“OPERAISMO, UN’ILLUSIONE ALLA PISACANE?”
DI RAFFAELE SIMONE
In «Lasciare un segno nella vita. Danilo Montaldi e il Novecento»
a cura di Goffredo Fofi e Mariuccia Salvati (5)
di Ennio Abate
Enrico Pugliese ripercorre puntigliosamente la storia contorta e agli inizi stentata degli studi sociologici in Italia nei cosiddetti “trenta gloriosi” che videro una certa «ascesa della classe operaia» (pag. 107); e in vari punti si ricollega al saggio di Mariuccia Salvati, che in questo stesso volume ha analizzato il resoconto di Montaldi sul 1° Congresso nazionale di Scienze sociali (Milano, 1958).
La ripresa degli studi sociologici si ha nel dopoguerra. E gli ostacoli maggiori vengono dalla condanna dell’autorevolissimo allora Benedetto Croce (pag. 123), che definì la sociologia «inferma scienza arbitraria [e] sconclusionata» declassandola ad “americanata”. Ma anche dai crocio-marxisti: in genere gli intellettuali del PCI. Anch’essi la squalificarono come «scienza padronale» e «strumento di controllo sociale», appellandosi da scolastici alle critiche alla sociologia positivista presenti nei «Quaderni dal carcere» di un Gramsci isolato e pertanto all’oscuro dei nuovi fermenti della ricerca sociologica a livello internazionale.
Questo clima plumbeo e conservatore della cultura italiana si prolungò fino almeno alla metà degli anni ’60. E Pugliese fa bene a riportare le accuse di estremismo e di «scarsa saldezza teorica» lanciate da intellettuali del PCI contro i «Quaderni Rossi» (pag. 125), le dure critiche che accolsero la pubblicazione dell’inchiesta di Gianni Alasia e Danilo Montaldi confluita nel libro «Milano, Corea» (1959) e i tentativi di censura nella stessa Einaudi contro il libro di Goffredo Fofi, «L’immigrazione meridionale a Torino» (1964).
Pochi sfuggirono al conservatorismo di quei decenni. Pugliese cita per il Sud il lavoro poetico e letterario di Rocco Scotellaro (pag. 115) che, in rapporto con la ricerca sociale condotta da Manlio Rossi Doria a Portici, nella sua opera incompiuta, «Contadini del Sud», stava tessendo (in sintonia con Montaldi) «dettagliate biografie di personaggi rappresentativi della società meridionale». E per il Nord, oltre alle inchieste sugli immigrati di Alasia e Montaldi e di Goffredo Fofi appena ricordate, l’inizio a Torino da parte di Raniero Panzieri e dei redattori di «Quaderni Rossi» di un discorso sull’«uso socialista dell’inchiesta» in diretto rapporto con le nuove realtà del lavoro operaio. Con le parole di Giovanni Mottura le sue caratteristiche vengono così sintetizzate: – ridimensionamento (non sottovalutazione) delle tecniche (interviste, colloqui); – distinzione (ma non contrapposizione) tra «il momento della stasi» nella condizione operaia e quello della lotta; – necessità di un’analisi ininterrotta per cogliere il continuo mutare delle forme e dei fenomeni specifici dello sviluppo capitalistico; – funzione politica attiva (militante) di chi svolge l’inchiesta e formula le domande (pag. 128).
Queste esperienze innovative Pugliese le vede proseguire fino agli inizi degli anni Settanta e confluire nella rivista «Inchiesta» a cui collaborano giovani ricercatori provenienti dall’ambito sia accademico che sindacale (pag. 126).
Non ci troviamo, però, di fronte ad un loro sviluppo irresistibile e senza contrasti. Nella stessa area dei pionieri degli studi sociologici in Italia l’incerta dialettica tra una sociologia “dall’interno” (inchiesta, con-ricerca), avviata da Panzieri e da Montaldi, e una sociologia accademica finisce in un netta contrapposizione.
I fautori di una sociologia come “scienza fredda” – i Guiducci , i Pizzorno – puntano allo «“sdoganamento” della sociologia nella cultura» e a conquistare per essa «la rispettabilità accademica». Mentre Montaldi – Panzieri morì presto nel 1964 – ribadisce che il ricercatore «è innanzitutto un militante» (pag. 131) e denuncia il «limite di natura politica» , la piega “riformistica”, che andava prendendo una «sociologia ormai istituzionalizzata» e intenta all’«invenzione di un proletariato sociometrico» (pag. 130).
Questo contrasto segnala, secondo me, una pesantissima e tuttora irrisolta crisi, che viene elusa. Quando in questo suo saggio Enrico Pugliese si rammarica per per la scarsa attenzione data alla nuova trasformazione in corso, che per lui rappresenterebbe una «novità di portata paragonabile a quella dei tempi dei lavori di Montaldi e dell’inchiesta operaia dei “Quaderni Rossi» (pagg. 109-110) e dimostrerebbe l’attualità dei contributi di Montaldi e la necessità di ripensare quelle sue esperienze, trascura due cose. La prima. Che, come ho già detto (qui), dopo gli anni ’70 (meglio: la sconfitta degli anni ’70) di riprese della pratica dell’inchiesta o della con-ricerca se ne sono viste o se ne vedono poche. La seconda. Che come minimo l’istiuzionalizzazione o accademizzazione della sociologia ha impoverito e marginalizzato le esperienze militanti. E, perciò, a me pare debole e contraddittorio lo stesso auspicio di Pugliese. Come si fa, infatti, a considerare «ovvio che Montaldi non abbia mai ricercato né accettato una collocazione accademica» (pag. 132) senza chiedersi il perché di quella sua scelta; e aggiungere, invece, poco dopo che «c’è da chiedersi se per condurre con-ricerca oggi sia indispensabile aderire alle opzioni ideologiche e politiche di Montaldi, alla creazione del gruppo “interno- esterno”, all’intento di realizzare un progetto politico come il suo»?
Ancora oggi quel conflitto tra sociologi accademici e “sociologi” militanti mi pare indicare un bivio che ha sospinto ricercatori e studiosi in direzioni molto diverse, se non del tutto contrapposte. Ridimensionarlo in modi concilianti, come mi pare faccia Pugliese – ora lusingato dal fatto che Pasolini sottolineò «soprattutto la qualità letteraria» di Montaldi (seguito in questo a ruota da Piergiorgio Bellocchio), ora affermando che il narratore Montaldi «può essere un grande sociologo e mostrarlo anche attraverso la narrazione» – mi pare una scelta riduttiva.
E del comunista Montaldi che diciamo, che ne facciamo?
Mentre leggo questi nuovi saggi su Danilo Montaldi si rafforza un’obiezione sicuramente antipatica contro un non detto da parte di chi ancora s’occupa di queste esperienze; e che potrei formulare provocatoriamente così: Danilo Montaldi l’avrebbe davvero meritata una bella laurea honoris causa in sociologia (magari dei “marginali”). O nel nuovo settore della storia orale. O – perché no – in letteratura. Ma era un militante, pensava ancora al “comunismo delle origini” («livornismo»). E però i tempi sono troppo cambiati. Certo, è attuale il sociologo, è attuale il narratore, ma risparmiateci il comunista, l’ideologo insomma! Lodiamolo, sì, ma prendiamo – poco, poco, eh! – le distanze. Forse tornerò su questa mia “impressione”. Nel frattempo aggiungo qui sotto, in appendice, alcune citazioni. Anch’io ogni tanto faccio il «pescatore di perle». E chi le leggerà deciderà per conto suo dove vado (o vorrei andare) a parare…
Appendice
1.
«Sergio Bologna avrebbe poi affermato, nella primavera del 1975, nel necrologio scritto in occasione della morte di Montaldi sulla rivista Primo Maggio che: “non c’è vigliaccata peggiore che dargli del sociologo, di attribuirgli uno sforzo di identificazione o di traduzione delle sue «storie dirette. […]. Un vasto processo di ricomposizione organizzativa del corpo rivoluzionario tende a rompere il vincolo nel quale, dal 1945, in Europa, il proletariato può vivere, dibattere, crescere, invecchiare, ringiovanire senza però poter mai uscire dalla condizione nella quale si trova ristretto. La condizione perché venga infranto tale giro vizioso […] è di spezzare l’accordo che lega i partiti tradizionali del movimento operaio alle forze della guerra e dell’imperialismo.»
(Da «L’autonomia di classe…innanzitutto!» (16 Maggio 2016) https://www.carmillaonline.com/2016/05/16/lautonomia-classe-innanzitutto/di Sandro Moiso )
2.
«Perché la tentazione che secondo me ha avuto questa generazione di operaisti è quella di diventare semplicemente dei sociologi, e non a caso sono stati prodotti alcuni dei principali sociologi italiani: Massimo Paci, Vittorio Rieser, Giovanni Mottura, abbiamo riempito di illustri baroni e meno baroni l’università italiana, dei sociologi veramente di altissimo livello. Altri però più che sociologi volevano diventare qualcos’altro»
(da Sergio Bologna, «Operaismo e composizione di classe», https://www.infoaut.org/notes/operaismo-e-composizione-di-classe)
Stralci dal saggio di Enrico Pugliese
1.
2.
di Ennio Abate, Paolo Rabissi e Franco Romanò
Partendo da un articolo di Abate, DA RENZO TRAMAGLINO (MERIDIONALE) A SAMIZDAT del 19 febbraio 2018, abbiamo intessuto ricordi personali e politici su un evento al quale ciascuno di noi ha partecipato a modo suo. Sono passati cinquant’anni. Sembriamo ancora accomunati da un giudizio sostanzialmente positivo sul significato storico e politico del ’68. Eppure diversi sono gli accenti, le prospettive e i filtri di lettura che usiamo. Sperando di non aver opacizzato ma reso nelle sue molteplici facce alcune di quelle vicende e i problemi che affiorano nel ripensarle, pubblichiamo in un unico blocco il nostro lungo e laborioso scambio di mail, avvertendo in anticipo che un po’ di fatica la chiediamo ai nostri convenzionali quattro lettori. [E.A., P.R., F. R.]
di Ennio Abate
In evidenza. Pima pubblicazione 28 feb. 2016
Lettera aperta a Giulio Toffoli ma non solo a lui
"O frati", dissi "che per cento milia perigli siete giunti a l'occidente, a questa tanto picciola vigilia d'i nostri sensi ch'è del rimanente, non vogliate negar l'esperienza…[di?]
Caro Giulio,
rispondo sinceramente e pubblicamente e non nell’ambito più “protetto” degli scambi tra redattori di Poliscritture al tuo ultimo commento (qui). Perché non giova nascondere le divergenze tra me e te, dato che non sono poi tanto diverse da quelle che esistono tra me e altri redattori o commentatori o collaboratori esterni a Poliscritture. Continua la lettura di Che fare quando nulla pare sia possibile fare?
Il 9 ottobre è trascorso il cinquantesimo anniversario dalla morte di Raniero Panzieri, ricordato a Siena, presso la Biblioteca Umanistica dell’Università, con la mostra documentaria e bibliografica Raniero Panzieri, un marxista militante, organizzata grazie ai volontari del Servizio civile regionale nell’ambito del progetto A carte scoperte del Sistema Bibliotecario di Ateneo, visitabile fino al 18 ottobre 2014. Altre informazioni qui.
Clicca sotto invece per l’audio in cui Raniero Panzieri presenta nel marzo 1962 a Siena il primo numero dei «Quaderni rossi»
Prossimamente riferirò su “Raniero Panzieri” di Cesare Pianciola, Centro di Documentazione di Pistoia, 3° Quaderno della Collana “Italia antimoderata” ideata da Attlio Mangano e Antonio Schina. [E.A.]