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L’archivista

 di Cristiana Fischer       

Il personal computer (da ora: pc) è un archivio, una rete di corridoi uniformi, con alti scaffali alle pareti. In quelli più distanti nella memoria sui palchi superiori cartelle gialle di contenuti accessibili, con titoli che si ripetono nel tempo: letteratura (in cui vecchi ebook di poesia e romanzi, le opere minori di Dante, manuali di fonologia e di metrica, analisi di figure retoriche); salute (raccoglie esami, dimissioni post-ricovero, prescrizioni e cure); conti (mese per mese le entrate e le uscite: lontani viaggi, molitura delle olive, nuova auto, bollette); cucina, cioè particolari ricette; filosofia (personaggi presenti e passati e i loro agganci a pensieri propri e a questioni per dir così eterne). E altre: politica, scienze, riviste, Marx, etc…
Invece il bene accumulato dei ricordi procede a lampi di verità, tornano volti e risate,  domande e gesti di affetto.
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Su solitudine, amore ingannatore, malinconia

Gustav Klimt, Signora con venaglio

di Franco Nova

SEMPRE PIU’ SOLI ED INSIEME
 
Soli stanotte, ancor più soli
d’una nube bianca nel cielo grigio.
Eppure tutt’intorno chiacchiere,
grida e risate da gente ubriaca.
Sta cominciando la primavera,
ma non per la mia vita solitaria
che ogni cosa e ogni persona
vede come da un binocolo.
In realtà, non sono però privo
di una ben rumorosa compagnia.
Sono forse soltanto i fantasmi
delle mie amicizie ormai lontane;
non per i luoghi abitati un tempo
in cui tanto parlavamo ridendo
e dandoci nuovi appuntamenti.
Non ci sono solo gli estinti,
ma pure quelli spariti nel mentre
sembravamo uniti per sempre.
Li ricordo tutti insieme mentre
mi sdraio sul divano e sto fermo,
perché se mi muovo li vedo
sparire d’improvviso nella luce
di giorni passati e tanto gioiosi.
Torneremo insieme, ma non così
come siamo noi in questa vita
ormai vicina al silente riposo.
Saranno altri, sempre pronti
a rilanciare in avanti lo spirito
di nuovi e più fervidi tempi.
Saremo proprio noi con loro
per quanto incredibile sembri.
Forse loro stessi lo sapranno;
noi, cioè in fondo io così solo,
sarò lì ad agitarmi di nuovo.
La vita continua, l’insieme
assorda con il suo vociare mentre
gli individui passano e stanno.
 
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Su età che avanza e voler vivere

di Franco Nova

NON IGNORIAMO L’ETA’ CHE AVANZA
 
Quant’è bello esser giovani,
ce ne accorgiamo poche volte.
Una nube lontana ci insegue
proprio come la vecchiaia, ma
il nostro sguardo vaga altrove.
Pensiamo il futuro lontano,
una noia infinita aspettarlo,
arriverà e non ci interesserà.
Quale errore, o noi sciocchi!
Sentiremo il respiro mancarci
e imprecheremo alla sfortuna,
respingeremo la maledetta e
annasperemo senza risultato.
Prendiamo atto da ragazzi
di come saremo assai presto,
perché veloce scorre l’età;
un respiro profondo e ci siamo. 
Diventiamo saggi da subito,
volgiamo lo sguardo alla nube.
La vedremo vaporosa e limpida
che ci attende senza burrasca;
certo si allargherà e infine
spazierà per l’intero azzurro,
ma senza farci temere ciò
che nasconde oltre se stessa.  



  
 
VOLER VIVERE, IL MASSIMO DESIDERIO
 
Uomo malato, inguaribile,
che cura i suoi simili
senza dar loro speranza;
inutile ogni sforzo perché
il fuoco interiore s’è spento.
Vale la pena di vivere?
Senz’altro sì perché si vive
CON gli altri e non PER loro.
Si abbia il senso dell’uomo
pur se esso porta una pena.
Ci sono esseri di piena gioia
che si ravviva ogni istante;
l’animo nostro di fori zeppo
la riceve e intorno la sparge.
Lottiamo per vivere a lungo,
odiando sempre la morte.
Certo la becchina prevarrà,
ma non cancellerà in noi
l’ansioso senso della vita.
Questa avvolgeremo
nelle spire dell’amore,
che l’uomo senza speranza
non sente né conosce.
Stringiamoci come amanti
e gettiamo nel Buco Nero
i viventi per sola incuria.
La vita come ci sarà grata,
urleremo l’odio alla morte. 

Il pensiero creatore, ultima speme

di Franco Nova

Il tramonto rosso acceso
di un occidente protervo,
il grigio teneramente disteso
in un oriente disattento,
suscitano sentimenti d’odio
o puro piegarsi all’abulia.
Voglia d’afferrare l’ignoto
e desiderio di nulla sapere;
sempre in contrasto fra loro,
l’uno non eliminerà l’altro.
La tragedia irrompe da un lato,
dall’altro si spegne nel noioso
ripetersi d’una piatta quiete.
L’Umanità procede comunque
senza nulla capire di dove va,
s’immagina un futuro sublime
e si perde nella ripetizione
d’usuali azioni che crede diverse.
Finirà con sua somma inutilità e
l’Universo non ne avrà sentore.
Né una perdita né un guadagno,
si spegnerà una sola lampadina
fra miliardi che ancora brillano,
uomini presuntuosi e sciocchi
soltanto fili della lampadina.
Mai muteremo l’Universo
per noi solo cielo stellato che
ignora la nostra vanagloria.
Diamoci pure un nido migliore,
ma abbiamo pure il pensiero;
creiamoci un altro mondo,
in cui vivremo sempre
dopo la fine dell’Universo.
Smettiamo di voler cambiare
quello in cui alloggiamo;
la nostra fortuna è pensare
d’essere destinati all’eternità
d’un mondo senza materia,
accolti da deità da noi create.  

Il conflitto supremo

di Franco Nova

La laida mietitrice
arrota la falce lunare.
Con quella crea terrore,
non in me che la odio.
Troppa ormai la vita
che senza avvertirti
t’ha voltato le spalle
e offre la testa alla falce,
la cui luce è ora rossa.
M’allontano dalla serva,
sdegnato del tradimento.
Pochi sembrano saperlo:
la vita ha più innesti e
alcuni sputano veleno
sull’infame quand’essa
acumina la sua falce.
Resistono gli impavidi e
chi sa quanto dureranno,
ma la resa non sarà mai
vergognosa per viltà.