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SEGNALAZIONE In morte di Luciano Gallino

Luciano Gallino

Uno stralcio da “Luciano Gallino, costruire le fabbriche del dissenso”
di Roberto Ciccarelli:

Sin dalla fine degli anni Novanta, Gal­lino ha espli­ci­tato la ten­sione etico-politica, comune a molti intel­let­tuali tori­nesi, che lo ha por­tato a inter­ve­nire nel pre­sente con una ric­chezza di posi­zioni tutte ispi­rate a un rin­no­vato senso della radi­ca­lità. Radi­cale, lo era Gal­lino sia nell’impietosa e spesso dispe­rante ana­lisi del domi­nio capi­ta­li­stico, sia nell’evocazione degli stru­menti della resi­stenza e dell’alternativa.

L’approccio di Gal­lino non si limi­tava all’analisi delle dise­gua­glianze, oggi piut­to­sto in voga da quando Tho­mas Piketty ha avuto suc­cesso con un libro pre­ten­zio­sa­mente inti­to­lato “Il capi­tale del XXI secolo”. La gigan­te­sca espro­pria­zione della ric­chezza del lavoro avve­nuta a par­tire dalla fine degli anni Set­tanta ad oggi, Gal­lino la chia­mava “Lotta di classe”. Coniando — già dal titolo di un libro inter­vi­sta — la for­tu­nata for­mula di “lotta di classe dall’alto”.

In una lunga serie di volumi militanti,in cui non man­cava certo il rigore infles­si­bile dello scien­ziato sociale, que­sta vio­len­tis­sima asim­me­tria del potere dei ric­chi con­tro un lavoro sem­pre più debole e vul­ne­ra­bile è stata squa­der­nata con una peri­zia costante. Nel tempo Gal­lino ha affi­lato lo stile di inter­vento poli­tico giun­gendo a ren­dere il suo ultimo libro Il denaro, il debito e la dop­pia crisi una mor­dace ope­ra­zione di com­bat­ti­mento dia­let­tico con­tro l’oligarchia al potere. Spie­tato il suo giu­di­zio con­tro i “quat­tro governi del disa­stro” che hanno gestito i primi anni della crisi ita­liana: Ber­lu­sconi, Monti, Letta e Renzi. Sono l’espressione di un “colpo di stato delle ban­che e dei governi”

(da “il manifesto” qui)

 

IN MORTE DI VITTORIO RIESER (Un’intervista del 3 ottobre 2001)

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Foto di Vanna Lorenzoni

[Avrò visto e ascoltato Vittorio Rieser un paio di volte in via Vetere a Milano negli anni Settanta. In qualche seminario di Avanguardia Operaia – organizzazione “extraparlamentare” (questa la definizione dei giornali ostili) a cui ho partecipato io pure dal ’68 al ’76. Poi, nella seconda metà degli anni Ottanta, l’ho incontrato ad Agape di Praly, il centro dei valdesi, dove ancora era possibile  durante qualche campo estivo discutere  di argomenti socio-politici con studiosi o militanti – diciamo pure – in pensione o già messi ai margini dal nuovo corso che porterà alla distruzione della Sinistra. A differenza di altri, nei confronti del Rieser studioso mi è rimasta una stima rispettosa, anche dopo la sua scelta di rientrare nel PCI. E  ho avuto un’attenzione saltuaria ma coinvolta verso i suoi scritti più recenti, soprattutto quelli di bilancio storico, che mi è capitato di trovare sul Web o sul sito de «L’Ospite ingrato» del Centro F. Fortini (qui e qui). Li ho letti, però, con crescente distacco. Sia per la consapevolezza della comune sconfitta, che rende  amaro ogni sguardo al passato. Sia per diffidenza verso quella sua scelta di continuare la militanza nel PCI o in Democrazia proletaria o in Rifondazione comunista. Mentre la mia è stata la via dell’isolamento o, come poi l’ho chiamata, dell’esodo: pensare e agire per quel che ancora si poteva, ma al di fuori di ogni istituzione sindacale o politica, storica o residuale di quella stagione politica, nella quale il termine ‘sinistra’ aveva avuto  un qualche senso. Se oggi, malgrado le distanze, mi sento di onorare Vittorio Rieser, come mi è capitato per altri compagni conosciuti di striscio o frequentati allora (Danilo Montaldi, Massimo Gorla, Costanzo Preve,  Franco Pisano) è perché, fra le ceneri di molte loro parole, ancora trovo qualche brace intensa della vampata di quegli anni. Continua la lettura di IN MORTE DI VITTORIO RIESER (Un’intervista del 3 ottobre 2001)