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di Marisa Salabelle
Quando hanno cominciato a girare le
prime notizie sull’epidemia che poi sarebbe stata battezzata
COVID19, l’attenzione di tutto il mondo era rivolta alla Cina.
Bisognava in tutti i modi evitare che da lì il contagio si
diffondesse, e allo stesso tempo bisognava dimostrare che non si era
mossi da pregiudizio o razzismo, ma solo da una prudenza volta a
salvaguardare la salute di tutti. In Italia, per esempio, si sono
soppressi tutti i voli provenienti dalla Cina, un provvedimento
scarsamente risolutivo, se non controproducente, ma non è di questo
che volevo parlare. Qui da noi, in Toscana, tra Prato e Firenze
abbiamo una delle comunità cinesi più numerose d’Europa. E per un
motivo o per un altro tutti ne eravamo preoccupati: vuoi che non ci
fosse, in quell’immenso formicaio, qualcuno che era stato da poco
in Cina, o che in un modo o nell’altro ne stava per tornare? Il
contagio, noi, l’aspettavamo, e l’aspettavamo di là. Il
presidente della Regione, Enrico Rossi, aveva stabilito delle misure
che ai più sembrarono scarsamente efficaci.