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AI, Lavoro e Capitale

di Paolo Di Marco

1- AI

Ne suo articolo seminale (Computer Machinery and Intelligence, Mind 1950) Turing non chiede cosa sia l’intelligenza -compito disperato, dice- ma sostituisce la domanda con un’altra, rappresentata dal ‘gioco dell’imitazione’: una persona in una stanza deve indovinare mediante una serie di domande se il soggetto al di là della parete sia uomo o donna o, successivamente, macchina. Questo verrà poi chiamato test di Turing e rappresenta tuttora il criterio principe del riconoscimento di una Intelligenza Artificiale (in breve AI).
Ma c’è un problema: l’equivalenza fra le due domande è ingannevole; Turing non ci dice che la macchina al di là della parete è intelligente, ma che è indistinguibile. E nel 1950, dato lo stato delle conoscenze sull’intelligenza, questo poteva essere considerato soddisfacente.
Questa attenzione al risultato (il cosa), indipendentemente dal modo di raggiungerlo (il come), viene mantenuta in tutti gli sviluppi successivi, a partire dal convegno ‘fondativo’ del ’56 organizzato a Dartmouth da McCarthy, dove filosofia e scienze neurocognitive sono del tutto marginali rispetto al nucleo matematico-ingegneristico (‘quando il seminario inizierà avremo un accordo eccezionale sulle questioni filosofiche e linguistiche così potremo perdere poco tempo con quelle quisquilie’ scrive Minsky). Il risultato principale del convegno è porre le basi della ‘AI simbolica’ come insieme di regole per la manipolazione di simboli matematici.
Grazie a questo percorso nascono i primi ‘sistemi esperti’: un esempio interessante è il programma ELIZA (dello psicoterapeuta Weizenbaum) che alla affermazione del paziente ‘Io sono Giuseppe’ risponde ‘Da quanto tempo sei Giuseppe?’ e una successione di domande che rimandano sempre la palla al soggetto, lasciandogli la forte impressione di un colloquio oracolare. (Come un famoso programmino per ragazzi degli anni’60, ‘Pangolino’ che faceva credere al fruitore di avere un programma intelligente).
Come osserva Ross Ashby a Dartmouth ‘quando parte di un meccanismo è nascosta all’osservazione il comportamento della macchina appare notevole’. Ma su questa strada della manipolazione di simboli nascono anche macchine per la ricerca automatica di antibiotici come pure giocatori automatici di scacchi (Deep Blue di IBM) capaci di battere il campione del mondo.
A questo percorso se ne aggiunge in parallelo un altro, tradizionalmente legato al termine di cibernetica: sono tutti i meccanismi a retroazione (feedback) che forniscono i sistemi meccanici di capacità di autoregolazione. Dalla antica chiaccherina dei mulini all’umile sciaquone del wc al termostato questa capacità, aiutata e sviluppata dall’aggiunta di piccoli calcolatori programmabili, oltre a sviluppare l’automazione delle macchine fornisce ai robot un’altra vestigia umana.  McCarthy ci gioca (!973, ‘The Little Thoughts of Thinking Machines’) parlando dei termostati che spengono le caldaie perchè ritengono la temperatura troppo alta, e inizia un’abitudine nominale che si attaccherà alle ‘smart machines (le macchine furbe/intelligenti)’ di oggi.
Anche combinando questi due percorsi il risultato, però, resta insoddisfacente in elementi cruciali, come il riconoscimento delle immagini e del linguaggio: un bambino di un anno ha abilità inimmaginabili anche per le macchine più potenti.
Ma, visto che all’origine della ricerca era stato di fatto esclusa la parte sulla struttura dell’intelligenza umana, il cammino riparte dal gioco dell’imitazione e lo eleva a paradigma; si danno in pasto molti esempi di foto contenenti facce ad una macchina (simbolica) a reti neurali insieme ad un esempio di faccia, e si fanno variare le configurazioni della rete selezionando darwinianamente quelle che che restituiscono la maggior parte di corrispondenze vere, in un processo di affinamenti successivi. È un classico esempio di forza bruta: più esempi si hanno e maggiore è il successo. Altrettanto per il linguaggio. Il successo clamoroso di ChatGPT nell’imitare un colloquio umano è dovuta alla mole enorme di dati che ha avuto in pasto.
Questo però è accompagnato da distorsioni (bias) ed ‘allucinazioni’, che errori non sono ma caratteristiche intrinseche dell’imitazione. (Se pensiamo a un oggetto funzionale con una struttura articolata, un’imitazione può somigliarvi moltissimo ma non cogliere quei particolari che sono essenziali alla funzionalità..si veda anche qui ).
Potremmo dire che l’imitazione produce un linguaggio stereotipato, pieno di tutte le idiosincrasie e presupposti nascosti (che sono parte caratterizzante di ogni linguaggio) mescolati a caso. Come nelle immagini il passaggio dalla Gioconda ad Andy Warhol.
Come sempre poi c’è il diavolo nei dettagli: i modelli basati su una grande messe di dati (LLM) prendono il linguaggio di massa , più facilmente accessibile, e quindi anche privo di parole e costrutti rari. Quindi quello con minor quantità di informazione. E per risparmiare vengono assunti a valutare le parole e i costrutti dei giovani kenyoti sottopagati, come in ChatGP: uno strato di presupposti nascosti sovrapposto ad un altro.

2- lavoro
avvertenza: le previsioni sono basate su calcoli già distorti dalle assunzioni originarie: non si parla infatti tanto di AI quanto di un insieme di AI, automazione, sistemi esperti e simili.
le più accurate sembrano le previsioni IMF, laddove le indagini per paese (Francia, Italia, Cina) sono le più contaminate

A differenza dei redditi da lavoro dove i divari diminuiscono, con l’AI aumentano i divari nei redditi da capitale e nelle ricchezze. La ragione principale è che l’AI porta ad una sostituzione del lavoro e ad un aumento della domanda per capitale in AI, aumentando i redditi da capitale e i valori dei beni di investimento. In ogni scenario i tassi d’interesse (= profitto) di quasi 0,4 punti percentuali, col potenziale di compensare parzialmente la tendenza naturale alla discesa dei tassi di interesse in UK e in genere nelle economie avanzate

Come dicevamo queste previsioni mettono insieme automazione ed AI;

Dato quanto abbiamo detto sulla natura dell’AI, il lavoro più a rischio è quello
-dei livelli bassi del lavoro d’ufficio,
-delle agenzie di viaggio
-fino alle banche, alle agenzie di assicurazioni
-i contabili, rappresentanti di commercio
-gli addetti al ricevimento, i magazzinieri
-cassieri e commessi

non cambia la struttura dei call center e delle assistenze, che sono già state ridotte al momento a programmini tipo Pangolino fatti per impedire contatti telefonici reali;
anche con l’AI la funzione rimane la stessa, solo con un po’ di cipria in più.
Il World Economic Forum stima che l’AI sostituirà 85 milioni di lavoratori entro il 2025.
FreeThink ritiene che il 65% dei posti di commesso potranno essere stati automatizzati per quella data.
PwC valuta che a metà anni ’30 il 30% dei posti di lavoro potrebbero essere automatizzati, vuoi per automazione dei macchinari vuoi per sostituzione di impiegati.

Per il lavoro manuale semplice (dai campi alle città) è la solita automazione e le sue convenienze, l’AI rimane distante.

i limiti
Qualcuno sostiene che insegnanti e dirigenti, per fare due esempi, non saranno sostituibili, ma sicuramente ci proveranno.
Per il lavoro d’ufficio complesso qualcuno può illudersi all’inizio e affidarsi all’AI invece che agli umani, salvo poi , in genere, ricredersi.
Tutto dipende da quanto affamato è in quel momento il capitale finanziario e quanto è disposto a scommettere su di un bluff.

Se andiamo ad immaginare il risutato come sostituto di un nostro interlocutore di un ufficio significa che anche noi dovremo adeguarci a questa povertà informativa, in un continuo ciclo perverso. Ma è un modello di impiegato che entra in crisi ad ogni elemento nuovo od imprevisto; e la cosa si può estendere anche a lavori più impegnativi ma standardizzabili; un radiologo sostituito da un sistema esperto AI addestrato alla lettura delle lastre: funziona mediamente bene..finchè non arriva una malattia nuova (tipo Covid) i cui effetti non sono ancora codificati: o tutti i radiologi licenziati vengono riassunti (ma ormai non si trovano più) o la fiducia nei risultati crolla..e vengono licenziati anche gli amministratori.

Non solo il modello statistico dell’AI codifica tutti i pregiudizi e stereotipi riproducendoli con un’aura di oggettività computazionale. Ma, come dice O’Neil (Weapons of math destruction, 2016) il paradigma dell’AI, che si può leggere come proiettare il passato nel futuro, non funziona proprio in campi che cambiano o si evolvono.

3- il capitale barbone

La svolta avviene a cavallo degli anni ’70: le imprese ai piani decennali, poi quinquennali sostituiscono progressivamente termini sempre più brevi per i rendiconti;
il cambiamento è funzionale al capitale finanziario che diventa predominante, e si arriva fino ai rendiconti trimestrali.
L’attenzione si sposta dal processo produttivo e dall’oggetto al profitto disponibile a breve. La proprietà delle imprese si sposta progressivamente dall’imprenditore al capitale finanziario, la cui presenza dominante nei consigli di amministrazione diventa la norma (BlackRock controlla oggi un terzo delle imprese mondiali, e non è solo).
Il fuoco sul profitto immediato va anche a cambiare la forma del processo produttivo: il percorso laboratorio->fabbrica>grande fabbrica automatizzata non è più la norma, sostituito da processi mirati alla massimizzazione del profitto circolante (come il decentramento in tutto il mondo in cerca del lavoro a minor prezzo; v. la crisi e l’abbandono in Italia di Comau, l’impresa che per un certo periodo era la più avanzata per i processi di automazione).
L’innovazione tecnologica si manifesta sempre più come fuoriuscita dall’impresa madre di singoli o rami eretici, mentre il grosso si riduce a cambiamenti cosmetici che assicurino un rapporto indolore col ciclo del consumo.
Il capitale finanziario nutre una massa di renditieri, di cui alcuni (l’1!%) assorbono cifre paperonesche, ma coinvolge nella propria logica larga parte della popolazione: chi ha un piccolo risparmio, o vende casa ed è in attesa di comprarne un’altra, o ha dei soldi superiori alle necessità immediate lo affida alle finanziarie o alle banche (che lo passano alle finanziarie) e diventa compartecipe della stessa logica: non importa dove e in cosa sia investito, importa che renda il più possibile.
Così la mobilità del capitale finanziario, che dismette e riacquista per il solo tornaconto immediato diventa logica universale. Quella che una volta si chiamava la logica del barbone: meglio un bicchiere oggi che una bottiglia domani.

Questa fluidità del capitale finanziario è l’elemento più appariscente, anche se, volendo completare il quadro, dovremmo parlare delle isole intorno a cui questi flussi girano, dei mescolamenti, dei vortici e coaguli. Che poi descrivono la struttura del potere. La mappa ruota necessariamente intorno a questo capitale che generato dal lavoro se ne autonomizza e lo domina, e da qui allarga la sua sfera a inglobare anche ciò che  all’origine non ne era parte. Allargando anche radici e dimensioni della sua nemesi.
Ma, ricordando come Arrighi ha descritto il flusso del commercio e denaro genovese nel ‘500 (Giovanni Arrighi, Il lungo secolo XX, 2014) e come da questo nacque la Spagna e l’impero di Carlo V, la parte iniziale del lavoro è capire in che acque stiamo navigando.
Che, per tracciar rotte, è parte ineludibile.

Una nota

Quando Marx parla delle merci, osserva come per il capitalista non conti più il loro valore d’uso ma solo il valore di scambio. Che possiamo anche aggiornare dicendo che la presentazione, la pubblicità, la forma sono molto più importanti della funzionalità dell’oggetto.
Questa considerazione vale anche per l’AI. L’interpretazione del gioco dell’imitazione come Santo Graal dell’AI va a braccetto colla natura del capitalismo; e fa ben vedere come l’AI è entrata in sinergia coi mercati ed è evoluta in una disciplina dominata dai giganti della Silicon Valley ed è stata da loro ‘corporatizzata’.
Ma questo con una possibile Intelligenza Artificiale reale c’entra poco.
Come dice Dreyfus (What computers can’t do, ’72) ‘il primo uomo che si è arrampicato su un albero poteva affermare di aver compiuto un progresso tangibile verso l’ascesa alla Luna’, ma purtroppo raggiungere la Luna richiede metodi qualitativamente differenti dall’arrampicarsi sugli alberi.
Per un progresso tecnologico reale le imitazioni non bastano.

bibliografia ulteriore
1- Paolo Di Marco, L’automazione, D’anna
2- Paolo Di Marco, L’organizzazione del lavoro sociale, D’Anna
3- Franco Romanò e Paolo Di Marco, La dissoluzione dell’economia politica
4- Rapporto IMF SDN/2024/001, M. Cazzaniga et alii, Gen-AI: Artificial Intelligence and the future of work
5- Deepak P-Mere Imitation, Psyche/Aeon 24
6- Aghion P.-Artificial Intelligence, Growth and Employment:The Role of Policy
7- Capello, Lenzi-Automation and labour market inequalities: a comparison between cities and non-cities
8- Yang Shen & Xiuwu Zhang1, The impact of artificial intelligence on employment:
the role of virtual agglomeration

la Yugoslavia ….e la nuova Europa dei fratelli Grimm

di Paolo Di Marco

1- l’intervento all’ONU di Vučić (da l’Antidiplomatico)

Il 20 Settembre, davanti ad un’assemblea generale delle Nazioni Unite tutta presa dal conflitto ucraino, il presidente serbo Vučić ha fatto un discorso di grande coraggio e lucidità

Sono davanti a voi come rappresentante di un Paese libero e indipendente, la Serbia, che si trova nel percorso di adesione all’Unione europea ma che, al tempo stesso, non è pronto a voltare le spalle alle sue tradizionali amicizie costruite da secoli )”. “Voglio alzare la voce a nome del mio Paese, ma anche a nome di tutti coloro che oggi, a 78 anni dalla fondazione delle Nazioni Unite, credono veramente che i principi della Carta delle Nazioni Unite siano l’unica difesa essenziale della pace nel mondo, del diritto alla libertà e all’indipendenza dei popoli e degli Stati. Ma anche di più: sono la garanzia della sopravvivenza stessa della civiltà umana. L’ondata globale di guerre e violenze che colpisce le fondamenta della sicurezza internazionale è una conseguenza dolorosa dell’abbandono dei principi delineati nella Carta delle Nazioni Unite […] Il tentativo di smembrare il mio Paese, formalmente iniziato nel 2008 con la dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo è ancora in corso. Per la precisione, la violazione della Carta delle Nazioni Unite nel caso della Serbia è stato uno dei precursori visibili di numerosi problemi che tutti dobbiamo affrontare oggi, che vanno ben oltre i confini del mio Paese o il quadro della regione da cui provengo. Più in generale, dall’ultima volta che ci siamo incontrati qui, il mondo non è né un posto migliore né più sicuro. Al contrario, la pace e la stabilità globale sono ancora minacciate. […] Onorevoli colleghi, anche se da tre giorni da questo palco tutti giuriamo di rispettare i principi e le regole della Carta delle Nazioni Unite, proprio la loro violazione è all’origine della maggior parte dei problemi nelle relazioni internazionali – mentre l’implementazione di doppi standard è un aperto invito per tutti quelli che cercano di affermare i loro interessi con la guerra e la violenza, violando le norme del diritto internazionale ma anche le fondamenta della moralità umana.
Tutti i relatori finora, e credo tutti dopo di me, hanno parlato della necessità di cambiamenti nel mondo, menzionando il proprio Paese come esempio di moralità e rispetto della legge. Oggi non parlerò molto del mio Paese […] Ma parlerò dei principi che sono stati violati e che ci hanno portato alla situazione odierna, e non dai piccoli paesi, che spesso sono bersaglio di tali attacchi, ma dai paesi più potenti del mondo, soprattutto quelli che si sono arrogati il diritto di dare lezioni a tutto il mondo, esclusivamente dal proprio punto di vista, su politica e morale.”
E ancora “Qui in questa sala, appena due giorni fa, abbiamo potuto sentire dal Presidente degli Stati Uniti che il principio più importante nelle relazioni tra i paesi è il rispetto della loro integrità territoriale e sovranità – e solo come terzo fattore più importante ha menzionato i diritti umani. E mi è sembrato che tutti in questa stanza lo sostenessero. Io, come presidente della Serbia, l’ho accolto con palese entusiasmo. […] Sarebbe tutto bello se fosse vero. Quasi tutte le principali potenze occidentali hanno brutalmente violato sia la Carta delle Nazioni Unite sia la Risoluzione ONU 1244, che era stata adottata in questa Alta Camera, negando e calpestando tutti quei principi che oggi difendono, e ciò è accaduto ventiquattro anni fa e ancora quindici anni fa. Per la prima volta, senza precedenti nella storia del mondo, i diciannove paesi più potenti hanno preso una decisione senza il coinvolgimento del Consiglio di Sicurezza dell’ONU – lo ripeto, senza alcuna decisione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU – di attaccare brutalmente e punire un Paese sovrano sul suolo europeo – come ebbero a dire – “per impedire il disastro umanitario” […]. E quando ebbero finito con questo lavoro, dissero che la situazione del Kosovo era un fatto di democrazia e che sarebbe stata risolta in base alla Carta della Nazioni Unite e al diritto internazionale. E poi, contraddicendo tutto questo e soprattutto contrariamente al diritto internazionale, nel 2008 hanno deciso di supportare l’indipendenza del Kosovo. La decisione illegale di secessione della provincia autonoma di Kosovo e Metohija dalla Serbia è stata presa dieci anni dopo la fine della guerra, senza un referendum o qualsiasi altra forma di consultazione democratica affinché i cittadini in Serbia o almeno nel Kosovo stesso, potessero dichiarare le loro intenzioni. Questa decisione è stata presa in un momento in cui la Serbia aveva un governo impegnato nell’integrazione europea ed euroatlantica […]. Tutto questo non ha impedito che la violenza politica e legale arrivasse proprio da coloro che oggi sono in prima fila nell’impartirci lezioni […]. La cosa peggiore è che tutti coloro che hanno contribuito all’aggressione contro la Serbia oggi ci danno lezioni sull’integrità territoriale dell’Ucraina. Come se non la supportassimo. Noi la supportiamo e continueremo a farlo perché noi non cambiamo le nostre politiche e i nostri principi, non ostante la nostra centenaria amicizia con la Federazione Russa. […] Sono il presidente della Serbia, al mio secondo mandato; in innumerevoli occasioni ho subito pressioni politiche, sono un veterano politico. Ciò che vi dico oggi è la cosa più importante per me: i principi non cambiano in base alle circostanze. I principi non si applicano solo ai forti, si applicano a tutti. Se non è così, non sono più principi”. […] Un’altra cosa importante è che la pace è diventata una parola proibita. Tutti loro (NDR, le grandi potenze) hanno i loro preferiti e i loro colpevoli. I soli valori che rimangono alle grandi potenze sono proprio i principi. Ma sono principi falsi: li invocheranno solo fin quando gli staranno bene.”

Nei successivi incontri con la stampa, Vučić ha rivelato di esser stato “consigliato” di non menzionare l’aggressione della NATO contro la Serbia e la violazione del diritto internazionale implicita nella dichiarazione di indipendenza del Kosovo. “Hanno cercato di spiegarmi che era l’ultima occasione, per me, di diventare un politico del futuro e non un politico del passato” (sembra di sentire la Viktoria Nuland con Yanukovich) “e se non avessi voluto, ci sarebbero state queste fondazioni straniere pronte a sostenere i miei avversari politici, per portarli dove devono essere”.
in un mondo del genere, credo che ancora una volta, la Serbia, alzando la voce e combattendo per i valori universali e per i principi di inviolabilità dei confini internazionalmente riconosciuti, per l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza politica, offra l’esempio della battaglia per ciò che è giusto […] Non ci vuole una grande forza ma solo risolutezza e coraggio. […] È solo triste che i grandi paesi, che non sono interessati alla legge e alla giustizia, si appellino a principi diversi in base alle circostanze, ovvero ai principi che in quel momento gli convengono. Quando si segue questo tipo di politica, quando non c’è moralità nella politica, diventa chiaro che entreremo in un’era di grandi divisioni e grandi conflitti, non solo economici e politici ma anche militari. Proprio in una situazione così difficile, l’ONU rimane l’unica piattaforma reale che ci unisce […]. Forniamo pieno sostegno a tutti i processi di riforma delle Nazioni Unite, comprese le iniziative del Segretario generale per preservare la pace globale, per non rischiare di scomparire, tutti, in un conflitto darwiniano guidato dalle maggiori potenze […] La Serbia è sulla strada europea, pronta al cambiamento e alle riforme. Abbiamo buoni rapporti con gli Stati Uniti e credo che i nostri rapporti saranno ancora migliori. Allo stesso tempo preserveremo le nostre amicizie tradizionali, in tutti i continenti, e saremo orgogliosi dei nostri buoni rapporti con i paesi e i popoli in Africa, Asia e America Latina. […] Le nostre relazioni con Cina, Korea e Giappone, molti paesi arabi e musulmani, sono alla loro massima espressione storica. Non romperemo la nostra importante, storica amicizia con la Russia, nella convinzione che Il dialogo rimane l’unica strada per una soluzione di compromesso. […] Credo nel futuro […] e nella capacità di superare le differenze con sforzi congiunti. […] Voglio che costruiamo ponti, non muri.”

2-Kosovo

Una nota a margine: ricordiamo come Fronte di Liberazione del Kosovo non fosse altro che il nome preso dall’esercito privato dei trafficanti di droga albanesi, organizzazione che gli USA avevano-per una volta giustamente- messo nella lista dei gruppi terroristi; collocazione cambiata nel corso di una notte durante le elezioni albanesi; cosicchè il Kosovo è il primo narco-stato ufficiale. L’ovvio riconoscimento USA (fatto in funzione anti serba e anti sinistra albanese) è stato entusiasticamente accompagnato da molti altri paesi, Italia compresa.

3- La sanguinosa distruzione

Quello di cui Vučić non può parlare viene prima del Kosovo, ed è la storia di come la Yugoslavia sia stata distrutta. Lo facciamo noi, riprendendo l’analisi di Michel Chossudovsky°, la prima e più dettagliata (e informata) relazione sulla frantumazione della Jugoslavia con mezzi finanziari.

a) L’immagine del futuro
La Yugoslavia multietnica e socialista era una volta una potenza industriale regionale e un esempio di successo economico. Nelle due decadi anteriori al 1980 il PNL era cresciuto alla media del 6,1%, la sanità era gratuita, il tasso di alfabetizzazione era del 91% e l’aspettativa di vita di 72 anni. Ma dopo un decennio di prescrizioni economiche occidentali e cinque anni di disintegrazione, guerra, boicottaggio ed embargo le economie della ex Yugoslavia sono distrutte, i loro settori industriali smantellati.
L’implosione della Yugoslavia è stata in parte dovuta a macchinazioni statunitensi. Nonostante il non-allineamento di Belgrado e le sue estese relazioni commerciali con Europa ed USA, l’amministrazione Reagan ha preso di mira l’economia jugoslava in una direttiva ‘Segreta e Sensibile’ (NSDD 133: ‘La politica USA verso la Yugoslavia’) del 1984; una versione declassificata ma censurata del 1990 la mostrava come elaborazione della Direttiva NSDD 64 sull’Europa dell’Est, del 1992: questa promuoveva “sforzi aumentati per promuovere una ‘rivoluzione quieta’ per rovesciare governi e partiti comunisti” e contemporaneamente reintegrare i paesi dell’Europa orientale in una economia di mercato.
Gli USA si erano precedentemente uniti agli altri creditori internazionali di Belgrado nell’imporre un primo giro di riforme macroeconomiche nel 1980, poco prima della morte di Tito. Quel giro iniziale di ristrutturazioni fissava le linee guida; nel corso degli anni ’80 il FMI e la Banca Mondiale prescrivevano dosi ulteriori della loro amara medicina economica mentre l’economia jugoslava andava lentamente cadendo nel coma.
Fin dall’inizio i successivi programmi patrocinati dal FMI accelerarono la disintegrazione del settore industriale jugoslavo la cui produzione arrivò nel 1990 a un tasso di crescita negativo del 10% parallelamente allo smantellamento dello stato sociale, con tutte le prevedibili conseguenze sociali. Nel frattempo gli accordi di ristrutturazione del debito aumentavano il debito estero ed una svalutazione forzata della monetà colpì duramente i livelli di vita degli jugoslavi.”

b) Markovic va a Washington
“Nell’autunno del 1989, appena prima della caduta del Muro, il premier jugoslavo federale Ante Markovic si incontrò a Washington col presidente George Bush per concludere i negoziati per un nuovo pacchetto di aiuti finanziari. In cambio dell’assistenza la Yugoslavia acconsentiva a riforme economiche ancora più drastiche, inclusa una nuova svalutazione, un altro blocco dei salari, tagli drastici alle spese statali e l’eliminazione delle compagnie a proprietà sociale, gestite dai lavoratori. I dirigenti di Belgrado, con l’aiuto di consiglieri occidentali, aveva posto le basi per la missione di Markovic realizzando in amticipo molte delle riforme richieste, inclusa una estesa liberalizzazione della legislazione sugli investimenti esteri.
La terapia d’urto iniziò nel gennaio 1990. Sebbene l’inflazione avesse già mangiato parte dei salari, il FMI ordinò che i salari venissero congelati ai livelli di metà Novembre 89; i prezzi continuarono a salire senza sosta, e nei primi 6 mesi del 1990 i salari reali crollarono del 41%.
Il FMI controllava anche di fatto la Banca Centrale jugoslava; la sua politica di restrizioni monetarie paralizzava ulteriormente la sua capacità di finanziarne i programmi economici e sociali; entrate statali che avrebbero dovuto andare come trasferimenti alle repubbliche e alle provincie andavano invece al servizio del debito di Belgrado coi circoli di Parigi e Londra. Le repubbliche venivano lasciate largamente alle sole risorse proprie.
Con un un decisivo colpo di scopa i riformatori architettarono il collasso finale della struttura fiscale federale jugoslava provocando una ferita mortale alle sue situzioni politiche federali. Tagliando le arterie finanziarie tra Belgrado e le repubbliche le riforme alimentarono le tendenze secessionisti basate su fattori economici come su divisioni etniche, assicurando virtualmente la secessione de facto delle repubbliche.
La crisi di bilancio indotta dal FMI creò un fatto compiuto economico che aprì la strada alla secessione formale di Crozia e Slovenia nel Giugno 1991.”

c) Schiacciata dalla ‘Mano Invisibile’
Le riforme richieste dai creditori di Belgrado colpivano al cuore il sistema jugoslavo di imprese a proprietà sociali gestite dai lavoratori; l’obiettivo era di forzare una massiccia privatizzazione e smantellare il settore pubblico. La burocrazia del Partito Comunista, specialmente il settore militare e di spionaggio, fu oggetto di proposte mirate di appoggio politico ed economico a condizione dello smantellamento integrale del sistema di protezioni sociali dei lavoratori. Era un’offerta che una Yugoslavia disperata non poteva rifiutare. L’assalto all’economia socialista includeva anche una nuova legge bancaria mirata alla liquidazione delle ‘Banche Associate’ di proprietà collettiva; nel giro di due anni più della metà della banche del paese erano sparite, sostituite da nuove istituzioni ‘orientate al profitto’.
Nel 1990 l’andamento del PNL era passato a -7,5%; nel ’91 era sceso di un altro 15%; l’industria pesante era di fatto in liquidazione, con 2 milioni di lavoratori che avevano perso il posto; i salari erano in caduta libera, i programmi sociali erano collassati, la disoccupazione era galoppante. Lo smantellamento dell’economia industriale era di un’ampiezza e brutalità da togliere il fiato.

d) L’economia politica della disintegrazione
Qualcuno si unì per reagire alla distruzione della loro economia e politica. C’erano sacche di resistenza che superavano le linee di divisione etnica con Serbi, Croati, Bosniaci e Sloveni che lottavano spalla e spalla. Ma le difficoltà economiche acuivano le tensioni nelle relazioni tra repubbliche e tra le repubbliche e Belgrado.
La Serbia respinse totalmente il piano di austerità, e 650000 lavoratori serbi scioperarono contro il governo federale per aumenti di salario, le altre repubbliche seguirono strade differenti, con la Slovenia che sosteneva le riforme, la Croazia che si opponeva, e nelle elezioni del 1990 in Croazia, Slovenia e Bosnia vincono forze secessioniste. Così come il collasso economico aveva spinto alla frattura così a sua vece ka secessione accentuava la crisi economica; la cooperazione tra le repubbliche venne praticamente a cessare; e con le repubbliche che si azzannavano vicendevolmente alla gola tanto l’economia che la nazione si avviavano in una perniciosa spirale discendente. Il processo venne accelerato dalle dirigenze delle repubbliche che forzavano deliberatamente le divisioni sociali ed economiche per rafforzarsi. L’apparenza simultanea di milizie leali ai dirigenti secessionisti accelerò ulteriormente la discesa nel caos; queste milizie, prese in una spirale crescente di reciproche atrocità non solo spaccarono la popolazione lungo linee etniche ma frammentarono anche il movimento operaio.”

e) L’aiuto occidentale
Le misure di austerià avevano posto le basi per la ricolonizzazione dei Balcani. Se questo rendesse necessaria la rottura della Yugoslavia era oggetto di dibattito tra le potenze occidentali, con la Germania capofila della spinta secessionista e gli USA, timorosi di aprire il vaso di Pandora del nazionalismo, all’inizio favorevoli alla conservazione della Yugoslavia. A seguito della decisiva vittoria in Croazia di Tudjman, il ministro degli esteri tedesco Genscher, in contatto quotidiano con Zagabria, diede il via libera alla secessione; e non fu un sostegno passivo, chè la Germania forza la mano alla diplomazia internazionale per riconoscere Croazia e Slovenia; voleva avere mano libera dai suoi alleati per ‘acquisire il dominio economico dell’intera Europa di Mezzo”.
Il piano funziona male, anche per le difficoltà dell’unificazione tedesca e la crisi della Guerra del Golfo, mentre gli Americani si adattano alla tendenza in atto e scelgono di concentrarsi su Bosnia Macedonia e Croazia, sullo sfondo di quella che ormai è una sanguinosa e prolungata guerra civile.

4- dintorni

L’esempio yugoslavo è l’emblema della storia dell’Europa post muro e del suo allargamento.

In Polonia era intervenuto direttamente il Vaticano, con Woytila che svuota totalmente le casse per finanziare Solidarnosc e tutta la nomenclatura che doveva appoggiarne o tollerarne l’ascesa; alla fine la Polonia si troverà al potere non i portuali cattolici ma un’oligarchia fascista; ai confini con la Russia ci pensano gli americani, con una base di missili puntati direttamente su Mosca (è vero, sono missili antiaerei..solo che nel giro di 24 ore possono essere sostituiti da missili d’attacco a lungo raggio).

Dopo la caduta del muro Ungheria e Cecoslovacchia seguono alla fine una sorte simile.

In Ucraina l’inizio segue la falsariga del copione jugoslavo, con la Viktoria Nuland che impone a Yanukovich di seguire le prescrizioni del FMI -pena diventare ‘obsoleto’- cosa che dopo il rifiuto di Yanukovich (che non è solo come la Yugoslavia ma può contare sull’appoggio russo -per quanto limitato) si tramuta nel colpo di stato di piazza Maidan. La reazione dei russofoni vede la Crimea tenere un referendum che vota la secessione (e riunificazione con la Russia che con l’ucraino  Kruscev l’aveva scorporata e data all’Ucraina), seguita dal Donbass, dove però le milizie naziste bruciano schede e scrutatori e iniziano una repressione che fa 14000 morti. È un processo non limitato al Donbass, dato che l’Ucraina è un mosaico a due colori fra russofoni e ucrainofoni, ben separati agli estremi ma mescolati nel resto; e a poco a poco i russofoni vengono repressi, licenziati, cacciati, uccisi. Fino a che la marionetta del più grande mercante d’armi dell’est europeo diventa presidente, incarnando dal vero la parte che aveva imparato in televisione.

Si conclude con la proposta di adesione alla Nato la lunga partita iniziata con la caduta del Muro, che aveva visto tutte le torri dell’ex Patto di Varsavia cadere in mano al nemico e cambiare colore. Ma questa ultima è particolarmente dolorosa, non solo perchè l’Ucraina  è all’origine della Russia storica, non solo perchè è stata infranta l’ennesima promessa fatta dai presidenti americani a quelli russi, ma anche per la sua posizione strategica rispetto alle vie d’acqua e al raggio d’azione dei missili. Putin si trova in Zugzwang: qualunque mossa faccia è perdente. Sceglie non la ‘meno peggio’ ma quella che lascia alla Russia orizzonti temporali e spaziali più larghi. È l’ultima mossa di un lungo gioco di rimessa che ha visto la Russia privata a poco a poco di tutti gli orizzonti europei.

E gli USA prendono due piccioni con una fava, dato che il primo risultato, inaspettato nella sua rapidità e profondità, è la distruzione dell’Europa come entità ed anche del suo pilastro economico, la Germania, privata dell’energia che alimentava le sue industrie, spogliata di ogni credibilità di ‘guida’, schiacciata anch’essa dal ‘tallone di ferro’. E pure beffata dagli americani che fanno saltare i gasdotti russi Nordstream, mossa prima preparata come deterrente all’invasione ucraina e poi invece usata contro la Germania (come ci rivela Seymour Hersh) .

Due brevi note: visto quello che è successo alla Jugoslavia -come anche alla Grecia- forse i regimi fasciooligarcici dell’est Europa rappresentano il modo più facile di chiudersi a riccio per evitare di essere stritolati da Fondo Monetario e BCE. Enti che d’altro canto hanno sempre ben davanti agli occhi l’obiettivo della lotta di classe: le loro prescrizioni, così come le misure antiinflazione, sono sempre caratterizzate da una esasperazione e pervicacia che appaiono gratuite se non fosse che  ai loro occhi l’obiettivo principale non è mai solo uscire dalle crisi (incluse quelle da loro provocate) ma mettere in ginocchio la classe operaia e tutti i proletari e poi, eventualmente, uscire dalla crisi. (Ce lo raccontano candidamente gli economisti del NYTimes quando descrivono i processi decisionali del Tesoro e della Banca Centrale americani).

Nella narrazione dei fuoriusciti dell’Officina Primo Maggio i proletari scompaiono, sostituiti dai popoli, in un’Europa immaginaria dove gli USA sono occupati altrove, dove il cattivo è già definito per carattere, indipendentemente dai fatti, e dove fra gli accadimenti fa capolino una Europ’Idea che fa di sè favola.

Sono un avido lettore di fantascienza, e negli ultimi anni anche di fantasy; così mi sono sorbito tutti i 14 volumi della ‘Ruota del Tempo’ di Robert Jordan, che nonostante la mole sono stati una piacevole lettura. Così quando Amazon ne ha fatto la versione per il piccolo schermo ho iniziato a vederla, ma  ho scoperto con amarezza che il beota dello sceneggiatore (già bersaglio dei milioni di fan della serie per un maldestro tentativo di trailer di anni fa) delle 14000 pagine di cui Amazon aveva comprato i diritti ne aveva usate solo 6: l’indice. Col risultato prevedibile di un pasticcio senza capo nè coda. La mia impressione è che i nostri moderni fratelli Grimm abbiano fatto lo stesso colla storia recente; anche se, come con tutte le storie dei Grimm, sotto sotto c’è sempre una morale. Anzi, alla fine resta solo quella, classica dei BildungRoman, col giovane (l’Europa) che attraversa prove difficili ma si rende conto alla fine che il suo destino si realizza solo accettando quello che il suo tutore (d’oltreoceano) gli prospetta. Potevano limitarsi a questo.

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°Dismantling Yugoslavia; Colonizing Bosnia
by Prof. Michel Chossudovsky, Covert Action, No. 56, Spring 1996
Michel Chossudovsky è Professore di Economia, University of Ottawa.