di Ennio Abate
In questi disegni che vanno dal 1978 al 1994 il rapporto materno/infantile (o, se si vuole e più semplicemente, madre-figlio o donna-bimbo) è espresso in figure femminili in pose da arcigna megera (1978) o da imbambolata (1979) o da maschera perfida (1988) o da caricatura comica (1990). Hanno masse corporee avvolgenti (1990) o addirittura stritolanti (1989, Donna che stringe un bimbo; 1990, Strettamente amato). Le figure infantili, invece, appaiono ridotte quasi a pupazzi tristi e inebetiti (1978, 1979), impacciati o immobilizzati (1989, 1990). Che a volte hanno tratti incattiviti e maligni (1989 e 1990). Solo nella figura del 1989 (Bimbo che sfugge all’abbraccio) un bimbo con gesto risoluto (le mani alzate come a dividere) si separa dall’ombra avvolgente e informe che ancora lo sovrasta. E soltanto nella figura del 1994 il rapporto si stempera in fiaba quasi da miniatura medioevale colorata. Il corpo materno o donnesco è sempre incombente e opprimente su quello del bimbo. Niente, dunque, di sereno né edulcorato in queste immagini. Piuttosto un sentimento di pena che in molte infanzie è ben più presente di quanto ci siamo abituati a immaginare e si trascina anche quando diventiamo adulti e colti. [E. A.]
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