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Una sera di primavera

Anche questo articolo di Velio Abati era comparso sul vecchio sito (2010 – 2013) non più accessibile di Poliscritture. Fu pubblicato sul n. 10 cartaceo del  dicembre 2013. [E. A.]

di Velio Abati

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Fiaba verde con intrigo internazionale

di Annamaria Locatelli

Il vecchio si ferma impietrito appena la vede comparire: una ragazza così bella, così fine, ma dallo sguardo decisamente sprezzante. La conosce soltanto da un mese ed è riuscita a sconvolgere la sua esistenza: deve far leva su tutto il suo sangue freddo per affrontarla. L’uomo in tasca tiene un’arma, ma è solo un giocattolo, una pistola ad acqua per spruzzare i ciclamini d’estate; nel caso la situazione precipitasse, solo allora sarebbe pronto a puntargliela contro. Che stress! Neanche da bambino amava giocare ai soldatini, preferendo unirsi ai giochi tranquilli e fantasiosi della bambine. E ancora molto giovane aveva scelto di occuparsi di fiori e di piante: una vera passione! Così aveva messo in piedi il suo vivaio, la sua serra, il suo giardino! Un paradiso verde dove dimenticare il mondo intero…Ma poi era arrivata lei, quella rompiscatole, in seguito ad una inserzione sul giornale in cui il vecchio, dopo molti ripensamenti, si era deciso ad offrire un lavoro, solo per i mesi estivi, ad un giovane volonteroso e preparato sul mondo delle piante. Si era presentata lei, aveva tutte le credenziali in regola: era iscritta al terzo anno di Botanica presso l’Università di Genova, aveva sostenuto parecchi esami, inoltre era carina e con un volto pulito. Particolare importante: aveva le mani curate, ma prive di smalto. L’aveva assunta. Ma ora, tornando al presente, bisognava dare prova di decisione, ora che aveva avuto modo di aprire bene gli occhi e che il sogno di aver trovato un’aiutante capace si era trasformato in un incubo!..

Il vecchio si arresta davanti alla donna, divaricando le gambe e così rimane per qualche istante senza fiatare e poi urla: “Dove sono spariti i miei gerani? E l’intero sottobosco di rosmarino? E le palme nane? E le azalee? ”.

E lei, di rimando: “Ma cosa sta farneticando? Non ho sottratto proprio niente! Se si riferisce alle fotografie che ho scattato ai suoi beniamini con la mia antiquata macchina fotografica, di mio nonno per la precisione, solo per conservare un ricordo di questa estate, ecco qua il corpo del reato!”. Ed estrae dalla tasca dei jeans un mazzo di fotografie, ficcandoglielo in mano con una certa rabbia, “Qua ci sono anche i negativi. E non mi dica che è un episodio di pirateria botanica: mi facci il piacere, direbbe Totò! Era il caso di convocarmi qui, in cima alla collina, al solleone di mezzogiorno per una fandonia simile? Cosa sarei io? Una ladra di immagini vegetali per conto della CIA? Suvvia, rinsavisca, qui tra un po’ arrostiamo come capponi di natale”.

“Mi passi in fretta quel materiale e non alzi troppo la voce con me, un po’ di rispetto per gli anziani!” “E lei rispetti i giovani: non siamo tutti approfittatori!”. Ma poi guarda l’orologio e, con un tono più conciliante, “A proposito, è l’ora di pranzo e lei, con le sue fantasie, mi ha fatto venire appetito. Che ne dice di andare a mangiare un boccone insieme? Accetterò volentieri il suo invito, anche se ho preso io l’iniziativa”.

“Furba la signorina! Così vuole anche scroccarmi un pranzo: accetto per poter mettere in chiaro alcune cosette con lei, ma da buon genovese paghiamo alla romana”. “Anche tirchio!!”.

La tempesta sembra essere finita in un bicchiere d’acqua e i due si apprestano a ridiscendere il tortuoso sentiero tracciato tra le terrazze, senza incontrare anima viva, muti come pesci di quel mare che da lontano sembra una distesa di verdi brillanti. Sul loro cammino affrontano dapprima una secca radura assolata, poi oliveti ed alberi da frutta, infine un tratto boschivo di lecci, castani, con sottobosco di ginestre, eriche e corbezzoli finché raggiungono le prime case del borgo ligure.

Si siedono immusoniti all’unico tavolino ancora libero della trattoria “Cuore Matto”, dove si può consumare un discreto menù a €10, insomma il più economico della piazza, e nel giardino esterno, sotto a un pergolato di glicine.  Il mare non perde di vista i due “sorvegliati speciali” col suo occhio verde smeraldo!

Arriva la sciura Nana, la proprietaria, e raccoglie gli ordinativi: farfalle al pesto e frittata di verdure per lei che si è convertita alla cucina vegetariana e pasta al pomodoro e platessa per lui. Sono d’accordo su un quartino di vino rosso a testa. La cucina è semplice ma curata.

Arrivati al caffè, lui dà seguito al suo malumore: “E allora si può sapere perché mi ha sottratto fiori e piante? L’ho assunta dopo lunga riflessione perché il lavoro era diventato troppo pesante per me: ho sempre sbrigato tutto da solo, ma ora gli anni si fanno sentire. Recentemente il personale della Cooperativa si interessa di floricoltura e di vendite, così mi dà la possibilità di realizzare il mio progetto di giardino mediterraneo. Cercavo da lei solo collaborazione, perché vuole carpire i miei segreti?” .  “Ma non dica sciocchezze! Riconosco che la sua serra è l’ultimo eden: tutto da lei sembra selvaggio e nello stesso tempo curato, uno straordinario equilibrio tra l’opera della natura e quella dell’uomo! Lei è un autodidatta, dotato di un grande talento naturale e il suo pollice non è verde, é divino!”. “Non si sprechi in complimenti, mi dica piuttosto perché l’ha fatto, se non mi dà una spiegazione, può ritenersi licenziata!”. “La prego non lo pensi nemmeno, con i suoi tiratissimi soldi, intendo pagarmi le tasse universitarie. Guardi che noi giovani abbiamo davanti un futuro molto precario e non possiamo permetterci di perdere un posto, seppur temporaneo, di lavoro! Può forse lamentarsi di come svolgo le mansioni che mi ha affidato?”. “ Non cambi discorso, mi dica delle fotografie!”. “Le ho già spiegato da cosa sono stata motivata: sono rimasta strabiliata davanti al suo giardino, peraltro a tutti sconosciuto, con tanto di cartelli che ne vietano l’accesso; così mi sono “armata” di una macchina fotografica per avere un riscontro oggettivo a quanto vedevo, tutto qui!”.  “Ah, ha dato occhi per un puro desiderio contemplativo! Ed io dovrei credere a tanto candore?”. E intanto alza il tono della voce e gli avventori li guardano incuriositi: una strana coppia quella, potrebbero essere nonno e nipote, ma pensano a tutt’altro; lei si accorge e sottovoce: “La smetta di sclerare, tra un po’ diventiamo lo zimbello pubblico!” e tenta di calmarlo appoggiando la mano sul suo braccio…“ Può fidarsi di me, amo quanto lei fiori e piante e volevo suggerirle di partecipare alla prossima edizione di Euroflora a Genova, otterrebbe degli straordinari riconoscimenti”. “Ma insomma la smetta di adularmi, mi dica la verità o la denuncio!!” .“Così farebbe ridere il mondo intero, andiamo si calmi, le ho consegnato le foto e i negativi ma, alla fine, di cosa ha paura?”. Intanto tra sé pensa che in effetti l’aveva visto spesso trafficare in un angolo della serra, dove anche a lei era stato vietato l’accesso. Non è che vi coltivava la pianta del papavero? Teme di essere scoperto e finge di essere preoccupato per innocue immagini di fiori e di piante? La ragazza si fa sospettosa…Nel frattempo quasi tutti gli avventori sono spariti e a loro non resta che pagare il conto, se non vogliono attirare troppo l’attenzione della locandiera. Fanno per estrarre i portafogli dalle tasche, ma il pover’uomo si ritrova tra le mani la scordata pistola ad acqua; la ragazza la vede: “E’ con quella che voleva minacciarmi? Magari! Una bella spruzzata d’acqua e, col caldo che faceva lassù, almeno mi sarei rinfrescata!”. Scoppia in una fragorosa risata. “Ma che film si era fatto?”. La ragazza non smette più di ridere e quando è il momento di pagare si rende conto che lui, sì lui il delinquente, non dispone di un soldo, visto che continua a frugare nella tasca, sperando forse in qualche passaggio segreto. A quel punto la giovane salda il conto per entrambi. Il vecchio diventa rosso come un peperone. Che figuraccia! “Ma forse – pensa – aveva esagerato a considerare tanto male quella ragazza. Ora l’aveva tolto d’imbarazzo davanti alla sciura Nana e poi bisognava riconoscere che lei, così giovane, con le piante ci sapeva fare! A furia di vivere solo come un orso, come ormai succedeva da anni, da quando la moglie era scomparsa, riconoscendo solo i vegetali come amici, diffidava di tutti…Si sente smascherato e completamente disarmato, così gli vacillano le gambe e ritorna a sedersi. La giovane chiede: “Tutto a posto? Vuole magari un amaro?”. “No, grazie, è solo la pressione che a volte mi gioca brutti scherzi: gli anni, sa! Ma è tutto passato, andiamo! Voglio mostrarle una cosa…”. E i due si incamminano sul sentiero assolato, mentre il mare in fondo al carruggio ha i riflessi verde-abbaglianti di un gioiello Inca. Nessuno dei due ha voglia di parlare: lui riflette sulla sua intera esistenza, lei sul suo incerto futuro, entrambi nutrono la speranza di avere trovato nell’altro un amico. Una volta arrivati alla serra, lui le chiede di attendere un attimo, poi la invita ad entrare proprio in quell’angolo appartato fino ad allora a lei inaccessibile…e là la sorpresa delle sorprese! Si ritrova immersa in un vivaio di magnifiche orchidee dalle forme strabilianti, con occhi e bocche sulle corolle sorridenti. I primi fiori dal volto umano e sprigionanti una misteriosa luce verde…Non si era mai visto!! Lei trattiene le lacrime e lui ride, altrettanto commosso, e racconta dei tanti anni dedicati a raggiungere quel risultato: le sue bambine-fiori erano tutta la sua ragione di vita, la sua famiglia! Ma ora vuole condividerle con lei. La giovane donna esulta di gioia, ma poi, in quanto botanica, vuole sapere ogni particolare della ricerca portata avanti da quello che ormai considera il suo maestro. Per ore ed ore i due si parlano, finché non si fa notte. Quei fiori dovevano essere portati fuori, nel mondo, dove poter recare conforto con il loro sorriso a molte persone sole, malate o semplicemente tristi! La ragazza spera inoltre che un giorno la serra-giardino, ampliandosi, avrebbe dato lavoro a molti altri giovani. Si accordano infine di portare le orchidee al più vicino mercato dei fiori, l’indomani…E’ notte ma il mare scuro da lontano è disseminato di pagliuzze verdi…sarà la luna…sarà un sogno…

Le rondini

 

di Franco Casati

   In quei giorni di primavera sembrava che la sua preoccupazione fosse quella di accertarsi se le rondini erano tornate. Chi lo giudicava un alienato non capiva che ciò rappresentava un punto di vista superiore dal quale guardare, o meglio non guardare, verso terra, verso la banalità della vita. Era come fingere che tutte le sue reali preoccupazioni non esistessero, concentrandosi verso un punto, il ritorno delle rondini, che rappresentasse la sintesi di tutte le sue aspirazioni e desideri: una sintesi universale, legata al ciclo naturale delle stagioni e della natura. Se vogliamo, era un vero tratto di nobiltà, elegante, vitale e distaccato. Continua la lettura di Le rondini

Sine titulo

di Roberto Bugliani

“Sono dialoghi costruiti in modo particolare, di cui che io sappia non conosco esempi in letteratura (a parte testi che vi s’avvicinano come quello di Carlo Coccioli, “Le case del lago”, o alcuni di Manuel Puig e Antonio Lobo Antunes). Sono dialoghi in cui i dialoganti non hanno indicatori semantici (quello che nei dialoghi “normali” indica l’identità e il tipo di “comportamento” dialogici, come “disse a voce bassa X” o “Y rispose con voce alterata”). Quando poi un dialogante interrompe il discorso dell’altro per fretta o per ribattere una cosa contraria, allora la stringa dialogica di chi interrompe ha inizio subito sotto il discorso del primo, con la prima parola in minuscolo e senza punteggiatura finale fino a che le interruzioni non finiscono, come una sorta di gradino o i versi d’una poesia. Graficamente questa disposizione spaziale è importante perché connota semanticamente una situazione. Qualora i dialoganti siano più di due, il dialogo si arricchisce di altre voci, diventa un dialogo plurale, dove nelle interruzioni che aggiungono altre voci valgono le stesse norme del dialogo a due. Le parole straniere, poi, le ho scritte come si pronunciano.” (da una mail di R.B. a E. A.)

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“C’era una volta un Re….”

di Rita Simonitto

Dopo ” Jamaica Rum” (qui) e “Straocio” (qui) questo è il terzo racconto del trittico che Rita Simonitto ha dedicato ai “disagi socio/familiari che si riflettono sui giovani”. [E. A.]

C’era una volta un Re, seduto sul sofà, che disse alla sua serva: raccontami una storia.

La serva incominciò: “C’era una volta un Re, seduto sul sofà, che disse alla sua serva: raccontami una storia…”

“La serva incominciò: “C’era una volta un Re, seduto sul sofà, che disse alla sua serva: raccontami una storia…”.

Chi non ha mai sentito questa filastrocca da bambino! Pur sapendo che si sarebbe ripetuta all’infinito, pur tuttavia si continuava a stare lì, nell’attesa che forse qualche cosa sarebbe cambiato…

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Il primo allenamento

di Francesco Luti

Dieci sfibranti minuti in sosta al capolinea. Era la prima volta che raggiungeva quella parte di città in bus e non si aspettava che il capolinea fosse proprio lí. Con le arcate del cimitero ad alitargli in faccia, l’attesa era un martirio. E a poco serviva distogliere lo sguardo dalla recinzione in ferro battuto, deviarlo ai germogli secchi che con le piccole pigne di cipresso intappetavano il selciato.

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“La forza di gravità” di Claudio Piersanti

                  Pubblicato nel giugno 2018        

di Angelo Australi                                 

Non si può certo dire che Claudio Piersanti sia uno di quegli scrittori che rimpastando temi di attualità produce un libro a stagione, tra La Forza di gravità ed il suo precedente, Venezia, il filo dell’acqua, sempre edito da Feltrinelli, sono trascorsi ben sei anni. Continua la lettura di “La forza di gravità” di Claudio Piersanti

Poesie e Paroleggiando mestamente

di Rita Simonitto

…Orfeo fu a incominciare…

… e noi s’andava come per mannelle
lasciate o sottratte dalla falce
all’ostrica terra che giù ingoia
nelle viscere profonde i semi
come ha sempre fatto d’ogni cosa
lasciandone polvere su polvere. Continua la lettura di Poesie e Paroleggiando mestamente

Caio va in montagna

caio va in montagna

di Franco Nova

Il povero Caio proveniva da un paese marino, dove da piccolo era rimasto seppellito sotto una montagnola di sale. Ne aveva ingerito tanto che, se il sale fosse montato alla zucca, sarebbe diventato un inventore o un grande pensatore o chissà che cosa. Invece quel minerale aveva preso la via dell’aorta e si era accumulato, pur ivi sciogliendosi, nel ventricolo sinistro del cuore. E questa insana sostanza si trovò così bene in quel luogo che vi si depositò, mai accettando di emigrare facendosi trasportare dalle pulsazioni del ventricolo. Anzi, la notizia che costaggiù (o costassù a seconda della posizione delle altre frattaglie) vi era un solido nucleo salino fece il giro del corpo e attirò in pratica tutte le altre sostanze similari. Il cervello rimase quindi dissalato del tutto e il povero Caio non riusciva mai a pensare; agiva perché i muscoli, compreso quello cerebrale, si muovevano senza difficoltà. Continua la lettura di Caio va in montagna

Con queste mani

medea-minerva

Drammaturgia in versi per voce sola e indignazione molta

di Mariella De Santis

Il testo che segue è stato ispirato da una coraggiosa intervista di Emilio Quadrelli ad Anna (nome di fantasia), apparsa su Alias (nr. 10 anno 5 del 3 febbraio 2007), inserto culturale del quotidiano il Manifesto, allegato al giornale ogni sabato. Dall’articolo riporto quali veri il  rapimento di Anna nel 1996, a 13 anni, per essere portata a lavorare in una fabbrica italiana, i ripetuti stupri e la deportazione in un bordello per militari, paramilitari e civili operanti in Albania dal 1998, la liberazione a mano armata nel 2004 da parte del fratello al comando di una milizia di trafficanti d’armi e la sua condizione di vita al momento dell’intervista.Molto altro di quello che ho scritto mi è stato raccontato da donne immigrate incontrate vivendo…Per questo motivo nel mio testo, la protagonista l’ho chiamata Milena e non Anna. Il resto è da considerarsi mia creazione artistica cosa questa, come sappiamo, non sufficiente ad attribuirle lo statuto di finzione. Questo mio testo è dedicato ai giornali e ai giornalisti indipendenti che molestano le nostra visione delle cose, alle colonne della mia famiglia Lina, Angela e Roberta e alle migliaia di sorelle ignote  che vorrei tutte abbracciare. [M. De S.] Continua la lettura di Con queste mani