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Dai calamai del petto

di Marina Massenz

Dai calamai del petto
si affacciano le gallerie del
tempo che pare disteso
e pure l’inquietudine non passa
che pare vuoto ma pure è tutto
pieno di pensieri sul fare e non fare,
alla fine la decisione della parola
fiato ossidante su materiale 
delicato e sottile.

Stirare la pelle stirare
stirare come una volta stiravo
camicie vestiti e pantaloni
alla finestra i ciclamini rimangono
col loro emergere da mazzi di foglie
si tirano su col gambo sottile dritto

e questi scoiattoli marroni dalle lunghe code
infestanti dei nostrani rossi viene lo stesso
la tenerezza del vedere e forse
la voglia infantile del prendere per sé
tenere inscatolare o ingabbiare
bambino che prende e vuole giocare

così del tempo passato e presente 
sono la scatola che rotola via
ma del futuro solo riflessi di fuoco
rumori assordanti crolli e strilli
e le ciabatte lasciate per via nella corsa 
e la bambola e i veli e i silenzi.
                                                                                                                                  Milano, 29.10.2024

2022. Notte di Capodanno in Piazza Duomo a Milano

Questi sono i primi  cinque interventi di una riflessione che  speriamo corale su un episodio di cronaca che sembra, come altri consimili,  paralizzare e azzerare le nostre già affaticate capacità di  pensare e agire sugli sconvolgimenti in atto nella nostra vita sociale. Altri  sono in arrivo e verranno pubblicati mano mano. [E. A.]

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La sfera blu

di Marina Massenz

Di quando i “grandi” diventano piccoli e i “piccoli” si fanno grandi, parlando un’altra lingua che dice del tempo già scaduto. In loro sostegno e come segno di partecipazione anche verso tutti coloro che si impegnano lottano lavorano per… ho pensato stamattina di pubblicare questa mia poesia inedita. Non scritta per l’occasione, ma esito forse di molteplici eventi sordamente in me accumulati e che oggi sento di voler condividere con voi tutti.

La ragazza ha visto la sfera blu
da astro nello spazio sospesa
e ammira e ama quel verde
e le acque le pecore i musi
bagnati nell’erba umida.  E’ la terra.
Così bella e fragile come creatura
che non diresti sospesa nel nulla
che non diresti abbia bisogno
della tua mano, per appoggiarsi
sul palmo aperto ad accogliere.
La vita così per alcuni decenni
ci sta nel palmo, la mano è la stessa,
ma a volte dimentica, lascia cadere
e tutto cade e cade e cade
finché si ferma proprio lì,
dove stanno le pecore, sotto l’albero.

2.11.21

La parola bendata

di Marina Massenz

E’ a un metro di distanza
che si arresta lo scandire dei piedi
questa voce ovattata
che oltrepassa la siepe dei denti
oltre la bocca bendata
ancora ci parliamo cara
ci diciamo di ieri di domani
di cosa cucini stasera 
del nostro lavoro sospeso
del silenzio metropolitano
ancora ci diciamo cose
e persino ci sorridiamo
sollevando la benda nel sole
trasgrediamo? Forse può essere
sì, ma così poco pochissimo
che oltrepassiamo appena la linea
che svaghiamo la mente
e c’è pure il cielo, che ancora c’é.

Franto e ricercato

Patrizio Di Sciullo e Roberto Neri
MUSEO FONDAZIONE CROCETTI, ROMA

di Marina Massenz

 Franto e ricercato
 nell’interno del corpo
 svuotato ventre
 lasciare che vada
 sciolto e sganciato
 niente ricerca d’interezza.

 Spazzolata tutta la certezza
 dell’intero adeguarsi
 a pezzi sparsi qua e là
 a volte in quasi pace
 poi più niente al fondo
 del resistere in vitalità.
 
 Affaccendata si spalanca
 la bocca un bel respiro
 che fuori è tutto molto nero
 buio e nero trafitto il bosco
 di tronchi dritti come spade.
 
 Ma a volte contorti anche loro
 affannati, sbattuti, soffocati
 e non si abbandonano di colpo
 a terra, come sarebbe naturale. 

Su «Né acqua per le voci». Un confronto.

di Ennio Abate e Marina Massenz

In occasione della presentazione dell’ultima raccolta poetica di Marina Massenz (Milano 5 giugno 2018, Libreria Popolare di Via Tadino) lessi dei troppo veloci e frammentari appunti su questi suoi nuovi testi. Citandone brani, parlai di: un io allarmato che si osserva e registra; toni sincopati; tendenza a una sintassi “compressa”; ritualità impersonale per la frequenza di verbi all’infinito; rimandi a mondi chiusi e coatti; esaurimento, abbandono e desolazione come sottopensiero delle immagini (più spesso di animali che di uomini). Successivamente quegli appunti li mandai a Marina, che replicò, precisò, puntualizzò. Ne nacque uno scambio di mail tra noi che toccò alcuni temi più generali di poetica . Pubblico ora una sintesi della nostra discussione. Al di là dei punti in cui divergiamo o poniamo accenti diversi sulle questioni toccate, abbiamo una comune convinzione: un rinnovamento dei discorsi sulla poesia passa anche attraverso confronti schietti come questo. [E. A.]

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