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L’orgoglio di Cardano

di Paolo Di Marco

L’ultimo periodo della sua vita avventurosa, dal 1570 al 1576, Gerolamo Cardano la passò a Roma, ospite di quello stesso papa che appena prima l’aveva fatto imprigionare per il suo eretico oroscopo di Cristo.
È abbastanza curioso che il medico miracoloso e giocatore incallito, matematico e ingegnere di enorme presunzione, si accomodasse tanto tranquillamente in quella situazione, col suo carattere superbo e i numerosi vizi.
Ma un quaderno di appunti recentemente ritrovato in una collezione vaticana getta ora luce su quel periodo (1), anche se…(2)
Aveva realizzato anni prima un ingegnoso meccanismo per realizzare operazioni geometriche complicate, e pensò di costruire per la corte papale un automa capace di svolgere tutti i tipi di calcolo; erano di moda in quel periodo delle bambole che, seppur semplicissime, estasiavano i nobili prelati e le loro amanti emettendo gridolini con diverse intonazioni, così pensò di aggiungere al suo automa la capacità di esprimere apprezzamento per i risultati.
Come spesso accade l’entusiasmo e il caso ampliarono il progetto, spinti dal perfezionismo del matematico. Deciso a dedicarvi tutto il tempo necessario acquistò una fattoria vicina a Rieti con annesso un vecchio mulino. Fornito di rovere della miglior qualità e di dovizia di arnesi -alcuni dei quali da lui stesso inventati- iniziò la costruzione.
Mentre il motore del calcolo era abbastanza semplice – un sistema di ingranaggi a ruote dentate e leve collegate tra loro da aste e giunti per le operazioni algebriche di base, delle slitte a profilo elicoidale variabile per le operazioni geometriche e non lineari – il vero pezzo di bravura fu per lui la realizzazione dell’uscita: i calcoli dovevano venir declamati a voce. Così un ingegnoso sistema di carillons venne organizzato in modo da riprodurre le sillabe fondamentali, sì che la combinazione apparisse voce.
Anche l’ingresso dei numeri e le operazioni da compiere erano realizzati in modo semplice: un insieme di regoli con tacche per i numeri e i decimali, un altro regolo con tacche per le operazioni fondamentali; più complicato il sistema per la loro sequenza, con un insieme di regoli in parallelo, ognuno collegato a una parte degli ingranaggi centrali.
Mentre all’inizio il sistema era mosso a mano da una ruota, ben presto Cardano lo collegò al mulino così da avere continuamente l’energia necessaria. La costruzione, che occupava l’intero granaio della fattoria, occupò quasi tre anni: fresando, alesando e scanalando accuratamente tutti i pezzi di robusto rovere, bilanciando con precisione le distanze e gli equilibri, tarando le aste e registrando la robustezza degli snodi.
Il quarto anno il sistema iniziò a funzionare in continuazione, provando e riprovando le combinazioni e la correttezza dei risultati; la parte più difficile fu tarare la voce in modo che codificasse esattamente i risultati presenti sui regoli di uscita, ma anche questa parte ambiziosa alla fine risultò soddisfacente.
Per continuare le prove della parte vocale Cardano organizzò un sistema di selezione causale dei dati di ingresso da parte della macchina, così da evitare di dover riattraversare ogni volta la stanza per riimmetterli.
Ma una volta che tutto fu messo a punto, che le operazioni più complicate dettero i risultati corretti, espressi con voce metallica ma cristallina e melodiosa, Cardano sentì che mancava qualcosa. Sì la macchina parlava, ma non dava quello che lui voleva: la soddisfazione per i risultati raggiunti, quell’imitazione stupida ma efficace di emozione che le bambole di corte fornivano.
In un attimo di presunzione o di follia decise di far sì che la macchina, insieme ai dati di ingresso, registrasse anche il proprio stato; dopo un mese di progetti aggiunse ad ogni unità di operazione un sistema di pulegge e corde, intrecciate e collegate fra loro in modo da generare insieme una torsione e un avvolgimento, la prima proporzionale alla velocità di esecuzione, la seconda al numero di operazioni. E ulteriori corde univano tra loro le diverse unità, messe in tensione lungo la sequenza delle operazioni secondo il logaritmo degli avvolgimenti.
Fu un lavoro mostruoso, e la taratura richiese un intero anno. Ma l’orgoglio di Cardano ebbe la meglio, ed alla fine il risultato di questa rete di funi venne collegato all’uscita della macchina, dove andò a comandare delle trombe aggiunte ai carillons per amplificarne la voce e modificarne il tono.
Fu così che la macchina iniziò ad enunciare i risultati in tono soddisfatto o triste, entusiasta o declamante. Cardano riposò, e per tutta la settimana stesse ad ascoltare l’apparato cantare i suoi calcoli.
Per dare il tocco finale a quella che ormai gli appariva la maggior meraviglia dell’epoca collegò l’ingresso all’uscita, in modo che la macchina potesse declamare tutta l’operazione: “l’area di una circonferenza di raggio 2 è… pausa di un minuto…12,56637” con voce rombante e suadente insieme.
E infine Cardano, dopo 6 anni di lavoro, poté contemplare orgoglioso i risultati e pensare di mostrare quella meraviglia alla corte papale e al mondo.
Ritornò quindi a Roma ad occuparsi degli affari rimasti in sospeso, a blandire il papa ancora bisognoso delle sue cure, a rifarsi della fatica giocando interminabili partite a scacchi; iniziando anche le mosse preliminari della presentazione pubblica.
Nella sua assenza la macchina continuò a lavorare ininterrottamente, mossa dal mulino, e a cantare melodiosamente i suoi conti;
ma un fattore imprevisto, forse inevitabile dato il lungo collaudo, iniziò ad operare: qualche ingranaggio e qualche snodo, pur costruiti di duro rovere, si consumò quasi impercettibilmente; e il sistema, prima perfettamente bilanciato dalla somma abilità di Cardano, iniziò a trasmettere torsioni impreviste da una parte all’altra: ogni parte della macchina si trovò così in comunicazione con tutto il resto e soprattutto con la parte finale dell’elaborazione; e l’uscita del sistema di apprezzamento si trovò collegata anche come parte dell’entrata, in un insieme di vibrazioni che si propagavano in continuazione attraverso gli ingranaggi; quelli che erano inizialmente sussulti si smorzavano, riprendevano, si combinavano fino a dar vita ad un’unica onda che pulsava per tutta la macchina. Stando all’uscita la si poteva sentire percorrere i contorni avanti e indietro.
Fu così che, quando Cardano ritornò, sentì uscire dalla macchina suoni strani e senza senso uniti a parole e numeri ben distinti ma senza nesso apparente; insieme ai cigolii del legno sottoposto a sforzi sempre più intensi e alle vibrazioni caotiche dei carillons. Ma, nel momento in cui Cardano arrivò all’uscita per controllare, la confusione cessò per un momento, e una voce insieme cristallina e rombante profferì : “io sono…” E in quel momento lo sforzo ruppe il delicato equilibrio e la macchina rovinò in pezzi ai piedi del suo artefice.

Una versione orale contemporanea ma non comprovata racconta che quando il giorno dopo un disperato Cardano andò a raccogliere quello che restava del suo meraviglioso progetto la prima cosa che gli cadde sotto gli occhi fu il regolo d’uscita, fisso sul numero 666. la ‘Macchina analitica’ di Babbage

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(1) Archivum Apostolicum Vaticanum/digitavaticana.org/Reg.lett.2023/Gregorius PP XIII recipiens

(2) Delegazione di Asti dell’Accademia Italiana della Cucina, in data 7 febbraio 2005, ha registrato una ricetta “da ritenersi la più affidabile e tramandabile”. Depositata a Costigliole d’Asti con registrazione sottoscritta dal notaio Marzia Krieg

Covid19, aggiornamenti

circolazione virus con finestra aperta e un portatore

di Paolo Di Marco

1- la trasmissione del virus e i mezzi per fermarla

-Si conferma che la trasmissione per contatto, diretto o indiretto (superfici) è trascurabile.
-La trasmissione di gran lunga prevalente (~90%) è per via aerea tramite particelle piccolissime (aerosol): all’aperto di conseguenza è trascurabile (salvo assembramenti vocianti a distanza ravvicinata), si attiva nei luoghi chiusi, affollati e senza circolazione d’aria.
-Le maschere, soprattutto quelle chirurgiche, hanno un’efficacia assai limitata (dallo 0 al 12% secondo gli studi)
-La trasmissione con particelle di maggiori dimensioni (starnuti, canto, urla..) ha un raggio di sicurezza (riduzione del 90%) di 2 metri.
Di conseguenza i liquidi igienizzanti a la sanificazione classica (con disinfettanti) degli ambienti sono inutili. Poco efficaci sono anche i vetri divisori. Le mascherine hanno un’efficacia assai limitata e danno un falso senso di sicurezza.

La questione della trasmissione per contatto è un caso esemplare di deformazione (bias) dei risultati in base alle aspettative, che a loro volta provengono dalle indicazioni centrali (che quindi tendono a non venire mai smentite): la maggior parte degli studi (in generale condotti con criteri troppo approssimativi, dice una meta-ricerca) analizza la presenza di virus sulle superfici, ne misura la concentrazione..e finisce lì. Non si prova quasi mai se il virus è ancora infettivo (sembrando così scontato che lo sia). Quando la prova è stata fatta il risultato è stato negativo, con probabilità da 1/70 a 1/10000. E anche indirettamente (Giappone) le maschere e il lavaggio delle mani sono risultati i 2 fattori (su 7) ininfluenti sull’infezione.

Le misure per bloccare o ridurre in modo efficace la carica virale sono concentrate sulla circolazione d’aria:
-manifestazioni all’aperto (senza affollamento, ovvero distanze > 2 m)
-finestre aperte, possibilmente con riscontro (basta una sola finestra per ridurre a metà la carica virale), e in generale ACH (tasso di ricambio per ora) di almeno 3 (più è alto meglio è).
-ventilatori, meglio se rivolti all’esterno (controllo mediante sensori CO2, anche se le indicazioni non sono precise, ad es. nelle chiese); ventilatori con CADR (circolazione) di 8,5 metri cubi/minuto=140 lt/sec (equivale a una finestra aperta di 1 mq con vento di 0,15 m/s, per i marinai 1/4 di nodo..una leggerissima brezza)
-filtri Hepa  (e purificatori portatili: 2 in un una stanza  eliminano il 99% degli aerosol in pochi minuti)
-impianti di condizionamento senza ricircolazione d’aria
I valori efficaci sono:
Filtri: Merv (undice di efficacia) almeno=13 (catturano l’85% delle particelle pericolose: questo valore vale solo per i nuovissimi, quelli vecchi hanno Merv 6).

Sono in commercio anche altri tipi di sanificatori la cui efficacia però non è ancora stata verificata. Anche i raggi UV hanno effetti dubbi, anche perché l’intensità aumenta con la frequenza, ma anche gli effetti negativi sugli uomini. (Ricordiamo che anche l’ozono è gravemente tossico oltre le 18 ppm).

Il (parziale) cambiamento di protocollo è un caso esemplare per la sociologia del potere (ne parla Z. Tufekci sul NYT), con la modifica di parametri (e mentalità) ormai centenari. E forse permettendo una risposta più efficace la prossima volta (ovviamente tranne che in Italia, dove nessuno ha ancora aggiornato e semplificato i protocolli).
Se usate oppurtunamente (anche se tardivamente) queste misure possono rendere sani i luoghi di lavoro, non pericolosi i luoghi pubblici (dai ristoranti ai cinema), inutili i blocchi totali o parziali (lockdown), agibili senza pericolo le scuole.
In alcuni casi richiedono investimenti. Meglio di rimborsi, ristori e chiusure.

2-i vaccini

a)Il meccanismo d’azione
dei vaccini è noto: simula (con cellule/virus morti o loro parti) un attacco. Il sistema immunitario risponde e memorizza, cosicchè al prossimo attacco vero ha pronto lo stampo per una risposta veloce e massiccia.
Quindi il vaccino è molto diverso da una medicina classica: laddove questa attacca lei direttamente gli invasori e li uccide (insieme a un numero imprecisato di alleati- del nostro bioma- e con danni piccoli o grandi alle nostre cellule) qui il compito è lasciato al nostro corpo. Il vaccino dà solo l’usta. In questo senso è la medicina più intelligente inventata finora (e anche per malattie più complicate come i tumori la stimolazione del sistema immunitario è una delle vie più promettenti).
Dei vaccini finora approvati (uno, Pfizer, con approvazione definitiva, gli altri di emergenza) due sono a mRNA e gli altri (Astrazeneca, Johnson, …) classici. L’usta che presentano è la punta (proteina Spike) con cui il virus penetra nella cellula. Quando le particelle con l’mRNA entrano la cellula replica al suo interno la proteina Spike che poi si diffonde anche all’esterno sulla membrana. Il sistema immunitario reagisce come se tutta la cellula fosse infetta, attivando sia la risposta (e la conseguente memoria) dei linfociti B, produttori di anticorpi, che quella dei linfociti T (killer che uccidono la cellula). Il mRna virale ingegnerizzato si comporta all’interno della cellula come tutti gli altri mRna che la cellula produce nel suo ciclo vitale e dopo essere stato tradotto un po’ di volte per produrre la proteina Spike viene degradato: di lui non resta nulla. Le nostre cellule utilizzano il mRna soltanto per la sintesi proteica: il mRna non può quindi modificare il genoma cellulare. L’aver assunto come bersaglio la proteina Spike è stata una scelta con dei rischi, ma si è rivelata vincente, dato il tasso di efficacia raggiunto.

b) danni
I danni collaterali (trombosi e simili che si sono manifestati in alcuni casi) derivano probabilmente dalle caratteristiche stesse della proteina Spike, che li manifesta in misura massiccia nei casi gravi di malattia e in qualche caso anche nei casi vaccinati. (In proporzione inferiore a 1/10000)

c) efficacia
L’efficacia di questi vaccini varia secondo l’ambiente, le caratteristiche del soggetto, la sua storia sanitaria. Per Pfizer e Moderna è dell’ordine del 93%, sul 91% per AstraZeneca. Questo significa che la probabilità di un vaccinato di prendere il Covid è di 8/1 milione, di trasmetterlo di 1/1 milione. Per le varianti i dati sono ormai abbastanza ampi ma non univoci. Se all’inizio (Israele) appariva una diminuzione dell’efficacia dal 93 al 70-60%, confermata poi per Pfizer (Qatar, tra 53 e 65%) ma non per Moderna (Qatar, 79/85%) i dati successivi (Scozia) su una popolazione più ampia e soprattutto su un periodo più lungo davano un’efficacia solo marginalmente ridotta. In tutti i casi restava quasi inalterata la capacità del vaccino di evitare i casi gravi (dal 93% di Astrazeneca al 100% di Moderna).
La miopia criminale degli stati ricchi che spingono per la terza dose in casa propria e negano il vaccino ai paesi poveri fa però prevedere un moltiplicarsi delle varianti con conseguenze probabilmente non piacevoli.

d) farmaci antiCovid
Attualmente farmaci in grado di curare dal Covid19 non esistono. Tutti i dati sperimentali lo confermano.(v. rif 1 e le nuove ricerche visibili su Medrxiv),
Quelli sperimentati si possono raggruppare in tre categorie:
-antivirali (Remdesivir, Ivermectin, Idrossiclorochina): gli studi susseguenti ad esperimenti di laboratorio su animali o a riferimenti anedottici non hanno trovato effetti verificabili. Inoltre sia Idrossiclorochina sia Ivermectin, già utilizzati in altri ambiti con dosaggio diverso, hanno pesanti effetti tossici. Il Remdesivir ha blandi effetti nel diminuire i sintomi, e viene utilizzato per abbreviare le degenze (di circa 2/3 giorni) o in qualche caso evitare i ricoveri.
-anticorpi monoclonali, plasma iperimmune: a parte i costi proibitivi (1 milione di dollari a persona per i monoclonali) gli effetti sono risultati sotto la soglia di evidenza.
-cortisonici: utili nei casi di reazione esagerata del sistema immunitario (tempesta di citochine) per i pazienti ricoverati più gravi. Per gli altri controindicati dato che deprimono proprio le difese naturali.
L’utilizzo principale di questi farmaci è rallentare la malattia e guadagnare il tempo necessario per lo sviluppo delle ben più efficaci difese immunitarie, che sperabilmente porteranno alla guarigione.
Anche in presenza di varianti quindi l’unica protezione efficace sono i vaccini.
Il fatto che proprio loro siano diventati bersaglio degli strali della tribù anti Big Pharma è paradossale ma comprensibile, dato il ruolo di questa nel combattere la medicina preventiva (conferenza di Jakarta), il peso e i profitti enormi di questa fase.
Che anche i fautori della naturalità e dell’omeopatia li abbiano presi a bersaglio, preferendo sostanze inutili e tossiche come l’idrossiclorochina suona più strano, se non nell’ottica di crescente tribalizzazione degli schieramenti sul Covid dove un elemento di consenso basta ad aggregarne a sè altri anche assai diversi.
In questo quadro un fattore positivo, la rapidità quasi miracolosa della produzione di vaccini efficaci e in grande quantità come quelli a mRNA è diventato elemento di sospetto, implicito nella nomea di ‘vaccini sperimentali’. Cosa che non sono, avendo già passato una fase di sperimentazione accurata (decine di migliaia di soggetti) e una fase sul campo con milioni di somministrazioni. È certamente possibile che si manifestino effetti avversi a lunga scadenza, anche se sempre più improbabili e più rari man mano che passa il tempo. Non possiamo neppure escludere che il buon amico che nell’infanzia accoglievamo con piacere a difenderci dal morbillo e della polio si trasformi in un lupo cattivo al servizio di Bill Gates che ci trasformerà tutti in suoi schiavi.
Ma nel frattempo però conviene fare una considerazione molto semplice: Il tasso di mortalità varia dal 2 al 3% (dati odierni, mondiali e italiani, tendenzialmente sottostimato); Tutte le classi di età sono coivolte (attualmente negli USA i bambini sono 1/4 dei casi; la scarsa o nulla mortalità che appariva per i giovani ai tempi del lockdown era un effetto di mascheramento: erano sparite le morti per incidenti stradali prevalenti in quella fascia d’età). Con le varianti che si moltiplicano e fanno in fretta il giro del mondo prima o poi ognuno di noi se lo troverà addosso (e le varianti vanificano almeno in parte l’immunità di gregge) .
In quel momento forse è preferibile avere qualche difesa sicura.

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Riferimenti
1.v. il precedente 'Covid19, una strategia' con la relativa bibliografia.
2.Tara Parker-Pope. NYT, 13/9/21, 6 questions to ask about Covid and air quality at work
3.Zeynep Tufekci, NYT, 7/5/21 Why did it take so long to accept the facts about Covid?
4.OMS, sito, 2/5 aggiornamento sui meccanismi di trasmissione del virus.
5.CDC aggiornamento protocollo, 7/5 (solo parziale, si riconosce la trasmissione via aerosol ma non come principale: un esempio di come anche negli USA igiene pubblica e scienza vadano poco d'accordo, v.3).
6.Abaluck et al, The Impact of Community Masking on COVID-19: A Cluster-Randomized Trial in Bangladesh, 1/9/21, IPA, ( 340000 persone, con aumento del 30% di maschere;  un aumento maggiore avrebbe forse dato altri risultati. CDC USA: risultati trascurabili.   
7.https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/08/10/vaccini-ad-alta-tecnologia-come-funzionano, Andrea Belleli
8.Paul M McKeigue et al, Efficacy of vaccination against severe COVID-19 in relation to Delta variant and time since second dose: the REACT-SCOT case-control study,  12/9/2021
9.Tang et al, Vaccine effectiveness against delta variant in Qatar, 11/8/21

18 Brumaio e dintorni

di Paolo Di Marco

Alla tragica estinzione della lotta di classe è succeduto in questi tempi l’emergere un po’ farsesco della contraddizione fra libertà dei singoli e necessità dell’igiene pubblica.

Ma sorge il sospetto che, come negli Stati Uniti i residui della classe operaia sono diventati i più accaniti sostenitori di Trump, così qui da noi i più accesi talibani della verità scientifica contro la superstizione e difensori del patto sociale contro l’arbitrio individualista stiano sbagliando bersaglio. (n.b.: questa è un’autocritica..)

Giustificati forse dalle trappole semantiche e politiche collocate da forse non innocenti filosofi, eppure colpevoli di miopia.

Perché a sorreggere tutta la costellazione di movimenti no-vincoli e a darle forza sta una constatazione ineludibile: che il patto sociale è stato già da tempo rotto. E che lo stato non è nostro amico.

Notizia vecchia, e già alla base delle lotte comuniste, eppure dimenticata nei lunghissimi anni di ingannevoli speranze e snervanti compromessi del dopoguerra, e accantonata quando ne è morto politicamente il protagonista sociale, la classe operaia. Per aggrapparsi agli scampoli di democrazia ancora pendenti dai balconi e soprattutto al relativo benessere che li reggeva.

Ma intanto il patto sociale veniva sempre più eroso dall’interno, e la privatizzazione del sistema sanitario ne era lampante testimone. Finché la pandemia non ha presentato il conto.

Ed è un segno della residua vitalità del sistema che i portavoce dei rapinatori siano diventati i paladini dei rapinati. Con diffuso e trasversale consenso. A destra come a sinistra, fra i colti e gli ignoranti, gli intelligenti e gli stupidi, ma tutti uniti dalla convinzione che quando piove è il governo che è ladro. E che il greco (anche vestito da scienziato) è sempre nemico, anche quando porta doni.

Pesa su di noi la tradizione socialista di identificazione con lo stato nei paesi dell’est e di compromesso con esso ad ovest. E non ci hanno aperto gli occhi lo svuotamento progressivo dei diritti e beni né la crisi del 2008 né il clima che impazza. Del resto ai ciechi se mostri la luna al massimo toccano il dito. E siamo diventati ciechi per ignavia, compiacenza, pigrizia.

Ma anche perché ci hanno tolto i sogni.

In ogni grande trasformazione c’è una combinazione inestricabile di necessità e speranza, di sogno e bisogno. Che coinvolge tutti.

E allora, come ci ricorda Bodei nell’introduzione al ‘Principio Speranza’ di Bloch, “non abbiamo forse fin troppo abbassato lo sguardo confondendo, più banalmente, la caduta di alcuni idoli con la caduta degli ideali?”; e più tardi, citando Bloch (133):” la speranza è un concetto antitetico all’angoscia ma anche alla memoria”.

Aprire gli occhi altrui significa allora innanzitutto riaprirli noi. Liberandoci dal socialismo e il suo stato come peccato originale del comunismo. Riconoscendo che la sviluppo delle forze produttive ci permette oggi di compiere qualunque passo, se la sovrastruttura lo consente.

Ricostruendo dunque quell’alleanza tra anarchici e comunisti che era già stata alla base della terza Internazionale, in un percorso che Guido Viale vede svilupparsi dal basso, dai territori, poi  ‘l’Intendance suivrà’, fuori dalle logiche di stato.

La polemica sui vincoli è dunque trappola, su ben altro occorre buttare la polemica, alzare il tiro al disopra di questa mischia. E ricominciare, subito, un dibattito sul futuro. Finché il futuro ce ne darà tempo.

42, rivisitato/sulla vita, l’universo..e tutto

Premessa

Nella imprescindibile Guida Galattica per Autostoppisti com’è noto si trova anche la risposta alla domanda fondamentale sul mondo e sulla vita, ed è 42.
Ma dato il tempo trascorso dall’ultima edizione (anche se cambiata da quella originale del ’78) sentiamo il bisogno di un aggiornamento su alcuni temi che ci stanno a cuore.

1- Cos’è la vita

Schrœdinger, uno dei fondatori della meccanica quantistica, nel 1943 tenne delle conferenze su questo tema a Dublino, poi tradotte in libro nel ’44. Da qui nasce il dibattito moderno sul tema.
Purtroppo viziato da un presupposto implicito, cioè che si tratta della nostra vita. L’obiettivo è quindi assai importante ma limitato, e inficia in modo quasi automatico tutti i dibattiti sugli alieni. Così come ingenera, sempre in automatico, una gabbia concettuale che racchiude le analisi delle ragioni di quello che è successo ma non considera quello che avrebbe potuto essere.
Anche l’ultimo libro sull’argomento, quello di Paul Davies, fisico e divulgatore (nonchè portavoce ufficiale del comitato di ricevimento degli alieni, PPSDTG@SETI), non sfugge a questo limite, anche se i risultati cui arriva possono aiutare ad allargare gli orizzonti.
Ma conviene precisare subito com’è fatta la gabbia: anche perché altrimenti la nostra capacità di riconoscere un alieno verrebbe pericolosamente compromessa (in umile ma netto dissenso con Jim al Khalili e tutti gli scienziati che intervista nel suo libro).

Se eliminiamo il requisito che la vita sia del tipo della nostra, quindi protoplasmatica, intelligente (e auspicabilmente di bell’aspetto) dobbiamo riformulare i caratteri base evitando ogni presupposto nascosto; un possibile elenco sarebbe:
1- ha uno scambio di energia/materia con l’esterno
2- ha una propria dinamica interna che la fa evolvere
3- scambia informazione con l’esterno
4- si riproduce
Mentre 1 e 2 appaiono essenziali, 3 lo è un po’ meno, e 4 altrettanto.
Una domanda interessante che aiuta a chiarire il problema è: una stella è viva?
Non possiamo usare una risposta a priori, che sarebbe assai utile a delimitare il campo, in quanto non possiamo avere una certezza sufficiente ad orientarci e quindi inficieremmo tutto il discorso: mentre possiamo escludere che un sasso sia vivo per una stella la questione è più complicata di come potrebbe apparire a prima vista: infatti soddisfa certamente le prime due condizioni, per la terza emette informazioni (e non sappiamo bene se ne assorba) e per la quarta in certi casi (supernova) con la morte manda in giro frammenti di sé che fecondano altri elementi (i metalli pesanti dei pianeti).
Questo però dà una prima idea del tipo di percorso necessario a definire la vita una volta abbandonato il requisito nascosto protoplasmatico se non antropomorfico.
Un elemento interessante è che mantiene una caratteristica di base: è un sistema aperto.
E quindi possiamo accorgerci se un alieno si sta avvicinando perché scambia energia con l’esterno (almeno quasi sempre: anche da noi un batterio in difficoltà si incistida in spora per tempi anche lunghissimi…ne hanno scoperti recentemente alcuni sotto il ghiaccio da milioni di anni..).
Ma l’entrata in scena dei batteri ha un significato più vasto nel discorso: per Davies i tumori sono il risultato di uno scontro fra l’origine monocellulare degli organismi e quella multicellulare che ci vede partecipi. Quello che succede è che quando una cellula si trova in difficoltà/ambiente ostile/aggressione esterna tende a ritornare alla condizione primitiva unicellulare, che ha due caratteristiche base: è immortale (continua a riprodursi), e si difende dall’esterno (che in questo caso è il resto dell’organismo). Quindi il problema non è distruggere le cellule in guerra con l’organismo ma eliminare l’ambiente aggressivo e in qualche modo (…) convincerle a cooperare di nuovo.                                                                          (La somiglianza coi problemi delle guerre civili è evidente).

Tornando ai quanti potremmo chiederci (e qualche venditore di olio di serpente ha già le ricette pronte..) se esistono una biologia quantistica e una medicina quantistica. Per la prima la risposta è sì, ma: ci sono molti fenomeni quantistici, come la fotosintesi clorofilliana, ma nessuno di quelli ‘strani’ che comportano delocalizzazione, sdoppiamento, intrecciamento. Quindi per la seconda la risposta è no: quelli che ci possono essere a livello di chimica fine sono nascosti da effetti macroscopici e fluttuazioni termiche di dimensioni assai maggiori, quindi sarebbero in ogni caso invisibii e inutilizzabili.

2- Cosè la coscienza

Nel libro di Davies il discorso sulla coscienza parte dai lavori di Tononi (nel nostro recente articolo su ‘Uscire dal tempo’ c’eravamo più appoggiati sull’altro pilastro, Damasio).
Ma con un accento nuovo: la coscienza come informazione strutturata. È un concetto che viene dalla teoria dell’informazione, ancora dai lavori di Turing e Shannon e von Neumann, e passa nei calcolatori e nell’intelligenza artificiale. Sembra un ossimoro, dato che ciò che caratterizza un insieme strutturato rispetto ad uno casuale è proprio l’informazione, e soprattutto Davies non va molto più in là.

Per farlo conviene fare un passo indietro: per costruire un cavolo romano (che ha una struttura frattale, con forme semplici che si ripetono a varie scale) la natura usa pochissime informazioni, che quindi si chiamano informazioni ‘potenti’; a queste accompagna uno schema di controlli (tanto più sofisticato quanto più le informazioni sono semplici) che avvia, dirige e ferma il processo. La combinazione dei due è un’informazione strutturata.
Lo stesso avviene col DNA: tutta l’informazione per costruire una donna (l’uomo è solo un accessorio) è contenuta lì. La gestione prima e il controllo poi di questa informazione è affidata agli ormoni: è l’insieme dei due che la rende informazione strutturata.
In altri termini significa aggiungere una dimensione (o più) all’informazione in sé. E così la coscienza è legata alla connessione tra i diversi sistemi informativi del corpo. C’è anche un indice, φ, che specifica il grado di interconnettività e di informazione strutturata collegata a questo. Continuando a dare i numeri, il cervello umano ha 100 miliardi di neuroni, e le sue interconnessioni sono 1000 triliardi (con una velocità superiore a qualsiasi supercomputer: 10000000000000000-10 elevato alla 15- operazioni/secondo).
Ma è necessario fare una distinzione spesso trascurata sui tipi di coscienza, che possiamo dividere in tre: l’autocoscienza, l’attenzione cosciente all’esterno, il ragionamento (che anche se a volte avviene anche nel sonno o sotto la soglia di attenzione è un processo autonomo rispetto alla gestione delle informazioni: teniamo conto che la coscienza è assai più della mera consapevolezza: il nostro cervello è una macchina per simulazioni potentissima, che crea e modifica continuamente scenari e mondi virtuali (tutto per prevedere l’evoluzione dell’ambiente esterno, essenziale quando eravamo cacciatori e prede); e anche il ragionamento è assai più di una catena di proposizioni: anch’esso lavora su più piani e coinvolge molti sottosistemi, costruendo varianti di realtà virtuale ).
Il rapporto tra coscienza ed emozioni su cui insiste Damasio è un esempio chiave del numero di dimensioni (di parametri) che la caratterizzano.

L’attivazione delle connessioni prodotta dagli allucinogeni, evidenziata in questa magneto/termografia, che coinvolge un numero impressionante di sottosistemi del cervello, dà un’idea per quanto semplificata e apparentemente uniforme del numero di dimensioni in più coinvolte.
(Ancora qualche numero: fra due sottosistemi c’è una sola connessione, fra 3 ce ne sono 3. Fra 4 ce ne sono 6….; regolare la coscienza in presenza di più connessioni è come un giocoliere che fa roteare delle palle colorate aggiungendone man mano una: per riuscirci -e non è detto che ci riesca sempre- deve salire di livello/dimensione).

L’elemento da non dimenticare è che anche per la coscienza vale il principio che la regolazione è essenziale.
Un esempio dalla produzione di massa può aiutare: per costruire un oggetto, ad esempio un’automobile, possiamo seguire due metodi: combinare tanti elementi semplici, il che permette di semplificare l’acquisizione dei pezzi base, o produrre direttamente parti finite. Questo secondo ha il vantaggio che siamo sicuri della funzionalità (per esempio resistenza strutturale) mentre nel primo dobbiamo controllare attentamente l’assemblaggio perché un piccolo errore potrebbe compromettere tutto. In compenso il primo è più elastico e permette di produrre una versione modificata con un piccolo cambiamento del processo.
Anche il nostro cervello ogni tanto si riposa e utilizza sistemi concettuali già organizzati come stampi base. Coi vantaggi e gli svantaggi dell’esempio.
E anche per lui vale che quando ha utilizzato un sistema concettuale come stampo base ha difficoltà a liberarsene, perché fa anche da attrattore per concetti vicini.                           Questo è uno dei meccanismi della tribalizzazione del nostro comportamento e delle coalescenze ‘ideologiche’ sui social.

3- Un calcolatore quantistico ad acqua*

Agli albori dell’era dei calcolatori c’era la distinzione tra calcolatori analogici e calcolatori numerici (oggi digitali, in omaggio all’inglese digit=cifra, numero). I primi imitavano/simulavano il processo che si voleva studiare, ed era un percorso logicamente rischioso (ne uccide più l’analogia della spada) ma anche intellettualmente affascinante. E per entrambe i motivi è morto prematuramente (anche se in parte risuscitato, forse, nei prossimi calcolatori quantistici).
Quelli numerici si sono semplificati a funzionare con operazioni logiche, realizzati mediante circuitini (porte logiche) che realizzano le principali operazioni : passa corrente, non passa; passa in uno e nell’altro; passa nell’uno o nell’altro….
Ma tutte le porte logiche fatte con la corrente elettrica si possono fare anche coll’acqua e una combinazione di rubinetti/valvole.

calcolatore analogico idraulico russo del '36 (Lukyanov): il primo a risolvere equazioni differenziali alle derivate parziali. Un suo parente postbellico, il MONIAC dell'australiano Phillips, simulava l'economia inglese.

L’unico difetto è che l’acqua è più lenta della corrente. Ma ha anche dei vantaggi: ne possiamo regolare il volume (anche se questo varrebbe anche per l’elettricità ma non viene usato per paura del riscaldamento conseguente), possiamo regolarne il tipo (calda e fredda, o di colori diversi, moltiplicando così il numero dei bit/unità di informazione e il tipo di porte logiche). Se poi utilizziamo l’inclinazione dei condotti e la pressione per modificare le velocità relative, aggiungiamo qualche turbolenza..abbiamo un calcolatore analogico e digitale insieme che compie simulazioni che i supercalcolatori hanno difficoltà a gestire.
Un caso limite è quando le gocce d’acqua sono di volume comparabile al diametro del rubinetto (è un caso studiato in un famoso frattale di Henon): allora il numero di parametri del sistema acqua-rubinetto sale di colpo (prima era regolato solo dalla quantità di acqua, ora anche dal tipo di pareti, dalla forma della goccia…) e il comportamento (rappresentato dalla frequenza delle gocce) diventa imprevedibile (caotico).
È l’equivalente del calcolatore quantistico.
Ed è molto più economico anche se più lento. Però può fare quello che i calcolatori quantistici sanno fare meglio: decrittare le chiavi di sicurezza dei sistemi informatici di banche e Pentagono….(in quanto tempo non ho ancora calcolato).
Chi scrive non si assume responsabilità delle eventuali conseguenze..allagamenti di prova compresi.

Va anche osservato che in caso di mancanza d’acqua, per esempio in un paese desertico, si può anche utilizzare la sabbia, purchè di granulometria controllata.

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Paul Davies, the Demon in the Machine, Penguin 2020
Erwin Schrœdinger, What is Life, Cambridge U. Press, 1944
Giulio Tononi et al, Integrated information theory: from consciousness to its physical substrate, Perspectives, 17, 450, 2016

Jim al Khalili, a cura, Alieni, c’è qualcuno là fuori? Bollati Boringhieri, 2017                                   Douglas Adams, Guida galattica per gli autostoppisti (The Hitchhiker’s Guide to the Galaxy), 1978/2005

Paolo Di Marco, An Hydraulic Quantum Computer, Academia.edu/2021

*questa parte è coperta da diritto d’autore, privo di oneri: chiunque può utilizzarla purchè ne citi l’autore; ogni uso improprio comporta una penale da stabilirsi a insindacabile arbitrio dell’autore stesso, cui spetta anche la definizione di uso improprio.

il diavolo nei dettagli, 4 / vita e morte di una foresta

 

di Paolo Di Marco

a) l’agricoltura biodinamica e i suoi critici

È recente la comprensione della complessità della Terra e di tutte le interrelazioni fra i suoi elementi, dall’ipotesi globale di Gaia fino alle comunicazioni tra le radici di tutti i componenti di un bosco (Suzanne Simad, Nature 388, 1997/ Finding Mother Earth, Knopf, ’21)), dai molteplici cicli di retroazione (feedback) tra piante, animali e territorio fino al clima nel suo complesso.

In Italia la pratica, e talvolta anche la teoria, di queste interrelazioni si è svolta prevalentemente nel movimento biodinamico: circa 9000 coltivatori di cui 1/3 ufficializzato sotto una sigla tipo Demeter. L’orto senza aratura nè vanga, la pacciamatura, il compost, l’uso delle interazioni benefiche plurispecie al posto di fertilizzanti e diserbanti chimici sono alcune delle bandiere del movimento. C’è anche un’ala teorica, con tanto di cattedratici e rivista annessa.

Il guaio è che all’origine del movimento, e delle sigle ufficiali, c’era Steiner, personaggio con molte idee interessanti (anche nel campo educativo) ma anche molte venature mistiche, tanto da renderlo gradito anche nei circoli nazisti. E alcune delle sue pratiche avevano apparenza stregonesca, come l’interramento agli angoli dei campi di corni riempiti di letame. Questo ha provocato alcune reazioni scomposte in occasione dell’inclusione della biodinamica in parallelo alla biologica nel finanziamento governativo; in primis della senatrice Cattaneo, che per quanto benemerita in molti campi (come la battaglia contro il finanziamento all’IIT di Cingolani), sull’agricoltura è un filino reazionaria, sposando a spada tratta le battaglie della ‘rivoluzione verde’ (OGM+ fertilizzanti+diserbanti= soluzione alla fame del mondo) che andavano di gran moda a inizio secolo, con inni sulle pagine di Nature, che in tempi recenti sono stati però ritrattati dagli stessi autori che si sono finalmente accorti che il ciclo invece era: diserbanti tossici per suolo e animali, OGM per rendere le piante più resistenti ai diserbanti, ancora più diserbanti, fertilizzanti a gogò…e dopo 10 anni il deserto. Alla Benemerita si è poi aggiunto, dall’alto del suo blog sul Fatto, un fisico in genere piacevole e interessante (sua la fondamentale ricetta per come trattare con gli eventuali alieni di OummaUmma) ma che in questo caso si è costituito, insieme a una piccola squadra di accoliti, come Sacro Tribunale dell’Inquisizione Per la Scienza Integra. Forte delle sue credenziali contadine sulle Alpi dove si parla lo Schwiizertütsch il prof Aparo von Flühe si è lanciato, insieme a un fido astrofisico un poco incerto sulla relatività, in una battaglia a lancia in resta contro la magia e per la Scienza; commettendo però l’errore fondamentale per uno scienziato: pubblicare senza dati. Nessuno della squadra aveva mai visitato una fattoria biodinamica né letto gli articoli scientifici; dove avrebbero anche trovato una rivalutazione del cornoletame come generatore di reazioni chimiche potenzianti il contenuto microbico positivo. E per inciso anche visto che il 90% delle aziende agricole era assai lontana dall’esoterismo delle origini, avendo da tempo imparato a sostituire Democrito ad Apollo. (Cosa che avrebbero anche potuto scoprire prima e dopo sulle pagine del Manifesto).

b) vita e morte di una foresta

Fra le interrelazioni scoperte di recente la vita di una foresta è fra le più interessanti e nuove. Al cuore stanno tutti e quattro gli elementi classici: terra, acqua, aria, fuoco. Gli alberi assorbono acqua dal suolo, la fanno scorrere nel tronco e nelle foglie, poi l’evaporano; l’aria soprastante si satura e dopo un poco la restituisce al terreno sotto forma di pioggia.  Quando arriva un incendio solo il 5% degli alberi bruciano, e il rinnovamento che segue è parte del ciclo vitale della foresta. In condizioni di ‘normale’ equilibrio la foresta è un organismo assai resiliente. L’esperimento centrale (Balch et al, The Susceptibility of Sotheastern Amazon Forest to Fire, BioScience, 31/8/2015) si è svolto nel 2015: sottoponendo un  appezzamento ad una serie ravvicinata nel tempo di incendi contemporanei e concentrici si è visto che dopo la prima serie di incendi la seconda e le successive colpivano il 60% degli alberi, perchè la prima aveva distrutto il sottobosco che serviva da base della protezione, gli alberi ricresciuti erano più sottili e fragili, le erbe ricresciute invece di essere resistenti si incendiavano assai più facilmente. E, superato un certo livello, la foresta cessava di emettere vapor acqueo e generare pioggia. La conseguenza: il rapido collasso e morte di tutta la foresta (‘Dieback’, termine di Lovejoy).

Nel 2019 e 2020 questo esperimento ha visto un’applicazione su vasta scala: nel Mato Grosso e in larga parte della foresta amazzonica, per creare pascoli per le magre mucche brasiliane, si sono applicate integralmente le stesse tecniche. (NYTimes, The Amazon Time Bomb, 6/8/21). Il risultato visibile dei grandi incendi oscura il processo in corso: la foresta amazzonica, grande come un continente e polmone verde dell’America e del mondo, ha smesso di assorbire l’anidride carbonica del resto del mondo e di produrre il suo ossigeno; il suo bilancio è diventato di emettitrice netta. Ma anche il tasso di piovosità è già diminuito nettamente: è questione di pochi anni prima che collassi, e al posto del continente verde vi sia un’arida savana.

c) breve nota

Non vorrei che con tutte le buone novelle che reco si generi un’epidemia ispirata al borgesiano cuculo americano, che vola all’indietro perchè gli interessa dove viene ma non dove va…

d) IPCC, relazione definitiva

È uscito oggi il rapporto definitivo 2022 dell’IPCC: + di 1000 studiosi, + di 16000 studi scientifici, le linee di base rimangono quelle classiche sul riscaldamento globale e la sua causa antropica. Il grande merito di questa edizione è una attenzione alla complessità molto più matura e dettagliata: si mettono in luce le molte interrelazioni tra i singoli sistemi (terra, acqua, aria, vegetazione, mari, produzioni…) e gli effetti di retroazione e retroazione avanzata (feedforward) che li collegano. E questo permette di mettere in evidenza i molti punti di non ritorno (tipping points) che ci attendono nel futuro prossimo, dallo scioglimento possibile delle grandi calotte di Groenlandia e Antardide (+7 m di livello del mare) all’acidificazione degli oceani, all’indebolimento delle correnti oceaniche, …..per passare a desertificazioni, guerre dell’acqua, carestie, migrazioni….

Come al solito il diavolo è nei dettagli: la frase drammatica presente nella bozza è stata eliminata, e sono state aggiunte note di forzato ottimismo: se facciamo tutti tutti i bravi è possibile ridurre l’aumento a 1,5°; anche se seguita da un ‘ma se continuiamo come adesso ci ritroviamo a +4,5°, che non è sopportabile per la nostra civiltà ‘.

Una novità interessante è anche il maggior dettaglio geografico sui diversi effetti, rappresentato anche tramite una carta interattiva. Val la pena di giocarci.

memorie (uscire dal tempo 3)

           la frase finale de 'il mistero del falco':
           'questa è la sostanza di cui son fatti i sogni'

di Paolo Di Marco

1-le nostre memorie

La nostra coscienza, la nostra vita, il mondo che vediamo si fondano sulle nostre memorie. Se la coscienza è l’ordito le memorie sono la trama.
Non a caso molte sono le parti del cervello implicate nella memoria, dalla corteccia prefrontale all’ippocampo (v. figura), che trasforma le immagini in ricordi. Continua la lettura di memorie (uscire dal tempo 3)

Riflessioni rapsodiche su “Il giardino dell’Eden”

di Franco Romanò

È consueto per il pensiero rivoluzionario immaginare l’utopia rivolgendosi al passato, specialmente quando il presente appare talmente desertificato d’avere almeno apparentemente cancellato tutte le tracce di utopie precedenti possibili. È quello che Walter Benjamin, nelle sue Tesi sulla storia, proponeva di fare in uno dei momenti più tragici per l’Europa alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale. Il filosofo tedesco aggiungeva però che occorre andare molto indietro nel tempo per ricercare i semi di una nuova utopia: Spartaco, oppure – citando Flaubert – resuscitare Cartagine. Il motivo, che si intuisce fra le righe di quello scritto così estremo, è che se si rimane troppo prossimi al momento storico che ci tocca di vivere, si rischia di rimanere impigliati, a volte senza rendersene ben conto, nelle code di pratiche politiche ormai esauste.

Continua la lettura di Riflessioni rapsodiche su “Il giardino dell’Eden”

Il giardino dell’Eden

uscire dal tempo, 2

di Paolo Di Marco

1                  il plusvalore

Possiamo leggere la storia degli ultimi secoli come una progressiva espropriazione del proprio tempo, trasformato in tempo di lavoro collettivo controllato dal capitale.
Marx è l’ultimo economista che si occupa dell’origine del profitto (tema centrale dell’economia classica sino a Ricardo), e la sua analisi parte dalla giornata di lavoro, il cui tempo viene diviso in due parti:
una in cui il lavoratore lavora per sé, l’altra per il padrone. Questa seconda dà origine al profitto. Continua la lettura di Il giardino dell’Eden

Uscire dal tempo

di Paolo Di Marco

Il tempo certamente non è lineare. Nella nostra esperienza scorre più o meno lentamente secondo il nostro umore, gira su stesso nella nostra memoria, nella storia si concentra o si allunga – per Arrighi è un lungo secolo ventesimo e per Hobsbawm polemicamente un secolo breve. Ma soprattutto appare, dentro e fuori, intrecciato alle nostre vite in modo inestricabile, in un abbraccio che alla fine si rivela mortale.
Ma, se guardiamo attentamente, se capiamo meglio il nostro oggetto e, perché no, anche il soggetto, possiamo trovare il modo di sfuggirgli. Continua la lettura di Uscire dal tempo

Bacco, Tabacco e Cenere

Una vita al servizio del demonio

di Paolo Di Marco

primavera 2021

Tabaccaio londinese di Bond street e fabbricante di sigarette dal 1854, Philip Morris si espande a New York e nel resto del mondo, fino a vendere, ancora nel 2015, 850 miliardi di sigarette. Nel 2016 il fatturato globale sono 74.953 miliardi. Nel consiglio di amministrazione di Philip Morris e Altria (la cassa finanziaria) siedono in tanti, come gli italiani Ferragamo e Marchionne; altri ricevono laute consulenze (come Casaleggio). Continua la lettura di Bacco, Tabacco e Cenere