di Ennio Abate
poesia del mattinoContinua la lettura di Riordinadiario 1997 (1)
vi affollate subito pensieri
addosso al misero
mio ricordo nipotino -
e gridolini vezzeggiamenti malignità
di Ennio Abate
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vi affollate subito pensieri
addosso al misero
mio ricordo nipotino -
e gridolini vezzeggiamenti malignità
di Rita Simonitto
“Aspettare e non venire, stare a letto e non dormire, ben servire e non gradire, son tre cose da morire.” (da La serva padrona – Intermezzo di G.B. Pergolesi)
La spiaggia, ovvero quel fazzoletto di spiaggia, era incassata tra due propaggini di costa alta che scivolavano giù al mare e la cui vegetazione era variegata,frammista di rocce aguzze, ginestre, lentischi e corbezzoli e, più in alto, a svettare disordinate, piante di orniello dalle tremule foglie.
Ci si arrivava attraverso un accidentato sentiero, ombroso al punto giusto per non far demordere il viaggiatore nel suo tragitto verso la caletta.
Continua la lettura di Aspettare e non veniredi Arnaldo Éderle
Tre e mezzo, la discesa scende fino
a mezza costa, case nude senza uomini
né ragazzi, tutti sembrano intanati
dentro le stanze mute e senza porte.
Le finestre paiono dipinte sui muri
immobili marrone pesanti e prese
da ordini perentori e sicuri,
sembrano preesistiti inappuntabili quasi
disumane. Continua la lettura di Prima della Sorte
di Velio Abati
Questo «apologo» è ripreso dal sito di Velio Abati (qui)
[In questa allegoria ben calibrata s’intravvede la storia degli ultimi decenni con una parabola ascendente (le vicende italiane accadute tra dopoguerra, boom economico e anni Settanta e, più in generale, quelle legate al ’68 a livello mondiale) e una discendente (la successiva reazione all’insegna della « parola d’ordine “più mercato meno stato”», volgarmente chiamata ‘neoliberismo’ che ha posto un alt – definitivo? – sia al tentativo di «umanizzare le circostanze» della vita sociale sia ai discorsi sulla
«felicità comune». Lo stratagemma narrativo di presentare come discorso degli storici quanto ancora confusamente succede sotto i nostri occhi aiuta a distanziarsi dal presente e a non sottomettersi alla sua tirannica “evidenza” (E.A.)]
A Velso: contadino, mio padre
C’era una volta una piccola città che era abitata dai Bassi e dagli Alti. Come tutte le città del piccolo pianeta, aveva difetti, tanto più che i suoi abitanti non avevano grande esperienza di democrazia o, se ce l’avevano avuta, era stato in tempi così antichi che nessuno se la ricordava più. Eppure, approfittando di un certo periodo di crescita e di benessere, i Bassi avevano saputo trovare la forza e il gusto di discutere, di stare insieme per le strade e per le botteghe della piccola città, anche fino a notte fonda. In breve, avevano saputo contare di più. Forse, in questo, aveva la sua parte il fatto che gli Alti, da tempi immemorabili notabili della piccola città, nei loro traffici con i concorrenti avevano sempre figurato come i guitti, gli arraffoni estemporanei, che esibivano come patacche – non avresti saputo dire se tragiche o comiche – i blasoni di glorie antichissime. Insomma, la loro ricchezza era più dovuta alla condizione di plebe dei Bassi, all’uso spregiudicato del proprio comando, per il quale trasformavano ogni diritto dei loro sottoposti in favore da concedere o da negare, piuttosto che alla propria capacità imprenditoriale, alla propria virtù di governo. Alcuni storici scrivono che le speranze fiorite in quel certo periodo di crescita, l’allegria breve che aveva fermentato tra i Bassi e contagiato persino alcune famiglie degli Alti, tanto che la piccola città si era guadagnata qualche risonanza fra le altre, erano state possibili proprio per la relativa debolezza degli Alti. Continua la lettura di C’era una volta una piccola città