosofia che si è distinta per la sua costante e indignata attenzione alla tragedia delle odierne migrazioni e ha pubblicato nel 2017 «Stranieri residenti», un libro importante, una vera e propria «filosofia della migrazione» tesa a smantellare i pregiudizi identitari e “sovranisti” che vedono il migrante come il «malvenuto», un «essere fuori luogo» o l’accusano di «occupare il posto altrui», ha invitato a firmare una petizione indirizzata al presidente del consiglio Giuseppe Conte [tra l’altro appena dimessosi] su Change.org (qui) con questa premessa: «È possibile una tale crudeltà politica? Noi che che abbiamo ancora coscienza, sentendoci impotenti, firmiamo».

Avendo da tempo su Poliscritture affrontato la questione delle nuove immigrazioni (qui), non ho alcun dubbio nell’apprezzare l’intenzione umanitaria di questo appello. E non intendo insistere troppo sul fatto che in genere ogni appello viene ignorato dalle autorità politiche che hanno una precisa politica di strumentalizzazione delle migrazioni. Voglio però ricordare una cosa: la «crudeltà politica» che Donatella Di Cesare attribuisce a Salvini non è solo «possibile» – la si sta infatti praticando (e Salvini (Lega), con l’approvazione di Di Maio (M5S), segue le orme lasciate già da Minniti (PD) – ma non viene più affrontata politicamente da quanti a queste politiche migratorie disumane pur intendono opporsi.

Perciò prima di firmare – così ho scritto in un commento nella bacheca della Di Cesare – vorrei che si chiarisse che *accusiamo* FIRMANDO quelli che tale crudeltà politica la permettono o l’approvano. E vorrei anche che si dicesse che oggi dobbiamo ricostruire una cultura politica capace di combattere costoro con tutti i mezzi. Anche con quelli “crudeli” che essi non esitano ad usare contro i più deboli e in difficoltà. Anche se oggi non ne disponiamo. Dico questo per desiderio di vendetta? No, di giustizia. Firmare, invece, «sentendoci impotenti» e senza porsi lo scopo di costruire una potenza benefica a favore degli umiliati ed offesi, a me pare un gesto generico e senza senso (politico). Essendo il vero scandalo che da anni stiamo sopportando non la ferocia istituzionalizzata di questo o quel ministro (e non solo verso i migranti ma anche verso le classi sociali medio-basse indebolite dalla crisi in tutti i paesi) ma proprio la viltà e i calcoli da azzeccagarbugli di quanti – Salvini o chi per lui – combattono solo a parole e con vecchie, consunte “belle parole”. Posso anche considerare che siamo arrivati al punto che non sia più possibile disobbedire in massa ai loro diktat. Ma allora, al posto degli appelli generici, meglio tacere e riorganizzarsi da zero.