di Paolo Di Marco
1- AI
Ne suo articolo seminale (Computer Machinery and Intelligence, Mind 1950) Turing non chiede cosa sia l’intelligenza -compito disperato, dice- ma sostituisce la domanda con un’altra, rappresentata dal ‘gioco dell’imitazione’: una persona in una stanza deve indovinare mediante una serie di domande se il soggetto al di là della parete sia uomo o donna o, successivamente, macchina. Questo verrà poi chiamato test di Turing e rappresenta tuttora il criterio principe del riconoscimento di una Intelligenza Artificiale (in breve AI).
Ma c’è un problema: l’equivalenza fra le due domande è ingannevole; Turing non ci dice che la macchina al di là della parete è intelligente, ma che è indistinguibile. E nel 1950, dato lo stato delle conoscenze sull’intelligenza, questo poteva essere considerato soddisfacente.
Questa attenzione al risultato (il cosa), indipendentemente dal modo di raggiungerlo (il come), viene mantenuta in tutti gli sviluppi successivi, a partire dal convegno ‘fondativo’ del ’56 organizzato a Dartmouth da McCarthy, dove filosofia e scienze neurocognitive sono del tutto marginali rispetto al nucleo matematico-ingegneristico (‘quando il seminario inizierà avremo un accordo eccezionale sulle questioni filosofiche e linguistiche così potremo perdere poco tempo con quelle quisquilie’ scrive Minsky). Il risultato principale del convegno è porre le basi della ‘AI simbolica’ come insieme di regole per la manipolazione di simboli matematici.
Grazie a questo percorso nascono i primi ‘sistemi esperti’: un esempio interessante è il programma ELIZA (dello psicoterapeuta Weizenbaum) che alla affermazione del paziente ‘Io sono Giuseppe’ risponde ‘Da quanto tempo sei Giuseppe?’ e una successione di domande che rimandano sempre la palla al soggetto, lasciandogli la forte impressione di un colloquio oracolare. (Come un famoso programmino per ragazzi degli anni’60, ‘Pangolino’ che faceva credere al fruitore di avere un programma intelligente).
Come osserva Ross Ashby a Dartmouth ‘quando parte di un meccanismo è nascosta all’osservazione il comportamento della macchina appare notevole’. Ma su questa strada della manipolazione di simboli nascono anche macchine per la ricerca automatica di antibiotici come pure giocatori automatici di scacchi (Deep Blue di IBM) capaci di battere il campione del mondo.
A questo percorso se ne aggiunge in parallelo un altro, tradizionalmente legato al termine di cibernetica: sono tutti i meccanismi a retroazione (feedback) che forniscono i sistemi meccanici di capacità di autoregolazione. Dalla antica chiaccherina dei mulini all’umile sciaquone del wc al termostato questa capacità, aiutata e sviluppata dall’aggiunta di piccoli calcolatori programmabili, oltre a sviluppare l’automazione delle macchine fornisce ai robot un’altra vestigia umana. McCarthy ci gioca (!973, ‘The Little Thoughts of Thinking Machines’) parlando dei termostati che spengono le caldaie perchè ritengono la temperatura troppo alta, e inizia un’abitudine nominale che si attaccherà alle ‘smart machines (le macchine furbe/intelligenti)’ di oggi.
Anche combinando questi due percorsi il risultato, però, resta insoddisfacente in elementi cruciali, come il riconoscimento delle immagini e del linguaggio: un bambino di un anno ha abilità inimmaginabili anche per le macchine più potenti.
Ma, visto che all’origine della ricerca era stato di fatto esclusa la parte sulla struttura dell’intelligenza umana, il cammino riparte dal gioco dell’imitazione e lo eleva a paradigma; si danno in pasto molti esempi di foto contenenti facce ad una macchina (simbolica) a reti neurali insieme ad un esempio di faccia, e si fanno variare le configurazioni della rete selezionando darwinianamente quelle che che restituiscono la maggior parte di corrispondenze vere, in un processo di affinamenti successivi. È un classico esempio di forza bruta: più esempi si hanno e maggiore è il successo. Altrettanto per il linguaggio. Il successo clamoroso di ChatGPT nell’imitare un colloquio umano è dovuta alla mole enorme di dati che ha avuto in pasto.
Questo però è accompagnato da distorsioni (bias) ed ‘allucinazioni’, che errori non sono ma caratteristiche intrinseche dell’imitazione. (Se pensiamo a un oggetto funzionale con una struttura articolata, un’imitazione può somigliarvi moltissimo ma non cogliere quei particolari che sono essenziali alla funzionalità..si veda anche qui ).
Potremmo dire che l’imitazione produce un linguaggio stereotipato, pieno di tutte le idiosincrasie e presupposti nascosti (che sono parte caratterizzante di ogni linguaggio) mescolati a caso. Come nelle immagini il passaggio dalla Gioconda ad Andy Warhol.
Come sempre poi c’è il diavolo nei dettagli: i modelli basati su una grande messe di dati (LLM) prendono il linguaggio di massa , più facilmente accessibile, e quindi anche privo di parole e costrutti rari. Quindi quello con minor quantità di informazione. E per risparmiare vengono assunti a valutare le parole e i costrutti dei giovani kenyoti sottopagati, come in ChatGP: uno strato di presupposti nascosti sovrapposto ad un altro.
2- lavoro
avvertenza: le previsioni sono basate su calcoli già distorti dalle assunzioni originarie: non si parla infatti tanto di AI quanto di un insieme di AI, automazione, sistemi esperti e simili.
le più accurate sembrano le previsioni IMF, laddove le indagini per paese (Francia, Italia, Cina) sono le più contaminate
A differenza dei redditi da lavoro dove i divari diminuiscono, con l’AI aumentano i divari nei redditi da capitale e nelle ricchezze. La ragione principale è che l’AI porta ad una sostituzione del lavoro e ad un aumento della domanda per capitale in AI, aumentando i redditi da capitale e i valori dei beni di investimento. In ogni scenario i tassi d’interesse (= profitto) di quasi 0,4 punti percentuali, col potenziale di compensare parzialmente la tendenza naturale alla discesa dei tassi di interesse in UK e in genere nelle economie avanzate
Come dicevamo queste previsioni mettono insieme automazione ed AI;
Dato quanto abbiamo detto sulla natura dell’AI, il lavoro più a rischio è quello
-dei livelli bassi del lavoro d’ufficio,
-delle agenzie di viaggio
-fino alle banche, alle agenzie di assicurazioni
-i contabili, rappresentanti di commercio
-gli addetti al ricevimento, i magazzinieri
-cassieri e commessi
non cambia la struttura dei call center e delle assistenze, che sono già state ridotte al momento a programmini tipo Pangolino fatti per impedire contatti telefonici reali;
anche con l’AI la funzione rimane la stessa, solo con un po’ di cipria in più.
Il World Economic Forum stima che l’AI sostituirà 85 milioni di lavoratori entro il 2025.
FreeThink ritiene che il 65% dei posti di commesso potranno essere stati automatizzati per quella data.
PwC valuta che a metà anni ’30 il 30% dei posti di lavoro potrebbero essere automatizzati, vuoi per automazione dei macchinari vuoi per sostituzione di impiegati.
Per il lavoro manuale semplice (dai campi alle città) è la solita automazione e le sue convenienze, l’AI rimane distante.
i limiti
Qualcuno sostiene che insegnanti e dirigenti, per fare due esempi, non saranno sostituibili, ma sicuramente ci proveranno.
Per il lavoro d’ufficio complesso qualcuno può illudersi all’inizio e affidarsi all’AI invece che agli umani, salvo poi , in genere, ricredersi.
Tutto dipende da quanto affamato è in quel momento il capitale finanziario e quanto è disposto a scommettere su di un bluff.
Se andiamo ad immaginare il risutato come sostituto di un nostro interlocutore di un ufficio significa che anche noi dovremo adeguarci a questa povertà informativa, in un continuo ciclo perverso. Ma è un modello di impiegato che entra in crisi ad ogni elemento nuovo od imprevisto; e la cosa si può estendere anche a lavori più impegnativi ma standardizzabili; un radiologo sostituito da un sistema esperto AI addestrato alla lettura delle lastre: funziona mediamente bene..finchè non arriva una malattia nuova (tipo Covid) i cui effetti non sono ancora codificati: o tutti i radiologi licenziati vengono riassunti (ma ormai non si trovano più) o la fiducia nei risultati crolla..e vengono licenziati anche gli amministratori.
Non solo il modello statistico dell’AI codifica tutti i pregiudizi e stereotipi riproducendoli con un’aura di oggettività computazionale. Ma, come dice O’Neil (Weapons of math destruction, 2016) il paradigma dell’AI, che si può leggere come proiettare il passato nel futuro, non funziona proprio in campi che cambiano o si evolvono.
3- il capitale barbone
La svolta avviene a cavallo degli anni ’70: le imprese ai piani decennali, poi quinquennali sostituiscono progressivamente termini sempre più brevi per i rendiconti;
il cambiamento è funzionale al capitale finanziario che diventa predominante, e si arriva fino ai rendiconti trimestrali.
L’attenzione si sposta dal processo produttivo e dall’oggetto al profitto disponibile a breve. La proprietà delle imprese si sposta progressivamente dall’imprenditore al capitale finanziario, la cui presenza dominante nei consigli di amministrazione diventa la norma (BlackRock controlla oggi un terzo delle imprese mondiali, e non è solo).
Il fuoco sul profitto immediato va anche a cambiare la forma del processo produttivo: il percorso laboratorio->fabbrica>grande fabbrica automatizzata non è più la norma, sostituito da processi mirati alla massimizzazione del profitto circolante (come il decentramento in tutto il mondo in cerca del lavoro a minor prezzo; v. la crisi e l’abbandono in Italia di Comau, l’impresa che per un certo periodo era la più avanzata per i processi di automazione).
L’innovazione tecnologica si manifesta sempre più come fuoriuscita dall’impresa madre di singoli o rami eretici, mentre il grosso si riduce a cambiamenti cosmetici che assicurino un rapporto indolore col ciclo del consumo.
Il capitale finanziario nutre una massa di renditieri, di cui alcuni (l’1!%) assorbono cifre paperonesche, ma coinvolge nella propria logica larga parte della popolazione: chi ha un piccolo risparmio, o vende casa ed è in attesa di comprarne un’altra, o ha dei soldi superiori alle necessità immediate lo affida alle finanziarie o alle banche (che lo passano alle finanziarie) e diventa compartecipe della stessa logica: non importa dove e in cosa sia investito, importa che renda il più possibile.
Così la mobilità del capitale finanziario, che dismette e riacquista per il solo tornaconto immediato diventa logica universale. Quella che una volta si chiamava la logica del barbone: meglio un bicchiere oggi che una bottiglia domani.
Questa fluidità del capitale finanziario è l’elemento più appariscente, anche se, volendo completare il quadro, dovremmo parlare delle isole intorno a cui questi flussi girano, dei mescolamenti, dei vortici e coaguli. Che poi descrivono la struttura del potere. La mappa ruota necessariamente intorno a questo capitale che generato dal lavoro se ne autonomizza e lo domina, e da qui allarga la sua sfera a inglobare anche ciò che all’origine non ne era parte. Allargando anche radici e dimensioni della sua nemesi.
Ma, ricordando come Arrighi ha descritto il flusso del commercio e denaro genovese nel ‘500 (Giovanni Arrighi, Il lungo secolo XX, 2014) e come da questo nacque la Spagna e l’impero di Carlo V, la parte iniziale del lavoro è capire in che acque stiamo navigando.
Che, per tracciar rotte, è parte ineludibile.
Una nota
Quando Marx parla delle merci, osserva come per il capitalista non conti più il loro valore d’uso ma solo il valore di scambio. Che possiamo anche aggiornare dicendo che la presentazione, la pubblicità, la forma sono molto più importanti della funzionalità dell’oggetto.
Questa considerazione vale anche per l’AI. L’interpretazione del gioco dell’imitazione come Santo Graal dell’AI va a braccetto colla natura del capitalismo; e fa ben vedere come l’AI è entrata in sinergia coi mercati ed è evoluta in una disciplina dominata dai giganti della Silicon Valley ed è stata da loro ‘corporatizzata’.
Ma questo con una possibile Intelligenza Artificiale reale c’entra poco.
Come dice Dreyfus (What computers can’t do, ’72) ‘il primo uomo che si è arrampicato su un albero poteva affermare di aver compiuto un progresso tangibile verso l’ascesa alla Luna’, ma purtroppo raggiungere la Luna richiede metodi qualitativamente differenti dall’arrampicarsi sugli alberi.
Per un progresso tecnologico reale le imitazioni non bastano.
bibliografia ulteriore
1- Paolo Di Marco, L’automazione, D’anna
2- Paolo Di Marco, L’organizzazione del lavoro sociale, D’Anna
3- Franco Romanò e Paolo Di Marco, La dissoluzione dell’economia politica
4- Rapporto IMF SDN/2024/001, M. Cazzaniga et alii, Gen-AI: Artificial Intelligence and the future of work
5- Deepak P-Mere Imitation, Psyche/Aeon 24
6- Aghion P.-Artificial Intelligence, Growth and Employment:The Role of Policy
7- Capello, Lenzi-Automation and labour market inequalities: a comparison between cities and non-cities
8- Yang Shen & Xiuwu Zhang1, The impact of artificial intelligence on employment:
the role of virtual agglomeration