di Alessandra Pavani
Ci sono canzoni che non invecchiano mai, melodie e testi che trascendono l’epoca in cui furono scritti; decennio dopo decennio, vengono riproposte dalle radio alle nuove generazioni, e in chi le ascolta evocano le stesse universali emozioni che scatenarono ai tempi della loro uscita. Viceversa, ci sono canzoni talmente figlie del periodo della loro creazione, inni generazionali, che a distanza di anni non riescono più a comunicare il loro messaggio originario se non a coloro che le vissero personalmente; non è la loro alta/bassa qualità a farle sbiadire, ma le mode che sono cambiate, le tematiche non più attuali, o una debolezza di base che non riesce a tenere il passo col tempo. In questo articolo, però, voglio parlare di quella che può essere definita una terza categoria, che è una sorta di sintesi delle prime due di cui ho parlato: si tratta di canzoni, a volte capolavori, che magari hanno attraversato gli anni senza perdere nulla della loro bellezza, ma che non riusciamo più ad ascoltare con animo leggero come invece facevano i nostri genitori, perché è la nostra sensibilità che è diversa. Probabilmente, se composte al giorno d’oggi, diventerebbero oggetto di dibattiti, di scontri, e provocherebbero una serie di reazioni violente, dall’indignazione all’ostracismo. Sono state scritte decenni fa, ma ci toccano così nel profondo perché, a dispetto del tempo trascorso, sono più attuali che mai: sto parlando delle canzoni che trattano il tema del femminicidio. Continua la lettura di Vittime tra le righe di un pentagramma