A quei tempi Via Sichelgaita era appena sterrata e c’erano pochi lampioni piantati su pali di legno. Distanziati più di cento metri l’uno dall’altro. Le lampade mandavano un alone fioco e circoscritto. Solo nelle notti calme, se c’era la luna piena, quei pochi globi di luce venivano riassorbiti e il nero del cielo sembrava diventare di un azzurro delicato.
Quante volte accadde? Quando il buio calava, nella stanza che divideva con Eggidie, Chiero – la fronte premuta sul vetro freddo della finestra e già inchiodata da un’angoscia che poteva crescere di botto – fissava uno spicchio di strada illuminato dal lampione all’angolo della curva del convitto Pascoli a trecento metri di distanza. Cercava di indovinare tra le sagome scure, che ogni tanto lo attraversavano stagliandovisi per pochi attimi, quella piccola e lenta di Nannìne, che certe sere tardava a tornare da qualche visita ai parenti.
Nella stanza da pranzo, Mìneche, sulle spalle il pastrano di quand’era stato soldato e che, quando andava a dormire, stendeva ai piedi del letto matrimoniale dalla sua parte per tenere i piedi più al caldo, s’era addormentato per la stanchezza sulla sedia russando, mentre la Radio Marelli continuava le trasmissioni. E Eggidie?
L’arrivo del buio precipitava ogni volta Chiero in un sentimento di paura. La palazzina a tre piani di Via Sichelgaita 48 e quelle circostanti svanivano in quell’oscurità. Chiusi i portoni o i cancelli che davano sulla strada, ogni famiglia si isolava. E Nannìne controllava più volte che fosse chiusa bene a chiave la porta d’ingresso. Controllava pure che anche la spranghetta fosse tirata fino in fondo. Poi spegnevano le luci della cucina, della sala da pranzo, del corridoio. Anche la porta interna che separava le due stanze da letto – quella matrimoniale di Mìneche e Nannìne e quella accanto, dove dormivano Chiero e Eggidie – veniva chiusa con un’altra minuscola spranghetta a scorrimento. Per impedire al freddo, che d’inverno penetrava dalla cucina e dalla sala da pranzo rivolte a nord di arrivare anche nelle stanze da letto poste a sud? O l’abitudine di sprangare per la notte non solo la porta di casa ma anche la porta interna con quella piccola serratura – e, vabbè, che allora si usavano i vasi da notte – diceva di un bisogno esagerato di proteggersi da imprecisati pericoli?
Come se vivessero ancora in campagna, ancora a Casalbarone – ah, le galline tirate fuori di sera dal pollaio esterno alla casa di di zia Assuntina e messe al sicuro nella stalla – e non in città?
Timore dei ladri?
Se fossero entrati in casa scassinando la porta d’ingresso, si sarebbero sentiti, per quella piccola serratura, più al sicuro? Li avrebbero lasciati frugare nel resto dell’appartamento – il corridio, il salotto, la sala da pranza e la cucina – senza intervenire, senza gridare o chiedere aiuto? Tanto il “tesoretto” – poche collane o fermagli d’argento e d’oro – era al sicuro in un cassetto dell’armadio della stanza matrimoniale di Mìneche e Nannìne…
Di botto a Salierne. In Via Sichelgaita 48. Basta con Casebbarone e con la casa di nonna Fortunata. Basta coi cugini. Basta con le stradine silenziose che a serpentina s’insinuavano tra i campi coltivati, anch’essi senza rumori. Lì Chiero ci passò sempre a piedi. E più tardi – d’estate, durante le vacanze ai tempi in cui a Salerno fece le elementari e le medie – sulla bicicletta dei cugini Alfano. In auto, solo tanti anni dopo.
Via Sichelgaita era un posto nuovo per due guagliuncielli, curiosi e spaesati. Ci vanno ad abitare che è il quarantacinque-quarantasei, a guerra finita. Cà isse e o frate suoie, Eggidie, là nun cunuscevene proprie a nisciune. Stevene chiuse ‘ncase. E e primm’e iuorne nun scennevene manche fore nzieme a l’ati guagliune ca facevane bande, ma se ne stevene ‘ncopp’ao balcone ra palazzine, ca ere o nummero 48 e Vie Sichelgaite. E, a sere, che tristezze. Quanne faceve notte pe sta via s’appicciavene si e no quattre lampiuni. Une ogni ciente metre. E cu na lampadine debbole ‘ncima a nu pale e legne. Ca, quanne se fulminave, l’operaie aveva saglie cu doie specie e favece e fierre attaccate ae piere. Po a mamme nunne tenette chiù. Specie a Nunuccie ca vuleve scenne abbascie a giucà chiagneve e sbatteve e piere pe terra e urlave. Nannine non voleva. Li fece scendere soltanto nell’androne interno sott’o purtone. E là giocavano con le figurine ‘ncopp’e gradine. Oppure ievene rint’o giardine ra signora Goglie e stevene nu poche cue figlie femmene ra signora Goglie, Rosanne e Ada (ca Ughe se ne ieve pe cunte suoie). Soltanto alcune settimane dopo che erano arrivati nella nuova casa, Chiero e o frate riuscirono a fare amicizia anche cu e guagliune ca facevene a banda e Via Sichelgaita e ievene là attuorne pe miezz’ae campe. Nannine nu poche s’ere rassegnate, pure se teneve sempe paure. E che puteve fa? O guaglione se ne scappave fore lo stesse pe ghi a giucà cu Anielle e Peppeniell’e, e figlie ra signora Martine, Rosarie e Tunine Iemme e po Carle Sassone e a sore chiù piccirelle, Lucie. E po quacche vote arrivavene pure ati guagliuni e guagliune ra ate palazzine. Venevene Adriane e Marie. E Rosario ca ere o chiù gruosse e po chillu puverielle ca o chiamavene o Zelluse. ca manch’ se sapeve che nome faceve.
RIPESCAGGI CASUALI/ EX SESSANTOTTINI/ MITI LETTERARI D’OGGI IN COSTRUZIONE: CARLO BORDINI
Oggi lo ricordano così: Carlo Bordini, linee biobibliografiche – “Tutto è stato già detto ma io lo dico di nuovo”, di Claudio Orlandi di Claudio Orlandi (QUI). Io lo ricordo così:
1. Aveva risposto ad un questionario su SINISTRA 2008 IN DISCUSSIONE (vecchio sito di Poliscritture perso):
quando stavo in un piccolo gruppo trotskista qualcuno mi chiamava “l’empirico”, perché non leggevo e non studiavo. in effetti non ho letto la maggioranza dei libri dell’elenco, e le mie idee di basano soprattutto sull’osservazione della realtà e sull’esperienza personale, oltre che su una pratica di ricercatore di storia dovuta al lavoro che sono stato obbligato a fare per anni. consiglierei comunque di aggiungere all’elenco un paio di libri: la storia del pci di paolo spriano, in cui si dimostra che la vittoria del fascismo è stata largamente agevolata dalle manchevolezze le esitazioni e i settarismi del partito comunista e socialista (vedi l’esperienza degli arditi del popolo, organizzazioni paramilitari di difesa antifascista boicottate per legalismo dai socialisti e per settarismo dai comunisti), e l’affaire moro di sciascia. per quel che riguarda la prima questione, sono propenso alla seconda soluzione. il movimento socialista è fallito in tutto il mondo, nonostante marx avesse capito e previsto dove stava andando il mondo, ed è inutile tentare di risuscitare un cadavere. in italia, poi, le nostre amate organizzazioni di sinistra hanno tirato la volata a berlusconi con la bicamerale, e hanno distrutto la sinistra più radicale (dimostratasi anch’essa abbastanza inconsistente) con veltroni, che ora fa da critico-amico a berlusconi. questa gente non serve, e anzi è di ostacolo. bisogna ripartire dal basso, dalle lotte, e creare nuove forme. anche le vecchie dottrine non servono, e fanno parte, purtroppo, del bagaglio delle utopie. carlo bordini
2. Nel 2016 su LE PAROLE E LE COSE ci eravamo confrontati polemicamente così (QUI)
Ennio Abate11 APRILE 2024 ALLE 08:04Il tuo commento è in attesa di moderazione. Questa è un’anteprima; il tuo commento sarà visibile dopo esser stato approvato.
Dimmi che aggettivi (vaghi o approssimativi) usi e ti dirò se il tuo stile è “mercantile”( G. Majorino) o meno:
1. convincente, improvviso: e di una nuova, convincente, tendenza all’affermazione individuale); per arrivare all’invecchiamento improvviso della sinistra storica in Europa
2. nuova, “amichevole”: Ciò che in Milano·poesia era ancora una germinazione di situazioni orientate in direzioni molteplici, è divenuto oggi rete collaudata di festival sostenuta dagli uffici marketing delle case editrici, di produzione cinematografica e delle gallerie d’arte: vari settori di una nuova “amichevole” industria dell’intrattenimento di qualità (ecco una definizione aggiornata della vecchia “industria culturale”).
3. adveniente: la convinzione di trovarsi sulla soglia di una adveniente stagione aurea che in realtà non arriverà mai.
“Allora, da dove può venire una convalescenza? Penso che possa venire solo dagli uomini “vecchi”, da chi abbia sperimentato fino in fondo il vicolo cieco dell’oltranzismo e si ricreda:” (Sofri)
Lei dimentica i danni di quell’*oltranzismo* dei vecchi capi “pentiti” (?) e dà il lasciapassare a quello degli attuali “sergenti” diventati “generali”. Anch’essi si “pentiranno”- stia sicuro – ma dopo aver fatto il loro “dovere”.
5 APRILE 2024
DOPO AVER LETTO “l’URLO E IL FURORE” DI W. FAULKNER E AVER ASCOLTATO LA CONFERENZA DI EZIO PARTESANA (QUI)
E PAVESE? PAVESE/FAULKNER https://www.ajol.info/index.php/issa/article/view/158781 Dopo una breve rassegna delle reazioni alla produzione di William Faulkner in Europa, l’articolo analizza la ricezione di Faulkner in Italia, gli atteggiamenti mostrati da critici e intellettuali italiani nei confronti della sua narrativa e le diverse strategie che sono state adottate nella traduzione in italiano delle sue opere più importanti negli anni. Cesare Pavese, il cui interesse per la letteratura statunitense è noto, sembra non aver prestato grande attenzione a William Faulkner e il suo rapporto con lo scrittore statunitense si fonda soprattutto sulla recensione (negativa) di Sanctuary e sulla traduzione del romanzo L’Amleto (1940) come Il borgo (1942).
Ma c’è ancora bisogno di leggere “Frames of war” per concludere che ” è proprio una débacle”? Nel “nel regime di guerra” viviamo solo da “oggi”? Ex Jugoslavia, Guerra del Golfo, Libia, Afghanistan? Tutto dimenticato? Non sarebbe da chiedersi da quanto data questa débacle? E da ricordare che prima della caduta dei “tanto sbandierati valori europei e occidentali” c’è stato il tracollo dei tanti sbandierati valori della Sinistra da parte di buone parte della Sinistra stessa confluita da tempo “nel mainstream guerrafondaio”?
Nel vedere questo documentario mi sono inevitabilmente chiesto se e quale analogia vi possa essere fra la vicenda irlandese e quella palestinese. Non poche. E infatti è notorio il legame fra i due movimenti di lotta. Che hanno ad esempio portato il governo di Dublino ad associarsi a quello di Pretoria nel chiedere al Tribunale dell’Aja l’eventuale genocidio a Gaza. Ora, l’Inghilterra condusse contro L’IRA una guerra senza quartiere. In reazione a quella con e sin dentro l’Inghilterra, da parte dell’IRA. Una guerra dura, di occupazione, con i soldati della RUC (Royal Ulster Constabulary) dispiegati ad ogni angolo di Belfast e Derry. La guerra sporca dell’intelligence, MI5 ed MI6. Le leggi dell’emergenza. Le sentenze sommarie, come quelle famigerate contro i 6 di Birmingham. Le prigioni H-Block e la carcerazione speciale. Contro una organizzazione paramilitare micidiale e spietata. In grado di provocare circa 1.300 vittime, fra bombe indiscriminate e assassini mirati. Che arrivò a un soffio dall’eliminare persino Margaret Thatcher. Sempre con un sostegno diffuso e di massa, al di que e al di là del confine con la Repubblica. E tuttavia, nulla del genere uguaglia l’operato di Israele in Cisgiordania e Gaza, nei decenni. I rastrellamenti sommari non furono mai come quelli dell’IDF. Mai una abitazione di un militante venne demolita. Un’intera famiglia punita per rappresaglia. Nessuna azione osò mai e poi mai violare i confini e la sovranità dell’Eire, da cui notoriamente partivano molte delle incursioni dei Provisionals. E in cui subito dopo rinculavano. Il sostegno ai gruppi unionisti protestanti, incomparabili a quelli offerti sfacciatamente ai coloni. Nessun leader del braccio politico Sinn Fein fu fatto fuori in auto da un razzo telecomandato. O magari avvelenato, in puro stile putiniano. E i suoi leader storici, eletti persino a Stormont (il vecchio parlamento nordirlandese) e a Westmister, potevano regolarmente portare a spalla, e a viso scoperto, le bare dei capi militari dell’IRA, che avevano piazzato bombe e ucciso nei pub e centri commerciali di Birmingham, Londra e Manchester. Alla fine, proprio con loro, e persino coi più efferati autori diretti di quegli attentati, avrebbe negoziato e siglato gli accordi pace della Pasqua 1998. Con lo Sinn Fein oggi al governo sia a Dublino che a Belfast.
Ovvio; ci sono state delle differenze e pure significative. Ma di certo, in Israele, sarà bene che prima o poi si studino per bene la lezione anglo-irlandese.
Laddove s’intende io faccia analisi e scriva di geopolitica, spesso in realtà mi avvalgo di un tentativo di nuova disciplina che non altrimenti si dovrebbe chiamare MONDOLOGIA. Se ne è vista forse la concreta applicazione recente nelle analisi poi culminate del Trittico mediorientale.
E’ una disciplina che ritengo oggi viepiù necessaria, basata sull’impostazione M-I-T-disciplinare (Multi-Inter-Trans), parte strutturale del metodo sistemico-complesso applicato all’oggetto e fenomeno del mondo.
Io non amo particolarmente il termine geopolitica e il suo uso eccessivo soprattutto aggettivato come un prezzemolo. Ben vengano quindi approcci più complessivi all’interno dei quali la geografia politica e i fattori di potere in un determinato spazio sono configurati come una variabile tra le altre. Grazie ancora! PS So che ogni tanto fa degli interventi su qualche canale YouTube. Mi piacerebbe tanto una volta conversare con lei sul quadrante mediorientale e, soprattutto, sull’area del Mar Rosso e del Corno d’Africa. Sono un ragazzo dell’Eritrea e da poco ho completato gli studi in relazioni internazionali e cerco di approfondire quella parte di mondo.
Mondo, sii, e buono; esisti buonamente, fa’ che, cerca di, tendi a, dimmi tutto, ed ecco che io ribaltavo eludevo e ogni inclusione era fattiva non meno che ogni esclusione; su bravo, esisti, non accartocciarti in te stesso in me stesso. Io pensavo che il mondo così concepito con questo super-cadere super-morire il mondo così fatturato fosse soltanto un io male sbozzolato fossi io indigesto male fantasticante male fantasticato mal pagato e non tu, bello, non tu «santo» e «santificato» un po’ più in là, da lato, da lato. Fa’ di (ex-de-ob etc.)-sistere e oltre tutte le preposizioni note e ignote, abbi qualche chance, fa’ buonamente un po’; il congegno abbia gioco. Su, bello, su.
Caro Adriano, il costo del massimalismo politico abbracciato dalla classe dirigente post-Majdan si è rivelato altissimo: anziché traghettare il paese verso il regno promesso del benessere e della prosperità, la scelta dell’integrazione euroatlantica quale unico strumento di sviluppo del paese ha trasformato l’Ucraina da terra di frontiera in campo di battaglia, e quindi, in landa desolata da cui sono fuggiti oltre 14 milioni di persone, tra rifugiati e sfollati (su una popolazione di 41). Del resto non è solo “colpa” dell’Ucraina. Nell’aprile 2022 infatti essa stava per firmare un accordo con la Russia che avrebbe posto fine alle ostilità in cambio della neutralità ucraina. Fu Boris Johnson precipitarsi il 9 aprile a Kiev per chiarire a Zelens’kyj che “anche se l’Ucraina è pronta a firmare alcuni accordi sulle garanzie con Putin, noi (l’Occidente collettivo) non lo siamo”.
Quella di Mosca è una ribellione all’ordine internazionale americano, e gli americani volevano approffittarne per indebolire l’ “impero” russo. La guerra finanziata dall’Occidente invece sta distruggendo l’Ucraina. Traducendosi in un inconcludente bagno di sangue alleporte d’Europa. Nessuno gongola. Forse qualcuno ha gongolato troppo prima, anche se bastava non essere ciechi volontari per capire che la sproporzione di forze era tale da rendere inimmaginabile un risultato diverso. Chi voleva vedere lo vide da subito. Lei è stato tra quelli che non hanno voluto vedere
il “piano” di trump per chiudere la guerra d’ucraina – svelato dal «washington post» – ovvero: cedere il donbas e la crimea a putin, è spaventosamente uguale a quello dei pacifisti italiani e d’ovunque. è anche uguale a quello dei più smaccati filoputiniani come dei più mimetizzati. costringere gli ucraini alla resa: basta non dare loro armi (c’è chi – come i 5stelle, come i santoro e i la valle, come varie declinazioni “di sinistra”, con pericolose sbandate della schlein – ne ha fatto una vera e propria “linea politica” identitaria) e aiuti per resistere, e è fatta. come sta accadendo. naturalmente, il tutto viene declinato per non spargere ancora sangue ucraino, dando per acclarato che l’irrompere delle truppe russe avverrà portando fiori nei loro cannoni. come già a bucha, d’altronde.
DAI COMMENTI
Giulia Borelli Per fortuna, al momento, la nato è più cauta di voi tre intelligentoni.
Quando c’incontrammo la prima volta? A Cologno Monzese. Venne con Pino Collura, un suo ex studente per farmi leggere «Strategia per una guerra corta», il suo secondo romanzo appena pubblicato. Era il 1999. Lo lessi nell’ottobre di quell’anno. Poi ci fu la presentazione alla Libreria Tikkun di Ermanno Tritto. Tanta gente, molti suoi ex suoi colleghi del VII ITIS e ex studenti. Continua la lettura di Un’amicizia→
I guerrafondai strepitano.
Ovunque va il loro Verbo di Guerra.
Homo homini lupus, nessuna tregua.
Le nostre verità
non siamo riusciti a proteggerle.
Ceneri di Gramsci.
Ceneri della Sinistra.
Ceneri dell’umano.
Le invettive non diventano più pietre.
I barbari hanno già distrutto
ciò che non andava distrutto.
Non giochiamo con le parole
fratellanza, solidarietà, umanità.
Gli appunti del vero
conserviamoli
in posti sicuri delle nostre menti.
*Composita solvantur (1994) è l’ultima raccolta di poesie pubblicata in vita da Franco Fortini
** Nella foto due dei sette operatori umanitari di The World Central Kitchen uccisi in un attacco aereo israeliano che ha preso di mira il loro convoglio a Deir al-Balah
Il problema della violenza nella storia (irrisolto? irrisolvibile in termini assoluti?) si ripropose nell’Italia degli anni ’70 del Novecento in termini di “falsa guerra civile” (Fortini)? Il principio pacifista avrebbe potuto suggerire pratiche che avrebbero evitato morti, sofferenze e il “tramonto della politica” (Tronti)? In “Aperte lettere” (2023) di Rossana Rossanda, di cui pubblicherò uno stralcio nei commenti, si legge una recensione ad “Extrema ratio”, libro di Fortini pubblicato nel 1990, dove la questione dei “giovani delle lotte armate italiane” degli anni ’70, di cui torniamo a discutere in Poliscritture, è posta nei termini in cui io pure credo di averla posta. E che Lorenzo Galbiati non condivide e contesta. Forse nelle mie e nelle sue parole – lui nato nel 1970, io che sono del 1941 – ricompare uno scarto di cultura politica generazionale sul quale è bene riflettere. [E. A.]
di Lorenzo Galbiati
Raccolgo qui, schematicamente, alcuni pensieri spero ben ordinati che mi sono sorti leggendo l’articolo “Anni’70. Sconfitti sì, pentiti no.” (qui) e la lunga risposta a punti, sempre di Ennio Abate (qui), a un mio primo, improvvisato e soggettivo commento (qui).Continua la lettura di Anni ’70. Sulla sconfitta della lotta armata.→
Ho letto negli ultimi giorni varie reazioni alla presa di posizione della filosofa Donatella Di Cesare in occasione della morte di Barbara Balzerani. i E mi sono chiesto perché noi ex della nuova sinistra torniamo sull’argomento del lottarmatismo degli anni ’70, anche quando siamo fuori gioco rispetto all’attuale svolgimento della lotta politica.
E mi chiedo anche perché i commenti su quelle vicende non riescono ad andare, ancora oggi, oltre la demonizzazione dei brigatisti e l’assoluzione dei governanti d’allora. Mi ha colpito anche che quanti hanno difeso almeno il diritto d’opinione della Di Cesare diano per scontato il giudizio negativo sul lottarmatismo (o terrorismo) ma tacciano su come lo Stato lo abbia vinto e abbia vinto anche le formazioni politiche della nuova sinistra (Avanguardia Operaia, Lotta Continua, Pdup, MLS) che il lottarmartismo criticarono. E, cioè, non accennino più ai danni subiti dalla democrazia italiana proprio da quella vittoria dello Stato..ii Ancora nel 2024, dunque, il dibattito non può uscire dall’oscillazione: compagni criminali o compagni che sbagliarono. (E a sbagliare oggi sarebbe la Donatella Di Cesare) . Continua la lettura di Anni ’70. Sconfitti sì, pentiti no.→
Franco Tagliafierro, Storie del terrorismo made in Italy. Racconti, Il mio libro 2012
di Ennio Abate
Riporto su Poliscritture con alcuni tagli e aggiustamenti la riflessione che lessi e discussi il 2 ottobre 2012 alla Libreria Popolare di via Tadino a Milano. In appendice aggiungo l’intervento critico di Aldo Giobbio (di lui qui) e la mia replica. Per indicare un problema irrisolto di memoria non condivisa tra noi testimoni dei conflitti sociali e politici degli anni Settantao, ormai lontani ma carichi di effetti disastrosi. La versione precedente e i vari commenti si possono ancora leggere qui.
«Oggi la sua [della poesia ] complessità crescente e le sue criptiche, imprevedibili e disseminate tradizioni, ne fanno una straordinaria e incomprensibile coda di pavone che sempre meno esperti riescono a apprezzare, perché la tradizione non è più unica e condivisa, ma segmentata sempre più» (Tommaso Di Dio)
Ma perché, dai! Se è dagli anni 70 – quando Berardinelli vide «l’astro esploso» cadde da cavallo e si pentì passando poi al Foglio – che si ciancia di «tradizioni moltiplicate esponenzialmente, multimedializzate e ibridate, in modo talmente vertiginoso e acritico che nessuno può più pretendere di avere la Poesia»,
perché, perché i poeti dovrebbero « compiere uno sforzo di ritorno al testo, di stare sui testi»?
Che s’intestardiscano invece nella «implacabile lotta per la vita». Che abbandonino gli ermi colli (se ci sono mai stati) e bivacchino tutti i giorni «su social network, YouTube, smartphone ecc.».
Gettino la «carne umana e sociale» della tramortita Poesia, se ancora respira in questo Pozzo Nero di Liquami Mondiali.
Che i pavoni del cortile A soddisfatti come assassini inconsapevoli ruotino «la fenomenale bellezza delle loro ampie code» e gridino ai pavoni del cortile B: narcisisti! E quelli dal cortile B echeggino insistenti: narcisisti ! a quelli del cortile D. E via seguitando …
Che ciascuno sia frammento e continui a frammentarsi, fondi clan, idioletti e micro-comunità.
Così, morta la Poesia, se ne farà finalmente un’altra.
Ennio Abate
(commento censurato dal LPLC)
A me, invece, pare uno sguardo compiaciuto e complice sulla Nuova Prostituzione Poetica.