di Giuseppe De Angelis
Giuseppe De Angelis è un giovane dottore in filosofia. Recentemente mi ha fatto leggere queste “Tre prove di teologia contemporanea”, continuazione in qualche modo della sua tesi di laurea. Ho letto volentieri le sue pagine e, pur condividendo singole proposizioni, in uno scambio di mail, gli ho detto chiaramente che la mia ricerca si muove su un altro terreno e all’interno di altri orizzonti. Per quanto mi riguarda, infatti, se devo ricorrere alla teologia, preferisco il «Trattato teologico-politico» di Spinoza o il messianismo di Benjamin. «Ma non è questo il punto. – Gli ho scritto nella mia e-mail. Preferisco restare sul tuo terreno, sulle scelte di scrittura-riflessione che tu compi. Allora ti pongo queste domande:
- È proprio necessario ricorrere al mito biblico per indagare e comprendere l’Essere, l’Esistere e l’Amare? Quale maggiore comprensione si guadagna rispetto ad altre modalità d’indagine?
- Per spiegare l’Amore perché scegliere il mito di Lucifero e non quello raccontato da Platone nel Simposio? Insomma, perché preferire il divino vetero-testamentario?
- La riflessione filosofica che, mi pare, si caratterizzi proprio per il suo emanciparsi dal “mithos” a favore del “logos”, se torna ad affidarsi in modo così palese e prevalente al mito religioso, non rischia dei passi indietro?…»
De Angelis ha provato a rispondere alle mie domande, ma i miei dubbi e le mie perplessità rimangono. Credo, comunque, che, per far crescere la riflessione, le “tre prove” abbiano bisogno di una circolazione più ampia. Da qui la mia proposta di pubblicazione su Poliscritture. (D.S.)
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