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Il treno in Pasternàk: gli incontri, il destino,

Astapovo Station

1)

    L’infanzia di Pasternàk  ha come una ferita, come una folgore la presenza di Tolstòj. Non solo, ma anche l’andare su e giù dei treni alla stazione mentre Tolstòj muore nella stanzioncina influirà su tutta la poesia di Pasternàk. Il treno è tolstòjanamente uno dei problemi centrali della poesia di Pasternàk, il problema delle stazioni, dei razsluki, degli addii, il problema della ferraglia che cozza, delle vetture che si urtano l’una con l’altra; è quasi un riflesso del destino e quindi un lontano riflesso di Anna Karerina.

    Pasternàk tramite il padre, famoso pittore, conosce un gran numero di pittori da Vrubel’ a Serov a Vacnecov, conosce scrittori come Gorkij, artisti stranieri, come il poeta fiammingo Verhaeren, che frequenta la sua casa e a cui spesso il padre fa il ritratto.

   Scrive Pasternàk: ” Nel 1913 Verhaeren era a Mosca. Mio padre gli fece un ritratto. …io gli chiesi timidamente se avesse sentito parlare di Rilke. Non pensavo che Verhaeren lo conoscesse. È il migliore poeta d’Europa, disse Verhaeren, lo considero il mio fratello prediletto”, in Boris Pasternàk – Autobiografia. op. cit. p.44.

(AMR – Corso su Pasternàk del 1972\73. pp.10-11)

   Rilke un giorno si recò a Jasnaja Poljana da Tolstoj. Ecco che il circolo si raccorda, tutto viene a chiudersi nella vita con raccordi. Scese dalla stanzioncina dove l’aspettava la carrozza mandata dai Tolstoj. Comunque Rilke era in stretto rapporto con la famiglia Pasternàk, si scriveva con il padre, fu ritratto dal padre, regalò al padre le prime raccolte, che poi furono lette da Pasternàk (padre) che conosceva il tedesco perfettamente, quasi quanto il russo. Rilke colpì la fantasia del giovane Pasternàk così come lo aveva colpito la lettura delle poesie di A. Blok.  Mentre diceva che Blok era il poeta della città, cioè di Pietroburgo; Rilke era per lui “il secondo grande lirico del secolo”, dopo Blok

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 Emil Verhaeren (1855-1916); un filo rosso lega questo autore a Tolstòj attraverso il padre di Boris Pasternàk, amico di entrambi… la morte per treno, il 27/11/1916, del poeta belga e del personaggio Karenina. Verhaeren, che aveva cantato la città ferrigna  sarà celebrato da Majakovskij,  di cui a proposito scrive in Tenebre (Mrak,1916): “Oggi il cielo se l’è presa con Verhaeren./ Il cielo avrà pensato: /Dai/ che te lo sistemo io!/ Santoiddio,/e chi scriverà adesso?/ Scebuev, forse?.” Essendo quest’ultimo un mediocrissimo giornalista.

(mia nota 37, p. 10)

Il treno in Pasternàk si fonde con la Natura. Con le rocce alpestri della Svizzera (in Esenin è in contrasto), quando entra nella città di Marburgo si fa medievale, come Marburgo [1] stessa, cioè il treno aspira a fondersi con le cose (a differenza di Tolstòj e di Esenin dove il treno è creazione del diavolo e nemico.

(AMR , idem, p. 11)

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Il treno  in Majakovskij è differente: è rumore, tecnica, modernità… tutto fa pensare che nulla  sia legato a un destino, a una fatalità; e invece così il poeta risponde a Galina Katanjan (una sera di marzo 1926 a Tiflis), la quale gli aveva detto che la sua poesia  A casa  le ricordava alcuni versi di Esenin; e allora Majakovskij: ”… resta a lungo in silenzio, rigira nervoso un bicchiere con del vino rosso e con voce bassa, più a se stesso che a me (declama i suoi stessi versi:)…e, baciando le ginocchia delle traversine,/lieve/mi abbraccerà il collo la ruota d’una locomotiva”. Ecco che cosa mi ricordano quei versi (di Esenin), bimba mia”, in Lilia e le altre, op.cit. p. 178.  – I versi citati sono gli ultimi tre del prologo della Tragedia in due atti : V. Majakovskij [che il curatore di questo Corso tradusse nel 1971 (o 1973? ), stimolato proprio da Ripellino, poi che si pensava di metterla in scena, dopo la prima esperienza teatrale; vedi nota 2, p.3]. La sensazione che adesso possa toccare a lui di morire è netta, quasi un presagio già presente dal tempo giovanile della tragedia nel1913!. Mentre nella poesia Amore dello stesso anno, era stata quasi una “giocoleria”  la locomotiva: “Una fanciulla timidamente si imbacuccava in un pantano,/dilagavano sinistramente i motivi delle ranocchie,/nelle rotaie vacillava un rossiccio qualcuno,/e con aria di rimprovero con riccioli passavano le locomotive”.  Anche quando Majakovskij cita dei versi di Puškin, il riferimento è diretto a se stesso, al suo stato mentale e psicologico esasperato: ”Puškin è un poeta geniale, dato che ha scritto: La mia sorte è segnata, lo so,/ma perché la vita abbia un futuro/la mattina debbo essere sicuro/che prima di sera vi rivedrò”, in Lilia e le altre, op.cit. p. 246. Da ricordare che il pittore Vasilij Cekrygin muore giovanissimo, a 25 anni, per incidente ferroviario. Con Majakovskij si era incontrato la prima volta nel 1912; nacque subito un sodalizio artistico tra i due. (mia nota 39, p.11).

(mia nota 37, p. 11)

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Ma il punto di partenza è sempre Tolstòj; questi treni che vanno su e giù davanti alla stanzioncina di Ostapovo significando la grandiosità, la dilatazione dimensionale della Russia di fronte alla morte di quest’uomo, l’indifferenza del ferro manovrato dagli uomini di fronte allo scrittore che si spegne.

(AMR , idem, p. 11)

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Come tutto questo contrasta con le stazioni e i treni di Delvaux (1897-1994), che niente hanno di grandiosità se non la fissità, ma viceversa stazionano fermi, immutabili, silenziosi, come statue greche, quasi che osservandoli si possa pensare ai loro sogni, ai loro misteri, insomma sono carichi dei simboli della staticità metafisica! (quasi come le statue di De Chirico); si può dire che non amano il movimento e il frastuono, ma la rêverie di cui discute Gaston Bachelard.

(mia nota 40, p. 11)

   C’è un viaggio nell’infanzia di Pasternàk che è importante ed è del 1900, quando il padre porta tutta la famigliola per l’estate a Odessa. Sono quelle famose partenze delle famiglie russe che Stanislavskij ha così ben descritto ne La mia vita nell’arte, quando si preparavano ceste, cestini, gerle piene di cibo e di vestiti e di medicine e di pillole e di canfora e di tolù e di sciroppi, che rappresentavano questa dolcezza patriarcale perduta.

   Il viaggio di Pasternàk è descritto ne Il salvacondotto e c’è il treno, quindi. Alla stazione incontrano un signore tedesco che parlava anche in russo, che è accompagnato da una signora “ che io non so chi fosse” dice Pasternàk  in  Ochrannaja gramota. Ma è facile saperlo. In treno questo signore – ricorda il bambino Pasternàk – viene a visitare nello scompartimento tutti i Pasternàk, compreso lui. Questo signore è il poeta tedesco Rainer Maria Rilke, la donna era evidentemente Lou Andreas Salomè

(AMR , idem, p. 11)

Stazione

Stazione, cassaforte incombustibile
dei miei congedi, incontri e congedi,
amica provata e mia guida,
a cominciare - non si finirebbe mai nel dire i tuoi meriti.
 
 
Accadeva che tutta la mia vita fosse  - in una sciarpa,
bastava che fosse bloccato alla banchina il convoglio,          
ed emanavano fuoco le museruole delle arpie,
velandoci gli occhi col vapore.
 
 
Accadeva che mi sedessi accanto - (a qualcuno)               
ed ero spacciato. Mi accostavo  e mi staccavo.
Addio, è tempo, mia gioia.
Adesso salterò giù, conduttore.
 
 
Accadeva che l’occidente si aprisse
nelle manovre delle intemperie e delle traversine
e si mettesse ad afferrare fiocchi,
per non finire sotto i respingenti.
 
 
E si placava il fischio ripetuto,
e di lontano ne echeggiava un altro,
e il treno spazzava per le banchine
con una sorda bufera di neve dalle molte gobbe.
 
 
Ed ecco ormai il crepuscolo non ne poteva più,
ed ecco ormai dietro il fumo
si scatenavano il campo e il vento, -
oh, se anch’io fossi nel loro numero!
 
 
1913-1928

(trad. AMR)

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Questa poesia descrive anche  puntigliosamente il desiderio del poeta a voler far parte: o della bufera naturale che imperversa tra treni e vagoni e binari e traversine o di quella che la locomotiva, coi suoi sbuffi continui e fischi laceranti, e i treni, incrociandosi in moto, provocano, suscitando scompiglio anche nella sua mente: tutta questa identificazione è evidente nell’ultima strofa.

La distinzione tra Majakovskij e Pasternàk è per tante tematiche, marcata. (ancora una volta ho la sensazione che tra Pasternàk e Petrarca ci siano valide affinità: la cameretta come unica finestra di dove osservare il mondo…, p.e.). Tolstoj e Pasternàk vanno d’accordo, e come non potrebbe esserlo, anche sulla locomotiva, da entrambi vista qualche volta come congegno infernale; da Majakovskij (che sempre ha deriso Tolstoj nei suoi versi e nella prosa) è simulacro circense, folle (= sinonimo di rossiccio). Nella poesia Amore del 1913:  “il rossiccio qualcuno” è un pagliaccio qualsiasi; il treno: le locomotive hanno riccioli di fumo, (cfr. il treno in  Tolstoj e in Blok). Anche nella tragedia Vladimir Majakovskij (vedi nota2, p.3; e nota 39, p.11)  ci sono le locomotive e le vaporiere : “mi abbraccerà il collo la ruota di una locomotiva”, foriera anche in lui di disgrazie: non ci si può togliere dalla testa la fine di Anna Karerina e del primo poeta urbano, Emil Verhaeren. (vedi note 37 e 39, p.11).

    Il treno in Delvaux è monumento a un mito statico, quasi d’oltretomba¸ metafisica è la fissità di una locomotiva ancorata ad una stazione!

    Per la Cvetaeva, che non faceva altro che spostarsi da occidente a oriente e viceversa alla ricerca vana di una pace, il treno invece d’assumere sembianza di qualcosa in movimento, è apparentemente fermo… fisso è il viaggiatore sulla stazione poi che  partenza e arrivo sono attimi di staticità assoluta: è il dubbio angoscioso del partire oppure no che, appunto, ti pietrifica! E te ne stai fisso là, sulla stazione, e non sai se vi saranno incontri o congedi, arrivederci o addii: questo è anche la Cvetaeva!

   Che per Esenin il treno sia qualcosa di demoniaco non sorprende più di tanto: è visto dal poeta come un bisturi che taglia e sminuzza la sua campagna russa, quindi contro la tradizione rurale-pastorale: è dunque qualcosa che distrugge irreversibilmente, da cui non si può più tornare indietro.

   L’intento  del poeta Pasternàk:” Mi era necessario che soltanto una poesia contenesse la città di Venezia e che in un’altra fosse racchiusa la stazione di Brest, oggi stazione della Bielorussia e del Baltico”. Poi spiega la poesia:”…in lontananza, in fondo a binari e banchine, si levava nelle nubi, nel fumo, l’orizzonte d’addii della strada ferrata, oltre il quale scomparivano i treni; e dentro di sé racchiudeva la storia dei legami degli uomini, e incontri e commiati e avvenimenti di prima e di poi”. In B. Pasternàk-Autobiografia, Feltrinelli, 1967, pp. 67-68.    La quarta strofa forse allude al fatto che alla stazione di Brest avvengono alcune manovre: i binari in Russia hanno una carreggiata più stretta e allora bisogna sostituire le ruote, sollevando uno per uno tutti i vagoni e poi si riparte. /// Nel Corso al secondo verso della seconda strofa è scritto appiantato, che sta per fermato, fissato (da preferire bloccato) come se il convoglio non potesse assolutamente muoversi, andare

(mie note 139,140,141,142,143,144 – p. 37)


La confessione

di Franco Casati

   Si dice, a volte, che la speranza muove i tuoi passi. Tutte le persone anonime che vengono incontro a Livia lungo il marciapiede altro non sono che ombre da scartare al più presto, brevi ostacoli fra l’idea che la anima e la realizzazione di un desiderio urgente affidato al gesto di alzare la cornetta del telefono e di comporre un numero, non appena giunta al proprio domicilio. Continua la lettura di La confessione

alla stazione dei treni

 

di Angelo Australi

Era dalla morte di Zio Seneca che il mio vivere in campagna si era ossidato come una pila scarica, tutti quei luoghi visitati con lui adesso non stimolavano più la mia fantasia. Forse dire che li sentivo ostili è improprio, visto che da bambino avevo sempre trovato il modo di trasformarli in un pretesto per inventare dei giochi, ma dopo la sua morte, quando andavo al podere dei parenti, le giornate estive erano diventate interminabili perché certi scorci di paesaggio si dilatavano nella noia fino a comprendere le persone con i suoi umori alti e bassi. Quelle dieci frasi con le quali i parenti avevano sempre comunicato e che da bambino aspettavo a gloria di sentirmi dire, all’improvviso si erano trasformate in macigni che gravavano su uno strano e insopportabile sentimento di inquietudine che non riuscivo a capire. Dopo i diciotto anni tutto il mio vivere dai parenti si era annientato dentro altri interessi, avevo degli amici sparsi in alcune città e la campagna non entrava neanche in parte nelle nostre discussioni. Quando ci incontravamo per assistere al concerto di uno dei nostri gruppi rock preferiti, parlavamo ore sognando di cambiare il mondo attraverso quei suoni e poi, finiti i soldi, rientravo al paese convinto di aver fatto qualcosa di buono. Continua la lettura di alla stazione dei treni

Il cammino delle comete (2)

U. Boccioni, Stati d’animo I – Quelli che vanno – (1911)

Il cammino delle comete

a cura di Isidora Tesic

‘Disse che a paura e malattia
Si è ridotta la vita,
che ogni giorno
Era una lunga esecuzione,
e la notte – timore
Di ospiti inattesi. Disse
Che questo mondo non è casa ma stazione,
Sala di sopravvivenza,
dove tutti attendono qualcosa.’

Sergej Georgievic Stratanovskij Continua la lettura di Il cammino delle comete (2)

Soffioni boraciferi e altre poesie

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di Donato Salzarulo

Queste composizioni fanno parte di un ciclo poetico (ancora in corso) cominciato tra la fine di agosto e gli inizi di settembre. Qui vengono offerte come anticipazioni sia per contribuire al dibattito di POLISCRITTURE sulle vie della poesia, sia per raccogliere impressioni, spunti di lettura, annotazioni critiche. La scrittrice irlandese evocata nella seconda strofa di “Soffioni boraciferi” è Edna O’Brien, il libro «Oggetto d’amore» (Einaudi, 2016). [D. S.]

SOFFIONI BORACIFERI

Oggi qualcosa ha mutato l’atmosfera
del tuo viso. Nei tuoi occhi non piove,
ma li vedo più piccoli come se
una nuvola densa di vapori
scivolasse giù dalla fronte… Continua la lettura di Soffioni boraciferi e altre poesie