di Velio Abati
Nei volumi collettanei la pluralità di approcci è istituzionale, la disomogeneità dei risultati inevitabile, così il lettore sente più autorizzata la propria libertà di scelta persino. Nel libro che ha preso spunto – afferma la quarta di copertina – dal convegno della Società Italiana delle Letterate, tenutosi a Venezia nel dicembre del 2019, a mio parere il luogo fondo, quasi un fuori scena da cui meglio vedere la linfa dei percorsi plurimi si trova un po’ decentrato: Scrittrici o venditrici? Un dialogo a distanza fra Giulia Caminito e Chiara Ingrao durante il lockdown del 2019.
È, si potrebbe dire in termini teatrali, una scena perfetta. Non è certo una novità che la reclusioneobbligata dall’infuriare della pestilenza sospinga, in certe aree dell’umano, alla risorsa di ultima istanza che sempre è la letteratura, condizione in qualche modo antropologica,il cui archetipo e acme nella nostra lingua è il Decameron. Ma, nel nostro caso, la mossa propria dello sguardo femminile muta il paradigma.
La sospensione, imposta dalle autorità sanitarie, provoca uno strappo, che la coazione capitalistica alla produzione di valore sente intollerabile, così chi, come la giovane Caminito, ne è stata strumento e fruitrice, è messa di fronte a se stessa: “in due mesi io ne ho fatti anche cinquanta [di presentazioni], partendo più volte a settimana e trovandomi in affanno e in confusione, a parlare dei miei libri a mitraglia, senza sosta, spesso senza ricordarmi neanche a chi. Ho visto troppo in troppo poco tempo e ho parlato troppo di me e dei miei libri nel giro di poche giornate. Ho sentito di doverlo fare, di dover essere performer della mia scrittura, di dover dare a chi mi ascoltava motivo per comprare il mio libro e comprarmi. Quindi ho sviluppato un’ossessione sulla riuscita degli incontri, dal fatto di dover sempre cambiare le cose dette, dagli approfondimenti, dalle letture, dalle domande delle persone, tanto che questa concentrazione mi ha fatta ammalare” (145).
L’obbligata immobilità costringe a vedere il silenzio del rumore e il vuoto dell’affollamento, ma lo sguardo riguadagnato trova la forza di spostarsi alle spalle dell’atto letterario, d’interrogare se stessa e di farlo trovando la voce complice di altra autrice e di una precedente generazione. È proprio il partire da sé e il suo essere inseparabile dall’altra, che a me pare gesto decisivo, fertilissimo. Naturalmente, nella dialettica sé-altra non c’è nulla di irenico, come con grande lucidità riconoscono le due scrittrici, coraggiosamente confrontandosi su invidie e frustrazioni; né potrebbe essere altrimenti, pena ridurre il tutto a pappetta ideologica.
La scena, si diceva, del silenzio si anima di nuova autoconsapevolezza, perché la solitudine è ribaltata in azione comune. È proprio questo che io, ammirato, invidio alla capacità delle donne di conservare e alimentare, lungo le nervature sociali e geografiche, gruppi, canali di relazioni, discussioni, produzioni non ossificate nell’accademia. È indubbio segno di vitalità e di speranza che la riflessione sul sé sfugga all’ossessione narcisistica della nostra epoca, che la parola sappia diventare scelta e azione condivisa.
Rientra in questa linea di condotta il considerare, come viene fatto nei vari saggi, la letteratura come documento e specola di vita, qui, in particolare, vita contemporanea sul lavoro, oggetto dichiarato dal titolo: Visibile e invisibile. Scritture e rappresentazioni del lavoro delle donne (a cura di Laura Graziano e Luisa Ricaldone, Iacobelli, Guidonia 2024). Il panorama che ne emerge è assai ricco sia per le voci resocontate, sia per il profilo inevitabilmente crudo che del lavoro delle donne e degli uomini viene restituito realisticamente. Dunque, è uno strumento da portarsi dietro per far luce su una parte dell’orrore che chiude il nostro giorno.
Tra i vari saggi, quello che più di altri mi sembra paradigmatico di un rapporto vitale e militante con la letteratura è quello di Luisa Ricaldone: Il lavoro, la vita. Un percorso nella narrativa giapponese. Con l’eleganza e la chiarezza, che diresti settecentesca, si conduce chi legge tra le pagine dei romanzi contemporanei giapponesi nei quali le forme di vita orientali si colorano delle sofferenze, delle sopraffazioni, degli spaesamenti che sono anche i nostri, a conferma della globalità dei fenomeni. In questo saggio ritrovi quella confidenza con la narrativa, quel sentirla parola viva che la studiosa ha esemplarmente messo in opera nel recente Tra le pagine della fame. Un viaggio letterario (SEB27, Torino 2023), dove l’esperienza della lettura, ovvero la sua portata affettiva, conoscitiva e illocutoria è esplicitamente ricondotta alla vissuta radice personale e familiare, dunque sociale.