La tua preghiera è degna di molta loda…
Dante, Inferno, Canto XXVI
di Ezio Partesana
Molti sono frastornati dalle notizie torve che arrivano dalla Palestina; non tutti in verità ché numerosi sapevano e hanno scelto, ma qualcuno sì. E nella posizione servile di chi ascolta e non fa o non può fare nulla, si discute delle ragioni degli dèi nazionali e dei loro imperi o dei diavoli del capitale; si fanno le scarpe, insomma, ma anche i coperchi agli uni e agli altri.
È probabile che gli interessi materiali e diplomatici di alcune potenze regionali e mondiali rendano conto di certe benevolenze o odii, così come i sentimenti di giustizia e libertà animino le persone che sono scese, numerose, in piazza per chiedere la pace. Con qualche silenzio o timidezza da attori locali, Anp, Egitto e Giordania in primo luogo, che lasciano domande alle quali è difficile rispondere.
È impossibile che la dirigenza di Hamas non avesse previsto la reazione di Israele. La quantità di vittime e il numero degli ostaggi non lasciavano spazio a alcuna mediazione che non fosse la resa (impensabile) o l’attacco violento. Questo significa che il progetto politico di Hamas (la sua “intentio recta” come la chiama Cacciari in una recente intervista, citando Tommaso d’Aquino) cercava o la guerra totale contro Israele, in alleanza con Libano e Iran, o lo scontro militare con le Forze di difesa israeliane. In entrambi i casi è un attacco suicida: non si spera di sopravvivere, solo di recare il maggior nocumento possibile al nemico e, sì, devo aggiungere, senza preoccuparsi troppo del popolo palestinese.
In un certo senso la mossa ha funzionato, e Israele è già stato sconfitto; il paese era sull’orlo di uno scontro civile chiaro forte, e adesso è disteso tra un’operazione militare crudelissima, oltre che costosa, e l’opinione del mondo. Ma anche Hamas non ha vie d’uscita (a parte i capi ultimi che sono, tutti, in esilio e ammesso che il Mossad non li raggiunga) che non sia morire là dove aveva regnato per un lungo tempo. Al momento non esiste alcun compromesso che potrebbe portare a una tregua, nemmeno ragioni di decenza umana.
È difficile comprendere la logica di un attentato suicida che è altra cosa dal sacrificio personale per salvare altri, non rivelare informazioni, proteggere la retroguardia, mantenere in funzione gli ospedali. Il male subìto e la disperazione sono giustificazioni psicologiche, non politiche, e se spiegano, ammesso che lo facciano, il movente, nulla dicono sul fine. A meno di avere una prospettiva storica secolare dove ogni sconfitta inferta al nemico (e questa, lo ripeto, è una sconfitta per Israele), non importa a quale prezzo, è un granello della sabbia della sua tomba.
Questa festa è senza invitati ma con molti camerieri.