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La recita o la vita

di Lorenzo Merlo

“Gli era chiaro come uscire dalla storia” afferma la voce parlante di questo racconto. Oh, fosse possibile dirlo non solo a singoli più o meno eccezionali che, “osservando se stessi”, sperimentano “ciò che alcuni chiamano risveglio”! Ho letto con divertito scetticismo (anche per i riferimenti ad autori – Watzlawick, Jung, Castaneda – che mi sono rimasti abbastanza estranei) questo racconto di Lorenzo Merlo, ma lo propongo all’attenzione di altri lettori più sensibili a quelle che a me paiono soltanto vie di fuga spirituali impraticabili dai milioni di viventi costretti in condizioni di precarietà o schiacciati dalle emergenze (questa del coronavirus è solo una delle tante) o dalla povertà. A loro – lo dico amaramente – toccano purtroppo ben altri risvegli. [E. A.]

Può capitare, osservando se stessi, di avvertire ciò che alcuni chiamano risveglio. La magia che si compie comporta di vedere il reale diverso da come era prima, pur essendo lui, sempre identico. È una magia a più livelli, prospettive o combinazioni. Essa include infatti anche la chiara comprensione che la realtà esce – e non, entra – dai nostri occhi. Include che non ci si senta più monadi separate dall´universo; che l´infinito che siamo è sempre mortificato da quello che crediamo; che l´energia compone il cosmo, tra cui noi stessi. 

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Poesie (riflessioni) che ho scritto in questi tristissimi giorni

Minor White, Road with Poplar Trees, in the vicinity of Naples and Danseville, New York, 1955

di Annamaria Locatelli

 CASO MAI…
 
 
 Le certezze lunghe più vite,
 ben protette dalla scorza
 di un tempo “organizzato”,
 ora sono fiori recisi
 nel deserto della paura…
 Eppure la Storia dice…
 Eppure per altre prove
 approntammo valide difese
 ma il crollo è stato
 repentino e crudele
 per il corpo a corpo
 con un nemico
 dalle armi invisibili,
 vigliacco!
 Noi lasciati soli e indifesi
 insieme con i nostri ridicoli arsenali…
 Così il tempo delle certezze
 si scolora in lutti e ombre.  
 Da giorni, da settimane ormai,
 si invoca la chiara sorgente
 di vera intelligenza umana
 perché si faccia fiume,
 fertile di limo,
 ad inondare i nostri corpi aridi
 restituendo loro il soffio della vita,
 il respiro….
 Virus, non  sei tu un dio!
 
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La quarantena del geo-capitalismo

di Dario Padoan (dalla bacheca FB di Franco Senia)

Trovo interessante questo (un po’ lungo) articolo, perché tiene ancora aperta l’ipotesi di non ridurci a sudditi passivi di fronte ad uno Stato in crisi (e non solo per l’epidemia di coronavirus). Padoan pone il problema della ricerca di una risposta (“autonoma”, “civile”, “sociale”) «in grado di sfuggire al contagio e contemporaneamente ai diktat normalizzanti del potere della merce». E tuttavia non riesce ad andare al di là di alcune petizioni di principio (come Zizek, da lui citato). Sì, «l’azione collettiva, anche nel caso di epidemie come la presente, è [direi:potrebbe essere] l’antidoto all’individualismo della paura, che delega esclusivamente ad apparati e dispositivi tecnici e burocratici la propria sicurezza», ma in cosa (slogan, azione)oggi potrebbe prendere corpo? Al momento – diciamocelo – l’unica «interazione tra misure sovrane e comportamenti collettivi a protezione della propria incolumità personale»è quella che ci ha indotto e convinti a restare chiusi in casa, cioè ad applicare alla lettera- mugugnando o solerti – il Diktat del governo. Non abbiamo purtroppo altra autorità (politica o scientifica) che delinei una risposta diversa, che sia cioè capace di difenderci sia dal rischio mortale coronavirus che dall’intrusione capillare dello Stato (altrettanto mortale da un punto di vista coerentemente democratico). Rilievi secondari farei alla definizione (secondo me forzata) di «maccartismo del corpo»riferita alle «ansie diffuse relative alla protezione dei confini del corpo da invasioni e dissipazioni»; e all’affermazione che «questa epidemia è più democratica di ogni altra catastrofe». Dubito, infine,sulla validità di una pedagogia, come quella dei “Friday for future”, fondata sulla paura.[E. A.]

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L’intellettuale da asporto

di Canio Mancuso

 Il riciclo secondo lo spazzino
 
 I testi sono chiari:
 non ti lasciano
 soltanto le persone;
 anche gli oggetti
 alla fine del gioco
 allineati lì sulla banchina
 per dirti un addio allegro. 
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Ierogamia fallita

da “Morfeologie”, Iod edizioni 2019

di Stefano Taccone
Pubblico uno dei 12 brevi racconti che compongono “Morfeologie” di Stefano Taccone. Il titolo del libro richiama la figura di Morfeo, la divinità del sonno e dei sogni, il cui nome in greco indica anche il concetto di forma. Il racconto scelto sembra fondato su un onirismo che manipola con ironia i miti inserendovi (metamorfosando, bisognerebbe forse dire) inquietudini e problemi d’oggi . [E. A.]

Solo, in una terra sconfinata e stranamente rigogliosa, che ci faccio? Appena un po’ più in alto, su di un leggero declivio, in tempo e luogo adatto per assistere, senza essere visto, a un evento meraviglioso. Le viscere della terra si stanno aprendo per partorire una giovane donna: alta, snella, formosa, in terreno massiccio, ma leggermente umido, e con una cascata di densa edera per capigliatura; terreno fertilissimo insomma, ché se si coltivasse su di lei spunterebbe immediatamente qualsiasi cosa, o forse crescerebbero tranquillamente erbe spontanee, se solo lei non si diserbasse come una donna in carne e ossa si depila.

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Da “La Notte delle Croci e delle Morti”

di Mauro Mazzucchelli e Danilo Oggionni

Mondiali di calcio 2006, concerto metal, festa, personaggi freak e borderline, attrazioni «animalesche e depravate», linguaggio «crudo e diretto» ( cazzo e figa a tutto spiano in numerose pagine), colpi di scena, un percorso che parrebbe di «discesa interiore» nell’animo del protagonista di nome Brando, «dialoghi alla Tarantino», «valzer di droghe, donne e sangue». Così i due giovani autori presentano questo loro romanzo…. Che sia lontanissimo dalla mia sensibilità non m’impedisce di segnalarlo su Poliscritture pubblicandone un capitolo. [E. A.]

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i fuochi di carnevale

Immagine di Nilo Australi

di Angelo Australi

 

Stavano percorrendo una piccola pianura delimitata da balze sostenute da una ricca vegetazione in arbusti di ginestra, erica, di lentisco e olivastro, mentre alcune piante di corbezzolo e alloro sporgevano dalle coste come bracci protesi nel vuoto. Se in alcuni punti il terreno  aumentava dando respiro ai campi coltivati, in altri la valle era così stretta che l’auto quasi lambiva le pareti fatte di creta e pietrisco. Alla base di questi canyon in miniatura ogni tanto si presentava una grotta che i contadini utilizzavano per deposito degli attrezzi con cui lavoravano la terra, e una zona recintata dove dei polli ruspavano in cerca di cibo; mentre sulle cime pianeggianti dell’altopiano si sviluppava una folta boscaglia di lecci, castagni e cipressi. Era un rettilineo di alcuni chilometri che rasentava un torrente nascosto tra gli alberi e la fitta macchia di rovi, se fosse sopraggiunto un veicolo che viaggiava in senso opposto, la strada era stretta al punto di non potersi scambiare per consentire il passaggio. Continua la lettura di i fuochi di carnevale

Vamos todos contar Moçambique!

 di Baba Andrea

Ci sono posti sperduti del mondo dove si tentano rivoluzioni quotidiane come scrivere un giornale con ragazzi poco o nulla scolarizzati e si tenta pure, in nome del “regno dei cieli”, di fronteggiare l’ingiustizia e la prepotenza organizzata dinanzi a una magistratura corrotta . Questa testimonianza dal Mozambico è arrivata come una pacata invocazione  fino a Poliscritture; e la rilanciamo nel deserto affollatissimo del Web, sperando che  possa lavorare come un tarlo almeno nella mente di chi non si è  rassegnato alla barbarie. [E. A.]

 

Un paese si ferma

Nelle prime due settimane di agosto, il paese intero si è fermato. Chiuse le scuole, a casa professori ed alunni, servizi pubblici ridotti al minimo di quello che era già stato ridotto all’essenziale prima dalla guerra e poi dalla crisi economica.  Per quella data era stato, infatti, solennemente indetto il IV° Censimento Nazionale.

Vamos todos contar Moçambique!”, era l’adagio che martellava insistente nelle inserzioni pubblicitarie tra un asservito telegiornale di stato mozambicano e una penosa ma molto seguita telenovela brasiliana. Due appelli trionfali richiamavano il popolo sovrano al dovere del civismo patriottico: “Il censimento aspetta la collaborazione di tutti per la raccolta dei dati necessari alle grandi decisioni del Mozambico” e  “La definizione delle politiche pubbliche per lo sviluppo del paese sta nelle tue risposte”. Sembrava proprio che quel momento epico di unità nazionale avrebbe ridestato le sorti infauste del 9° paese più povero al mondo, secondo l’indice di sviluppo umano. Continua la lettura di Vamos todos contar Moçambique!

La realtà di Artù

Riflessioni sui rapporti tra realtà e immaginario

di Rita Simonitto

Artù guarda fisso e immobile il pavimento. Un pavimento di parquet, di quelli a spina di pesce. Ci si perde sempre in quella geometria di linee che si incrociano, poi si dipartono e poi si incrociano di nuovo. Capisco che si possa essere presi da una sorta di ipnotismo!

La luce del sole vi arriva dopo aver superato, fuori dalla finestra,  una ciocca ribelle dell’alloro che, facendo l’indipendente, ha deciso di uscire dalla potatura che gli era stata imposta “a parallelepipedo”. Dai fasci luminosi che entrano nella stanza, si formano impasti di colori che danno più o meno risalto agli oggetti che toccano. Continua la lettura di La realtà di Artù