Anche questo articolo di Velio Abati era comparso sul vecchio sito (2010 – 2013) non più accessibile di Poliscritture. Fu pubblicato sul n. 10 cartaceo del dicembre 2013. [E. A.]
di Velio Abati
Continua la lettura di Una sera di primaveraAnche questo articolo di Velio Abati era comparso sul vecchio sito (2010 – 2013) non più accessibile di Poliscritture. Fu pubblicato sul n. 10 cartaceo del dicembre 2013. [E. A.]
di Velio Abati
Continua la lettura di Una sera di primaveradi Donato Salzarulo
Nella curva d’autunno c’è chi muore da solo. Intubato, affamato d'aria, dentro una gabbia di vetro.
di Yuri Ferrante
Parallele sporche In te abita una luce, la nascondi sottopelle mi piacerebbe scoprire a cosa conduce. Se rimane sempre accesa o se si spegne quando il paese tace. Ti abbandoni al suono dei torrenti provando a oltrepassare i ponti, si arriva all’altra riva e trasciniamo il corpo, lo stesso di prima.Continua la lettura di Tre poesie inedite
di Paolo Mazzocchini
La vita di un ragno prigioniero di una soffittatura è tetra. Non offre molti svaghi, egregio Caronte. La gioia più grande, per me, era quando si accendeva la luce, di sotto. Già, la luce, quella filtrava tenue attraverso le stecche della soffittatura. Insieme a lei passavano spesso, attraverso le fessure, i cari insetti che mi davano da vivere: zanzare, moscerini, farfalline notturne. Cibo per il mio stomaco non mancava. Ma era la luce che nutriva la mia anima intristita dal buio, opprimente come quello che domina qui, nel regno dei trapassati. La mattina mi arrivava una luce bianca, come la voce della donna che si aggirava nella stanza. Ma era l’irrompere della luce gialla, di sera, a segnare il momento speciale della mia giornata. Più o meno al secondo scoccare delle dieci, infatti, sentivo ogni volta rumori, uno sbattere di porte, un calpestio di passi e la voce acuta di un bambino che strillava e rideva, e quella di un adulto che discorreva con lui: «Su andiamo a letto, che il papà ti legge la storia di Ulisse!». «Sì, Ulisse e le sirene, papà!».
Continua la lettura di Vita e morte di un ragnodi Arnaldo Éderle
Finché non si consumerà l’anima.
Ci credo? Non so, la speranza però
è tenace e non mi abbandona, forse
me la mangio ogni mattina e
la digerisco subito senza problemi
di stomaco, mi sembra facile
deglutirla e introdurla nel sangue,
ma non so se ci rimanga e se circoli
nel mio povero corpo, però c’è
e ci rimane fino al prossimo rigurgito
fino al prossimo rutto
espulsivo. Continua la lettura di Finché non si consumerà
di Alessandro Scuro
Che meraviglia, per il viandante solitario che si addentra in una foresta intatta e rigogliosa, immergersi nella natura incorrotta, sollecitato dal terreno e dalla cadenza di pensieri cangianti, suggestionato dall’infinita varietà di dettagli e dall’armonia con la quale il paesaggio li combina. Curioso, scopre ad ogni passo uno scorcio ameno, una composizione inedita, vedute sconfinate e zone selvagge, fitte di vegetazione incorrotta. In quello spazio vergine ogni possibilità si estende al suo intorno. Dimentico della propria provenienza, senza meta, vive l’esperienza di una libertà inusitata; primi fra gli uomini contempla, scopre ed inventa il vagabondo perso in territori inesplorati, a contatto con ciò che non ha ancora forma definita né nome. Continua la lettura di I limiti del possibile
Riflessioni sui rapporti tra realtà e immaginario
di Rita Simonitto
Artù guarda fisso e immobile il pavimento. Un pavimento di parquet, di quelli a spina di pesce. Ci si perde sempre in quella geometria di linee che si incrociano, poi si dipartono e poi si incrociano di nuovo. Capisco che si possa essere presi da una sorta di ipnotismo!
La luce del sole vi arriva dopo aver superato, fuori dalla finestra, una ciocca ribelle dell’alloro che, facendo l’indipendente, ha deciso di uscire dalla potatura che gli era stata imposta “a parallelepipedo”. Dai fasci luminosi che entrano nella stanza, si formano impasti di colori che danno più o meno risalto agli oggetti che toccano. Continua la lettura di La realtà di Artù
di Giorgio Mannacio
I
“ …e tra qualche settimana piscerem nel Lago Tana.” ( da una canzone dei Legionari italiani in Africa: anno 1936 )
Ogni tramonto avverte
che è l’ora del Giudizio Universale
ma le reliquie
del mille e non più mille sono pronte
nel mattino seguente ad apparire. Continua la lettura di Due reliquie dell’anno Mille
di Roberto Marzano
Il mondo emotivo e visivo di cui si nutre la poesia di Roberto Marzano è solo un calco di quello reale dei quartieri popolari dov’è vissuto. E i suoi luoghi appaiono svuotati dall’effervescenza effimera di cui sempre la folla li riempie. I quattro testi che ho scelto danno conto di un’ansia repressa di chi li osserva. Le immagini, esterne e interiori, sono convulse, lampeggianti, rabbiose e rassegnate al contempo. Interlocutori veri qui mancano. E il poeta però testardo insiste a spiegare «la nebbia ai privi di vista / ai tavoli inclinati dei bar di terza fila /dai flipper assordanti di luci fioche». [E. A.]
di Paolo Ottaviani
…pensando a Franco Scataglini e
a “Codicilli – 1. –” di Giovanni Raboni
Nella terra così come l’aprì
il piccone e la pala, nella terra
perseverante e non lieve così
come alcuni vaneggiano, ma terra
dura e paziente che sa trasformare
lentamente le ossa in altra terra
o polvere, non cenere, e che un vento
improvviso la alzi sopra il mare
della luce oltre ogni sfinimento
di ogni immaginazione, per giocare
nel tempo non più nostro
che laggiù ancora ci ama
e che il cielo s’inchini su quel nostro
polveroso trastullo con la brama
calma di un diogemma
venuto dall’Oriente con la flemma
studiata di chi ha vinto
la morte, variopinto
mutare delle cose, come le ossa
rifiorite che spianano la fossa.