di Paolo Di Marco
È uscito per l’editore americano The Ice Plant, presentato alla galleria san Fedele da Giovanni Chiaramonte il libro di fotografie di Fulvio Ventura: Sagacity.
Un libro con un curioso destino: ero nello studio di Ghirri a Modena insieme allo stesso e a Fulvio quando arrivarono le bozze dei libri rispettivi preparati per la casa editrice di Ghirri. Ma la copia di Fulvio conteneva delle scelte di impaginazione che non gli piacquero, e lo rifiutò stizzoso. Poi la casa editrice chiuse e non ci furono più occasioni. Dopo la morte avvenuta l’anno scorso una ricerca fortunata ha ritrovato le bozze, e un’altrettanto fortunata ricerca un nuovo editore.
C’eravamo incontrati nel ’60 alla Statale di Milano, accomunati da letture, Arno Schmidt, Le Clezio, Sanavio, Cortazar, dalla musica jazz e antica insieme, dal surrealismo. Lui cerca altre strade e altri mondi, il sufismo uno dei percorsi chiave della ricerca.
Dicono i neurofisiologi che l’adolescente ha un’esplosione di collegamenti sinaptici, poi nella maturità questi si ridurranno alla metà: vengono scartati quelli meno frequentati e meno utili.
E in questo modo il cervello diventa sempre meno aperto a nuove idee e nuove strade.
La ricerca di Ventura cerca di ridar vita a quelle possibilità che abbiamo perso con la selezione dell’età adulta. fa intravvedere nuovi mondi oltre quello che vediamo quotidianamente, che ci siamo ridotti a vedere quotidianamente.
C’è un’interpretazione della teoria dei quanti dovuta ad Everett che, pur nel suo estremismo, è presa seriamente da molti fisici: quella dei molti mondi:
il dilemma centrale dei quanti è che se una particella può essere in due stati, possiamo sapere in quale solo misurando, violando il suo stato di incertezza. Everett ipotizza che ad ogni scelta entrambe le possibilità si avverino, e che di conseguenza si formino due mondi paralleli. Così all’infinito.
Ed è questa infinità che la rende dubbia e indigesta.
Ma se andiamo avanti e cerchiamo di capire cosa succede a questi mondi paralleli non è detto che assistiamo ad una continua divergenza, ma possiamo pensare ad una evoluzione soggetta alle pressioni selettive dell’ambiente e di tutte le scelte circostanti: molte delle divergenze verranno probabilmente annullate, altre resteranno ma quasi indistinguibili. La molteplicità non necessariamente si moltiplicherà.
Questo scenario è certamente più interessante di quello classico, e soprattutto si apre a un confronto con la realtà che ci sembra di vedere tutti i giorni, imprevista ma immutabile.
Le fotografie di Ventura possono essere viste come un’allusione a questo scenario: giardini dove si intravedono fate sfuggenti, personaggi presenti ma mal definiti o con più dimensioni di quelle che appaiono, paesi e paesaggi che sanno di non essere immutabili. Ci fanno sentire il peso dei mondi che avrebbero potuto essere e insieme ci liberano per un poco dalle catene del mondo che ci sembra essere.
Come ci dice de Santillana ne ‘il mulino di Amleto’ molte scuole esoteriche, dai Sufi ai Rosacroce, hanno alla base l’elaborazione di una perdita: quella della via che riportava l’anima alle stelle d’origine. Un viaggio periglioso e guidato da fari che sono le costellazioni chiave. Ma a un certo punto del passato la precessione degli equinozi sconvolse le mappe, togliendo fari chiave.
E compito originale delle sette esoteriche (anche se poi si allarga a molto altro e perde talvolta lo scopo iniziale) è il ritrovamento del cammino perduto.
Questa narrazione appare riprodurre, traslato nello spazio fisico piuttosto che in quello delle possibilità, il rapporto che abbiamo/avremmo con il multiverso che ci accompagna.