Archivi tag: Giorgio Linguaglossa

In morte di Alfredo De Palchi. Memento per i vivi

di Ennio Abate

Della morte di questo poeta da tempo vivente negli USA ha dato notizia il 10 agosto scorso il blog L’OMBRA DELLA PAROLA (qui), che molto si è speso da anni per far conoscere la sua produzione. Sulla sua qualità e originalità per ora non mi pronuncio. Voglio invece sottolineare il mio dissenso, anche in questo momento di lutto, per la rimozione non innocente dei nodi politici e storici più ardui non solo dalla riflessione su De Palchi ma da quasi tutte le attuali discussioni sui poeti e la poesia. E lo faccio – ancora una volta polemicamente, purtroppo – pubblicando alcune mail del 2015 tra me e un amico, che lascio anonimo; e ripubblicando un commento, ovviamente ignorato, che lasciai nel 2016 su L’OMBRA DELLA PAROLA a proposito dei rapporti tra Alfredo De Palchi e Franco Fortini, che a quei nodi politici (del secondo dopoguerra) rimandava. [E. A.]

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«Ragazzi tanto per staccarci un po’ dall’intellettualità…»

Riordinadiario 2011

Ennio Abate a Lucio Mayoor Tosi (11 febbraio 2011)

Siamo, infatti,  passati, quasi senza accorgercene, dal ”Siamo tutti intellettuali” (ai tempi di Gramsci, quando essere intellettuali era un privilegio per pochi e un’aspirazione per molti) all’ “Abbasso gli intellettuali” (ai tempi nostri, della TV, del Web, della società dello spettacolo). E nella nostra mailing list serpeggiano eufemistici o sibillini messaggi, che in sostanza dicono: Gli intellettuali  sono non-concludenti.(Con il mio intelletto, traduco: inconcludenti; e cioè parlano e parlano ma non concludono un c…). La stessa solfa viene ripetuta in varie dosi. Con gran spreco d’intelletto e abbondanza di fumo, secondo me. Perché chi scrive un post  o mette quattro frasi in fila di commento, di un po’ d’intelletto pur necessita.

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Poesia dell’impensato o Opus servile?

Moltinpoesia/ Riletture/Un vecchio confronto con G. Linguaglossa

di Ennio Abate

 
 «[…] correlazioni, riscontri, figure metriche, forme significative e figure del discorso letterario, insomma tutti i livelli del cosiddetto testo, da quello fonematico a quello ideologico-culturale, sono comprensibili e apprezzabili non solo grazie al loro comporsi in sistema e struttura, ma anche per la relazione e interazione che ognuno di questi elementi stabilisce con qualcosa che testo non è, ossia con quel che chiamiamo “realtà”» (F. Fortini,  Opus servile. in Saggi ed epigrammi, pagg. 1641-1652, Mondadori, Milano 2003)  

Una vecchia discussione tra me e Giorgio Linguaglossa. Fu pubblicata sul blog «Moltinpoesia» nel breve periodo della nostra collaborazione col titolo: «Come leggere e interpretare la poesia. Due opinioni a confronto» il 28 febbraio 2013 e si legge per intero, assieme ai commenti, qui. E’ più facile cogliere oggi quanto già fosse netto il contrasto, poi risultato insanabile, tra noi. Linguaglossa usava il riferimento alla figura di Franco Fortini strumentalmente. Dichiarava di preferirlo a Sereni, per lui «l’inventore del riformismo moderato della poesia italiana», ma l’amputava del suo marxismo critico. Non lo comprendeva, l’osteggiava, lo confondeva con quelle che spregiativamente chiamava «le ferraglie del […] marxismo della terza internazionale e post»). E ha contribuito a cancellarlo anche dal residuo dibattito “militante”. Muovendosi successivamente, infatti, sempre più speditamente in direzione di quell’«impensato» heideggeriano [1] che, con la rottura dell’ ambigua e poi rimossa collaborazione con me e i *moltinpoesia*, lo ha portato alla fondazione del blog «L’Ombra delle Parole» e alle teorizzazioni di una NOE (Nuova Ontologia Estetica) monomane e involuta.

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Franco Fortini imbarcato sull’Arca della NOE?

a cura di Ennio Abate

Pubblico lo scambio polemico che ho avuto negli ultimi giorni con Giorgio Linguaglossa a proposito di un suo articolo  su Franco Fortini. Non è una chiacchierata estiva. [E.A.]

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Date a Sagredo quel che é di Sagredo

valery-konevin.-autoritratto.-1921

di Ennio Abate

Diciamolo di botto mentre il vespaio comincerà a ronzare. La poesia di Antonio Sagredo affonda le sue radici nelle Puglie e nel mondo che una volta si chiamava Est europeo e si muove nella potente Tradizione delle avanguardie novecentesche.
Sagredo, anche quando parla di certi poeti, è come se continuasse a parlare di sé. Vuoi perché li conosce a fondo e ne ha assimilato in pieno la lezione, condividendola senza riserve. Vuoi perché la sua scelta di campo poetico è assoluta e nettamente manichea. Vuoi perché ha mirato a costruirsi una identità unitaria e statuaria, chiusa all’altro da sé, ricorrendo – ma anche questo atteggiamento o posa attoriale o postura intellettuale sdegnosa  gli viene un po’ da quella Tradizione – alla mitizzazione di se stesso come Poeta assoluto. Continua la lettura di Date a Sagredo quel che é di Sagredo