di Ennio Abate
Attorno al maggio 2022 ho ritrovato Giorgio Majorino su Facebook e su “Gli Stati generali”.
L’ho seguito e scambiato con lui in varie occasioni ricordi e opinioni (qui, ad es., un suo commento su Elvio Fachinelli: https://www.poliscritture.it/2022/06/05/fachinelli-e-o-fortini-1/#comment-107655).
Di recente, tornando sulla sua pagina FB, preoccupato per il fatto che il suo ultimo post fosse del 20 novembre 2024, ho saputo della sua morte e che i funerali si erano già svolti il 9 gennaio 2025.
Di questi tempi la perdita di persone, che stimo e che ho conosciuto, si aggiunge – nero su nero – alla sofferenza sorda del lutto per i tantissimi morti – a Gaza in primo luogo – che mi resteranno per sempre sconosciuti.
Nulla posso/ possiamo fare. Resistere? Certo, ma da soli e da vecchi e con pensieri smozzicati di fronte a fatti sempre più orrendi (o orrendi come sempre).
Non è una consolazione, ma – al buio in tempi bui – sottraedomi – magari solo a intervalli – alle distrazioni (e alle distruzioni) che mi assalgono, ancora posso indagare su quanto hanno fatto o scritto persone stimabili come Giorgio Majorino, al di là delle vicinanze o distanze dalle sue idee.
Rileggerò – e invito altri/e a leggere – i suoi articoli su “Gli Stati generali” (qui il link con l’elenco: https://www.glistatigenerali.com/author/gmajorino/page/2/) e sul suo blog ( https://www.narrazionipsicoanalitiche.com). Ma non posso non ricordare che la sua figura – distinta ma non separabile da quella del fratello Giancarlo – per me resta legata soprattutto all’esperienza di “Manocomete – quadrimestrale di profondità e superficie”, una rivista culturale uscita tra il 1994-1995.
Sul n. 2 Giorgio Majorino pubblicò una lettura psicoanalitica delle dinamiche in atto nel gruppo redazionale che si era aggregato attorno alla rivista. E molto mi colpì, perché a me parve che ponesse in chiaro un problema di potere, che sospettavo ma non riuscivo a esprimere. Anzi, ebbi l’impressione che, nel sottolineare la rivista come “oggetto simbolico del desiderio”, enfatizzasse “il clima di guerra” presente tra i redattori. Mi sconcertò anche l’accento posto sull “odio” come “collante” che teneva uniti i partecipanti. E, di fronte alla sua affermazione che “le radici della democrazia si collocano nell’inconscio”, nei miei appunti e disappunti (qui) chiedevo di considerare – troppo illuministicamente e ottimisticamente? – anche “tronco, fogliame e frutti possibili” e di affiancare, perciò, a quella sua riflessione fatta col virus della psicoanalisi, altre considerazioni fatte col “virus della politicità”.
Eppure già allora dovetti riconoscere l’affermarsi tra i partecipanti di un “moto confusionario”, quello delle cosiddette “diversità”; e lo sprofondamento di ogni “sostrato comune”, sul quale aveva insistito il fratello Giancarlo nell’editoriale di “Manocomete” intitolato “Avvio”. E mi chiesi in cosa consistesse quel “sostrato comune” della rivista o quella “particolare affinità culturale” sulla cui base – secondo Giorgio Majorino – “la leadership (direttori, editori) [aveva] convocato più persone” per iniziare la nuova rivista. O chiesi: “A unirci è il tema? O la distribuzione di Eros? O la coesività paranoide contro il nemico esterno?”.
A cosa tentavo di aggrapparmi? Finii per ammettere che a livello dell’inconscio “l’odio [era] il miglior collante per marciare uniti”, come sosteneva Giorgio Majorino. E anzi espressi dubbi quasi estremi: “ma noi vogliamo marciare uniti? e di che unità abbiamo bisogno, oggi?”.
Insomma, speravo ancora che il suo punto di vista psicoanalitico non cancellasse la possibile “coesività erotica” volta all’esterno (a quella che chiamavo allora una “politicità ampia”); e, dunque, non negasse il passaggio del “noi” dei partecipanti alla rivista da un mondo tutto di fantasmi a un mondo almeno con meno fantasmi. Non mi sembrava inevitabile che “il gruppo [dovesse] necessariamente prendere la via della conflittualità” tribale, arcaica. Mi sbagliavo.
P.s.
“Manocomete” fu un troppo breve tentativo di rimettere a pensare assieme intellettuali di varie competenze e generazioni, alcuni attivi già negli anni Sessanta, altri dopo il 1968. Riassumo qui il bilancio postumo sulla rivista, che feci il 29 aprile 2003, in occasione della morte di Luciano Amodio, uno dei protagonisti – assieme a Giancarlo Majorino e Felice Accame – di “Manocomete”:
"A Manocomete eravamo residui di una precedente epoca, provati e un po’ invecchiati, ma intenti a questo indispensabile spostamento. La posizione filosofica di Amodio a me pareva comunque la più chiara politicamente: comunismo finito, quotidianità piccolo borghese (“democrazia”) imperante; il ceto medio aveva sostituito la classe operaia, liquidando i valori costruiti attorno a quella. La discontinuità forte col passato lui l’aveva colta come tragedia (forse per lui da lungo tempo annunciata) e aveva abbozzato il massimo di disincanto possibile per uno come lui, che aveva un importante passato di sinistra intellettuale alle spalle e che nel ’68-’69 aveva visto giungere soltanto le déluge. Si poteva discutere a fondo quel suo bilancio, correggerlo, confrontarlo con altri, depurarlo dei toni tragici o rassegnati, intravvedere le nuove possibilità di comunicare e di cooperare? Non si riuscì a proseguire. Nell’allontanarci dal “campo di battaglia” degli anni Settanta, le nostre memorie, che sempre subiscono il danno di una relativa fissazione ad un evento-mito (il '56 di Amodio, il '68-‘69 per me, il '77 per altri), non si incontrarono e combaciarono male e solo per lembi. Insistere a lanciarsi segnali apparve troppo arduo o inutile. Subito dopo "Manocomete", Giancarlo Majorino si ritirava ancora a scrivere e a lavorare in solitudine; e gli altri, coetanei o più giovani, disattenti mi pare alla posta in gioco in quel tentativo, ne accettarono la fine".
*”psicanalista ibrido” è la definizione che Giorgio Majorino ha dato di sé:
Sono stato uno psicoanalista “ibrido” che ha sempre cercato di raccogliere nei vari orientamenti, materiali e ipotesi per il lavoro clinico e quindi, partendo da questi fare anche congetture un poco più approfondite sui fenomeni collettivi, andando aldilà di spiegazioni psicologiche solo descrittive. In altri termini facendo ipotesi sui meccanismi di base (o quelli che, provvisoriamente, riteniamo tali). Oltre al lavoro clinico, ho partecipato a ricerche psicologico-sociali, attivita’ peritali giudiziarie, insegnamento accademico. Ho pubblicato vari saggi su periodici culturali e scientifici e, nel 1992 il libro “Effetti psicologici della guerra”, da Mondadori.
(da https://www.glistatigenerali.com/author/gmajorino/)