Parlare con Aldo Giobbio per me significava ascoltare Aldo Giobbio. Non perché lui avesse il vizio di non tenere conto di ciò che il suo interlocutore diceva… anzi, tutt’altro, ma perché anticipava ciò che l’interlocutore avrebbe voluto aggiungere al già detto per argomentare meglio. E io ascoltavo. Questo accadeva quando l’oggetto della conversazione era la storia.
“Mi ha colpito la situazione paradossale al centro di questo racconto che hai scritto nel 2000: la folla anonima e gregaria, che sente una “medesima coazione alla morte” e, ubbidiente e caparbia, si dà da fare per morire non per vivere. E’ l’idea forte del racconto. Mi ha fatto pensare ai dannati danteschi in attesa del naviglio di Caronte che trasformano la “tema” in “disio”. Ma, forzando, ho pensato anche a una allegoria dell’Italia invecchiata d’oggi. Dal punto di vista narrativo l’idea è ben svolta con variazioni, colpi di scena e trovate un po’ cabarettistiche (nel finale). Il tutto sotto la regia di un narratore intellettualmente anche un po’ sadico che dà sfogo al suo umorismo nero. Non manca la rivolta dell’individuo (la signora della Smith & Wesson), che non vuole rispettare il gioco sociale”. (Da una mail di E. A. all’autore)
Erano
venticinque le persone accalcate dinanzi alla porta di servizio alle
otto di mattina. In prevalenza uomini, età media trent’anni, facce
meste, qualche bisbiglio.
–
Che aspettate per entrare, che vi chiamino da dentro? – domandò uno
spilungone in camice bianco uscito dal laboratorio, fermandosi a una
certa distanza da loro.
Delusione:
ecco il motivo per cui indugiavano. Avevano immaginato che sarebbero
entrati tutti insieme, spalla a spalla, petti e schiene quasi a
contatto, così ciascuno avrebbe avuto meno emozioni, meno paura.
Invece avevano trovato aperta solo la porta stretta.
–
Che aspettate, che vengano fuori loro? – li canzonò lo spilungone
sforzando adeguatamente la voce.
Questo è un altro capitolo del romanzo di formazione inedito, a cui sta lavorando Franco Tagliafierro. Il primo è stato pubblicato qui [E. A.]
Arrivare a Trieste, prendere una camera in un albergo economico nei pressi della stazione, lasciare la valigia sulla panchetta apposita, darsi una rinfrescata, cambiarsi o non cambiarsi la camicia, meglio cambiarsela, scendere in strada, eccolo là un telefono pubblico, estrarre dal portafoglio il frammento di cartolina ripescato dal fondo di un cassetto, c’è scritto un numero e a fianco un nome, il numero potrebbe essere ancora lo stesso oppure no, pronto, la voce è la sua, bene, tutto più semplice, sono Orlando, tre anni fa, a Milano Marittima, la voce risponde all’istante, ma solo con esclamazioni generiche, il ricordo di lui non può non aver generato anche esclamazioni specifiche, che però rimangono mute, come di chi esita, lui dice sono a Trieste, la voce di lei si amplifica, si colora di allegria, dice questa sì che è una sorpresa, l’allegria autorizza lui a dire allora possiamo vederci, certo, anche subito, a metà strada, in piazza Unità d’Italia, vai sempre dritto per Riva 3 Novembre, fra mezzora nel Caffè degli Specchi, sarà bello incontrarci là.
Questo è un capitolo di un romanzo di formazione inedito, a cui sta lavorando Franco Tagliafierro. E’ una narrazione epica – per me bellissima, calibrata e sapientemente ironica – dello scontro avvenuto in Piazza S. Paolo a Roma il 6 luglio 1960 tra manifestanti antifascisti e polizia. Il punto di vista è quello di un giovane “piccolo borghese” che fa il suo primo passo politico immergendosi in una folla organizzata e decisa di lavoratori («gruppi più o meno numerosi a seconda dei cantieri di provenienza, si formano macchie di berretti di carta di giornale nella marea di teste nude»). (E. A.)
Pubblico questa recensione-saggio di Franco Tagliafierro avvertendo i lettori che richiede un certo impegno. É analitica e abbastanza lunga. Si legge, però, bene. Come un romanzo, anche perché Franco, che di romanzi ne ha scritto cinque (vado a memoria), ha alleggerito con la maschera dell’ironia una materia criminale tremenda e inquietante. Alcune domande però s’impongono e le anticipo. Di fronte alla “macchina corruttiva statale-mafiosa”, che appare quasi onnipotente, è ancora possibile non cedere allo sgomento e pensarla politicamente? Di fronte a vicende, che si svolgono nelle zone oscure delle istituzioni statali e al di fuori della vita sociale percepibile dalla gente comune, possiamo soltanto sperare nell’intelligenza e nel coraggio di individui onesti ma eccezionali? Sono essi gli unici in grado di contrastare i corrotti e mostrare almeno per qualche attimo una verità, che inevitabilmente tornerà ad essere occultata e dimenticata? [E. A.]Continua la lettura di Piccola Réclame antistragista→