di Mariella De Santis
Per questo quarto appuntamento ho cercato tra le poesie di autori giovani di cui mi capita di ricevere i testi e ho scelto di condividere la lettura di inediti di Marta Poggi, genovese, ventitré anni, studi universitari non letterari in corso e un’attività lavorativa nel sociale. Alcuni dettagli della sua biografia sono riportati nella notizia in calce che ho lasciato con le sue stesse parole. Mi sono resa conto ora che questa mia decisione non è casuale poiché Marta ha scritto la notizia in prima persona e l’IO è il nominato continuo delle poesie che ora leggeremo. Mi è capitato spesso di affermare che la poesia che nasce, si articola e sviluppa solo intorno alla propria individualità mi annoia. Il racconto di sé reiterato, esposto, spesso alternante tra invettiva, supplica, profezia e compiacimento lo trovo un appesantimento che sbarra ogni dialettica intratestuale. Vi sono testi poi in cui l’IO è soggetto e non individuo e allora il testo poetico assume posizione relazionale. Nelle esperienze iniziali di scrittura è molto frequente che l’IO faccia da bussola per l’orientamento ma man mano che procede il processo riflessivo, si acquisiscono altri strumenti e se si è fortunati, ci si lascia avvincere dalla ricerca. Le poesie di Marta Poggi sono promettenti, l’IO esiste ma è asciugato, non ridondante e soprattutto è esso stesso un vettore. La seguente poesia di Marta, ad esempio, è una poesia di disorientamento, di esplicita interrogazione al senso della propria significazione nel mondo: […] Apro la carne/A muco, viscere, placenta/ Parole viscose e scarne /Che squartano il petto/ Ma restano mute./In me non più taccia /Tutto ciò che ho amato: / L’amore lima corazza /Come tiepido/Sorridere al vuoto. C’è un gesto violento che è la violazione della propria carne dentro la quale oltre a materiali organici, ci sono le parole. Questo incidere la carne per trovare la parola che porti nel mondo è gesto di forte dichiarazione di ingaggio con l’esistenza. La poesia contemporanea dei giovani che mi capita di leggere ha un forte carattere di corporeità che quasi mai è esultante. Sembra che al corpo venga affidato il compito di sostenere una dialettica con l’ultra personale difficile da raggiungere nell’interazione plurale. Ma quasi mai questo è un corpo glorioso quanto un corpo che cerca di definirsi mentre statuisce un’idea di rapporto con l’esterno a sé: […] Semino il cuore/ Di porte socchiuse/ E nei meandri/ Dell’intestino/ Ripeto perdono./Alle lacrime incagliate/ Alle carezze mute/ Scordate ad asciugare./ Io solo accado/Ma senza parole/ Scolata di suoni. In questi versi dalla evocata immagine del cuore, organo eccessivamente ospitato in poesia, si scende subito nell’intestino. Lì si trovano le emozioni e la mancanza di parola che addirittura è afona, senza suono. Pur rispettando la specificità della poesia di Marta, io credo che in qualche modo anche attraverso di lei si possa entrare in una poesia generazionale che esprime non tanto un ritiro dal confronto ma una torsione del conflitto ineludibile, su di sé. Non siamo in presenza di una poesia che desidera consolare chi la scrive, sembra che questi giovani abbiano letto e appreso la lezione lasciataci da Stig Dagermann nel suo struggente e profondo “Il nostro bisogno di consolazione”. La consolazione ci consegna a noi stessi, il conforto ci unisce perché implica la necessaria vicinanza dell’altro. Riporto per intera la poesia Quello che resta : Degli atti /Miei e vostri/Nel residuo dell’anima / Non resta che il solco/ E il rimpianto/ Anche dei mostri/ Di questa viva orchestra,/ Crudele ma viva e /L’offeso stupore di abbaglio/ Non resta/Che l’invisa materia/ E si assottiglia/In eterno allo zero./Polvere/ È ciò che resta /Del repertorio umano / E sinceramente/ Non so se mi basta. Questa è una poesia del disincanto, ciò che non ha prodotto il bene atteso può far rimpiangere il male pur di non sentirsi persi nell’assenza di gravità che allontana da ciò che si costituisce come fondante dell’umano. Ma nella dichiarazione di perplessità, quel non sapere se anche il dissolversi possa bastare, c’è l’apertura al possibile. Questa di Marta Poggi non è una poesia di resa, il divenire, il futuro sono entità presenti. Per la resa in poesia utilizza ossimori, contrapposizioni, tessiture materiche: Se abiti l’alba conosci / L’armonia delle ombre / Ed estasiato piangi/ Che la luna è di sabbia / Sta notte. […]ma poi arriva la scossa, il desiderio del movimento verso il nascente: L’impeto sbieco/di chi ha ancora salda nel pugno/ La gioia inesperta di levarsi/Al mondo,/Lo sguardo s’incrina/ Carezzato dal vento/Come gatto ascolta una mano / Sussurargli: è giorno. Naturalmente vi è un elemento di richiamata soggettività in questi componimenti che stringono il fianco della biografia. Nella notizia l’Autrice accenna di aver fronteggiato disturbi alimentari e quindi di aver agito un confronto interiore in profondità ma forse proprio per questo la sensibilità al tema dell’insidia, come un senso rigenerato della resistenza danno a questi testi una spaziosità che li disancora da una ricaduta nell’IO intimistica portando il corpo e la sua testualità in una dimensione di apertura al mondo, ai mondi.
Notizia
Sono nata a maggio del 1997 e vivo a Genova. Sto terminando gli studi in psicologia dello sviluppo e da un paio di anni lavoro come educatrice. Ho sempre vissuto la scrittura come un prezioso e intimo strumento di ricerca e incontro. Sin da piccola, infatti, ho percepito e cercato di coltivare una duplice tensione. Da un lato, l’impegno verso il sociale e, dall’altro, una ricerca verso la dimensione più intima dell’umano e il tentativo multiforme di toccarla ed esprimerla. La scrittura, la pittura e la musica mi sono sempre stati a fianco: mi hanno accompagnato nei giochi d’infanzia, mi hanno restituito una voce quando ho sofferto di disturbi alimentari e oggi sono diventati i miei principali attrezzi nel mio lavoro educativo. Da qualche anno ho cominciato a meditare, alla ricerca di strade capaci di restituirmi spazio anche nella corporeità.
Soffoco L'estraniata cadenza Di abitare un corpo E lasco dal ventre Il punto di non ritorno. Nel martirio E' la pellicola labile Di un'obesità Senza confini. Un bagliore Delinea inesorabile La vaga superficie Di un vuoto senza fondo Ridotto conforme Al riflesso scarno Di un uomo senza volto. Sbianchi il contegno A vedermi nuda e donna Sorridere rozza, Tra l'ascesi e l'umana Accozzaglia. Sono la tua presenza nelle mie ferite, Qui staziono Nell'arcaico dolore Di un'anima in larsen - I LISTEN TO THE WIND - Certe sere Cerco ninne nanne Voci calde e stonate Guaisco alla vita E d'infanzia sussurro Puré Cioccolata. Io aspetto Ma non chiamo. Quella malinconia Che spezza Certe sere Quella stretta Del petto mi chiama Alla resa E io sono nuda Ma armata Di occhi sgranati Muta tenacia Di bimba che é offesa. Certe sere io canto Di piuma e di pianto E nel palmo bisbiglia La mia ninna nanna: Marta, Ascolta il vento - ESTATE ALL'INSAPUTA- É estate Ma a mia insaputa. In fila Persiane socchiuse E nello spiraglio Tra il vento e l'asfalto La lavanda cresce Muta. Comprimo le ossa In vista del salto Ma il vento corteggia La corsa E il volo non urla Ma gonfia lo sterno. Piovono sguardi Su strada rovente E a sprazzi lavanda Cresce muta: La rivoluzione é timida E tinge l'asfalto. - OCCHI - Se ora potessi Sarei solo occhi Incontrerei Senza domande Sarei mite fessura E presenza muta Starei Scandalo di lacrima Che non chiede Ragione. Aprirmi nel canto E chiudermi al vento Intravedere D'altrove Tutto ciò Che del mondo Sussurra. Solo occhi sarei E dentro Il silenzio. Nulla di taciuto. Nulla da tacere. L'anima intera Avrebbe il suo Spazio.