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Sotto traccia

di Rita Simonitto

Che ciò sarebbe accaduto era fuori dubbio. Quello che non sapeva era il quando e il come. Sul dove… certo che era importante ma lo impensieriva un po’ meno.
A quanto ne sapeva, ed era ovvio, il tempo era nella mente di un qualche Dio mentre il ‘come’ era proprio affar suo e quel campo non era facilmente praticabile investito com’era di aspettative, di limiti, di contraddizioni. Ridicolo a dirsi, ma ne andava di mezzo proprio lui come persona sia attiva che passiva, un tutto che aveva avuto modo di esistere e poi…
Oggi la vita se ne andava come quei sottotitoli del film che scorrono così veloci da non far a tempo ad afferrare i nomi dei personaggi, i ruoli e così non si fissava niente perché tutto scivolava in un nulla che via via perdeva di senso… fine della proiezione!
Ci voleva un significato, qualcosa di percettibile ai sensi, compreso il sesto senso, quello che regnava, si fa per dire, sulle sensazioni interne, gli affetti, le emozioni.
Nel mentre, sembrava che comunque qualcosa si muovesse in un sottofondo a base corporea, qualche cosa di indefinibile: era come avere una talpa che scavava le sue gallerie sottotraccia e sai dov’è solo quando precipiti dentro il buco. Certo, si potevano seguire degli indizi ma fin quando la realtà non avesse dato il suo responso, tutto rimaneva nel campo delle ipotesi.
Pensieri, immagini, ricordi gli arrivavano e sparivano e lui, che pur lavorando al PC, amava fermarsi ogni tanto facendo roteare la penna tra le dita, come a dirigere una orchestra ormai muta, si sentiva prigioniero in un modo inusitato: non come Ulisse che si era fatto legare all’albero maestro della sua nave per fronteggiare il canto seduttivo delle Sirene. Un vissuto, il suo, che non avrebbe potuto essere narrato, che si sarebbe chiuso su se stesso, senza testimonianza alcuna. Irrimediabile. Come può una esperienza tradursi in una in-esperienza? In un non detto o non dicibile? Quei pensieri non erano di certo una buona compagnia, forse era meglio aprire ad Ambra, il setter, che, inquieta, sbuffava di narice alla porta come se dalle fessure sentisse l’espandersi di quei pensieri mefitici e volesse fronteggiarli.
In quel mentre la porta si spalancò di colpo: “Papino…papino…” e dopo un attimo di pausa “Ma che hai?”
Era Dora, sua figlia, che, scansati gli zompi del cane, gli ripetè “Ma che hai? Che ti succede?
Dora, o Adorata come lui avrebbe voluto chiamarla, ma sua moglie, giustamente prevedendo le battute con le quali la figlia avrebbe dovuto confrontarsi con i coetanei, aveva insistito per Dora, e Dora rimase. Dora, ormai donna matura, ma che continuava a chiamarlo ‘papino’ come quando era piccola. Non gli piaceva essere appellato così, chi lo sa perché. Ricordava una manifestazione, lei era piccola e lui la teneva in spalla, a cavalcioni, e Dora si era messa a strillare “Papino, papino, bandiela lossa cople la faccia, mi soffoca!”. Era infatti una di quelle giornate ventose che solo aprile può dare, sembrava che tutto tremasse, terra, alberi fioriti e persone fra le quali sua moglie tentava di farsi strada per raggiungerli. Perché i compagni non avevano sorriso ma avevano guardato con espressione dura quel giovane padre impegolato fra bandiere alla mercè del vento, indocili capelli e pargola vociante?
“Papino!”
Una volta avrebbe potuto risponderle con un “La mamma dov’è?” per dirottare quelle ansie verso chi sarebbe stato più in grado di contenerle. Ma la stagione di sua moglie si era conclusa ancora prima della sua e tutto senza avvertirlo, senza dirgli che le cose erano cambiate, no, non fra di loro, ma nel mondo. Perché Titti (la sua “passeretta”) quella sera, dopo aver visto assieme il film “Miracolo a Milano”(1951) di Vittorio De Sica, prese le chiavi dell’auto e le buttò a fiume dove andò a raggiungerle? Voleva dire che le chiavi stavano giù dove elementi disparati (terra e acqua) si incontrano e si scontrano e non invece su dove “Il buon giorno significa buongiorno”.
Guardò Ambra che a sua volta guardò lui con un mugolio sommesso del genere “Ci siamo capiti”
Poi, penosamente, girò lo sguardo su sua figlia. Avrebbe voluto abbracciarla, fondersi con quella parte di futuro che comunque lei rappresentava ma si trattenne. Non voleva contaminarla mettendola a contatto con quel lavorio in sottotraccia che si stava muovendo ora qua ora là. Cercando di mantenere la voce ferma, le disse “Tranquilla, Dora, erano solo pensieri. Guarda che Ambra tiene d’occhio il guinzaglio e non vede l’ora di uscire per la sua passeggiata!”
“Sì, papino. Ma mi raccomando!”
“Sì, sì. D’accordo!”.
Ma come potevano tutto quell’investimento, quelle passioni, e le disillusioni al seguito e poi il dolore avere parola se la parola ormai si era prostituita al migliore offerente?
E così, sottotraccia, su una materia inerte priva di pensiero, la talpa lavorava, muovendosi verso organi e funzioni che sembravano irrelate tra di loro… o forse no.
Intuire che il suo destino era legato all’imprevedibilità di una talpa gli produsse un gemito e lo scosse un tremore come da elettroshock!.
Ma, che altro?


13.02.25

L’occhio

Un po’ per celia e un po’ per non morir” (Ettore Petrolini)
Riflessioni sotto forma di filastrocche

di Rita Simonitto

Dal triangolo divino
L’occhio fece capolino.
Guardò giù e niente, niente
Ci trovò di divertente.
Gente cupa, spaventata
Col terror d’esser spiata.
Il piacer della parola
Osteggiato. Lei da sola
Affranta ed esaurita
Limitata nel dar vita
Al versatile sentire
Ormai stava per morire.
L’occhio s’era rabbuiato
Che cos’era capitato?
Come mai una visione
Spinta all’esplorazione
Oggi era prigioniera
D’una macchia tutta nera?
Assassina dei colori
Impediva che un ‘fuori
Da lei’ libero splendesse
E di gioia vi godesse.
Così stretta tra le mura
D’una sterile censura
Riduttiva della Storia
Lei perdette la memoria.

Pencolando da quel lato
L’occhio s’era squilibrato
E così piombò dabbasso.
Superato quel collasso
Pensò di porre a frutto
Il poter vedere tutto
E un po’ ingenuamente
Si rivolse alla ‘ggente’
Certo che il far vedere
Le manovre d’un potere
Che sovverte il reale
Nel silenzio più totale
Stimolasse lo scossone
Per una rivoluzione.
“Quel che vidi ve lo dico”
“Non c’importa un bel fico!
Il pensare costa assai
È foriero sol di guai.
E la responsabilità?
Se la assuma chi vorrà!”
“Senza l’ombra di un pensiero
Qui si muore per davvero!”
“Ma io sono ecologista
Questa è la giusta pista
Per salvare la natura
Che sarà pulita, pura.
I governi a cui credo
Così dicono. Non vedo
Altre vie. ‘Monsù’, o cche vvoi?
Pensa all’affaracci tuoi!”.

Così l’occhio fuor di testa
E con l’aria mesta mesta
Si decise di tornare
All’immobile guardare.

08.09.24

Il Ramarro

Un po’ per celia e un po’ per non morir” (Ettore Petrolini)
Riflessioni sotto forma di filastrocche

di Rita Simonitto

Il ramarro sul balcone
Era preso dal magone.
La finestra come specchio
Lo turbava di parecchio
La livrea sia pure bella
Al fin era sempre quella…
Diventar camaleonte
Suo parente, là dal ponte!
Così stretto dal bisogno
La notte fece il sogno
D’una donna mascherata:
“Son Invidia. M’ha chiamata?
Come lei verde vestita
Vuol giocare la partita?”
“Oh! Niente maschera con me,
Tanto ormai lei so chi è”
“Non si può, no. Anche per lei
Sono enigma. Santi Dei
Ma le devo spiegar tutto?
Questo vizio è sì brutto
Che nessuno vuol avere…
Ma mi faccia il piacere!
Ha mai visto che qualcuno
Se ne vanti?  Ma più d’uno
Mi rinnega, mentitore,
per aver salvo l’onore.”
“Meglio il camaleonte?
Lui ha le risposte pronte.
Realpolitik e altro
Così sgama. Molto scaltro”
“Non facciamo paragoni
Fra i più e meno buoni
Ma il fine che li spinge.
L’invidia è una sfinge
Che nasconde con l’affetto
Il terribile progetto
Di voler la distruzione
Delle cose belle, buone”.
“Ciò che afferma non mi va
Sono soltanto falsità”
“Non crede? Pensi a Jago
Dell’invidia vero mago
E veder come si gode
Quando Otello si corrode!”
“Ma se lei mi fa vedere
Questo tristo suo potere
Se lei si confessa a me
Vorrà dir che amore c’è”
“O ingenuo mio ramarro
Il mio non è uno sgarro
Dalla linea di condotta.
Io esulto per la lotta
Disperata di chi non sa
Se è bugia o verità”.

Ed il sogno si dissolse
Sì veloce che non colse
Lì per lì e per l’appieno
Il poter di quel veleno.

21.08.24

“Dove c’è fumo c’è arrosto”

Un po’ per celia e un po’ per non morir” (Ettore Petrolini)
Riflessioni sotto forma di filastrocche

di Rita Simonitto

A una volpe saputella
Borbottavan le budella.
Da più giorni non mangiava
Le saliva già la bava
All’idea di un bel desco
Con qualcosa di fiabesco:
Un galletto tenerello
Da mangiar senza coltello.
Ma pollai bene blindati
Vietavano attentati
A piumaggi ed a creste
Cui volevasi far feste.
Giust’allor un odorino
Che veniva da vicino,
O almen cosi sembrava,
Dietro cumuli di biava.
Alla nostra bestiolina
Già veniva l’acquolina.
Andar là verso l’oriente
Doveva immantinente.
Naso in su, trotta, trotta
Inseguendo quella rotta.
Oh, Mon Dieu, che gran disdetta!
Quando meno se l’aspetta
Il profumo dell’arrosto
D’improvviso cambiò posto
Un ventaccio d’improvviso
Rovesciò quel paradiso
Che la volpe pregustava
Ma sul fumo si basava.
E affranta, tutta sola
Schivò giusto la tagliola
con coscetta di gallina
invitante lì in vetrina
Quell’inganno conosceva
Ma dell’altro non sapeva.
I profumi, le parole
Fan sentir ciò che si vuole
E non sempre la fragranza
Corrisponde alla sostanza.

04.07.24