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Allegria

ammoniti

 

di Franci La Media



Né io né nessuno sa niente dello sfondo in cui colloco queste poesie. Congiungere il pieno della vita col vuoto della morte (qualcuno dice invece: scambiare l’apparenza del pieno con la sostanza del vuoto) non è niente di individuabile, sono incursioni in ciò che non esiste. E’ un discorso sterminato, e un giardino chiuso. Dal bordo slabbrato dell’esistenza sporgersi in niente che la sostiene.
Ennio Abate mi ha gentilmente fatto sapere che per alcuni queste poesie sono risultate di difficile lettura, forse persino intenzionale. Forse è soprattutto un discorso superfluo. Per renderlo più accettabile ho posto dei titoli ai testi, e scrivo questa breve introduzione a un discorso forse impossibile.
Siamo un riflesso nel vivo contrasto di una corrente tra senso e fine, portati come specchietti di luce cangiante, e ne conosciamo l’incanto. Parlare, stringi stringi, è lodare, e corpo e vita sono parole che la lingua ha raccolto e collocato in un discorso più ampio, che dice anche “dio” e “speranza”. Uso parole che tutti conoscono, senza interrompere i legami che le collegano da millenni.
E’ un discorso del precipizio, sul confine di quello che sempre svanisce, ed è un discorso che cerca un modo per fermare ciò che sfugge e si trasforma. Per fissare il movimento nel suo più piccolo articolarsi, un quasi nulla, la sostanza del passaggio, e il suo definitivo ri-comparire. Dentro questo naturale confine la lingua ricama veri fantasmi.[FLM] Continua la lettura di Allegria

Due conversazioni  con Giampiero Neri

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 di Ennio Abate

25 agosto 2004

Un’indole contemplativa

A – Da quando ti ho conosciuto – saranno un quattro anni – ti ho sempre pensato come un uomo di indole contemplativa.

N – Sì, sono sempre stato un contemplativo, un uomo poco portato all’azione e molto di più alla meditazione. Riassuntivamente potrei dire un pigro.

A – E come s’è costruita questa tua indole? Continua la lettura di Due conversazioni  con Giampiero Neri

Misantropia

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di Franco Nova

Che fastidio tutte quelle luci, pazienza per il consumo di energia, ma la visita dall’oculista avrebbe voluto risparmiarsela. E che rumore, il tutto per sparare scemenze fatte passare per battute di spirito. Sorrideva comunque, anzi abbandonava la bocca al riso, dondolandosi sulle gambe, quando avvertiva che qualcuno aveva detto qualcosa di particolarmente umoristico; dubitava fortemente che lo fosse, ma tutti intorno venivano colti da convulsioni epilettiche, e la buona educazione esige di essere sempre d’accordo con i più. Si accorse subito di una donnina, piccola e forse bruttina, che sembrava nella sua stessa finzione di intenso divertimento per compiacere quegli ottusi. Il viso era particolarmente sveglio, doveva essere intelligente; bruttina e intelligente, genere troppo pericoloso, meglio evitarla. Continua la lettura di Misantropia

Da “L’occasione della poesia”

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di Giuseppe Panella

 

*Per tutta la vita cerchiamo di dimenticare:
i sogni, i desideri, il dolore, il fallimento,
gli amori marciti nell’attesa della morte,
le aspirazioni mancate e mai risolte
nel momento in cui trovano una svolta Continua la lettura di Da “L’occasione della poesia”

Per i molti in poesia

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di Ennio Abate

Nei giorni scorsi ho seguito su vari siti il dibattito nato dall’articolo di Alfonso Berardinelli (qui) sulle voci circa la chiusura della collana di poesia della Mondadori. Questa la mia risposta [E.A.]

Continua la lettura di Per i molti in poesia

Nove senza Novecento

 MORO PER ALDO NOVE

Note su «Addio mio Novecento»[1] di Ennio Abate

Per i possibili collegamenti tra la mia critica del libro di poesia di Aldo Nove e gli spunti di discussioni offerti da “L’uomo in ansia” (qui) anticipo la pubblicazione di queste note che usciranno sul prossimo numero di giugno della rivista IL SEGNALE [E.A.]

1. Importante è esaminare con attenzione l’indice dei titoli. Il sintagma ‘Addio mio Novecento’,  oltre ad essere titolo della raccolta e della sua prima sezione, torna otto volte nel libretto. Ma anche alcuni titoli delle poesie sono ripetuti: ‘Il tempo’ sei volte; ‘Mito’ tre volte; ‘Lo spazio’ quattro (cinque se conteggiamo anche ‘ Lo spazio spiegato’); ‘Poesia’ tre volte. Sul piano formale la ripetizione pare la figura dominante della raccolta, che presenta in genere versi di varia lunghezza, suddivisi in strofe anch’esse variate con una certa libertà. (C’è un sonetto isolato: «Ferita eterna aperta» a pag. 66. Continua la lettura di Nove senza Novecento

Queimada

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di Rita Simonitto

La chiave di lettura di questo racconto sta nel suo titolo “Queimada” (= la bruciata più volte). Accompagnandosi all’esergo, esso introduce ad un discorso che intende essere più socio-politico che sentimentale e nel quale vanno in primo piano gli effetti nefasti della hýbris. La scrittura passa da un andamento lento e analitico ad uno sincopato e violento; precipitando nel finale, viene sottolineato il passaggio ad un quotidiano in cui prevale l’azione e non il pensiero. Il testo fa parte di una raccolta in via di edizione, “Vortici”, in cui l’autrice descrive, in vari racconti/capitoli autonomi, lo svolgersi di processi ‘destinali’, da intendersi però non nei termini dell’ Ananke, cioè della fatalità. Simonitto vuole suggerire che l’essere umano è il più delle volte trascinato da un evento che fa da catalizzatore tra un passato non elaborato ed un presente non comprensibile e in un certo senso ostile. [E.A.] Continua la lettura di Queimada

Dieci appunti su “Domani” di Velio Abati

Abati domani libroL’articolo esce in contemporanea anche sul sito di Velio Abati qui

di Ennio Abate

1. Non sembri strano che al momento di scrivere su Domani metta in primo piano le difficoltà incontrate nel leggere il romanzo di Velio Abati. Difficoltà innanzitutto nel mettere a fuoco i numerosi personaggi e le relazioni che corrono tra loro in vari tempi. Nell’individuarli quando si ripresentano pagine dopo. O nel capire chi sta parlando e a chi e di cosa. O nel connettere le sequenze in cui appaiono, che sono spesso righe-fotogrammi presto interrotte e sostituite da altre simili, che durano anch’esse poco o appena di più. Come in una sorta di flusso sincopato. Come se l’autore imponesse un continuo zapping.[1] Quanto, tuttavia, pur ho colto mi permette di non dubitare dell’importanza di questo romanzo, ma il disagio resta: è come se non riuscissi ad afferrarne la sostanza, a condividerne l’ottica, a provare ancora quel sentimento corale e popolare che interamente lo impregna. Qualcosa in me, che pur vengo da esperienze generazionali – politiche e culturali – vicinissime a quelle di Abati, resiste; e rende provvisorie, discutibili e forse fraternamente ostili le stesse cose che sto per dire. Continua la lettura di Dieci appunti su “Domani” di Velio Abati