di Stefano Taccone
Sono decenni che ascoltiamo la locuzione “lunga transizione italiana”. Essa mi pare sottendere la credenza in un passaggio tortuoso e faticoso, eppure ineluttabile, da un Paese a “democrazia bloccata” quale era l’Italia della Prima Repubblica a una democrazia dell’alternanza, liquida, para-anglosassone. Che però questa prospettiva fosse più un desiderio concepito tra torcicollo e strabismo – il torcicollo che ti fa osservare il passato come fosse il presente e lo strabismo che ti fa osservare un altro paese come fosse il tuo – lo si è capito mano mano, o meglio le vicende si sono evolute in termini sempre meno prossimi all’allegro pseudo-irenismo bipolare che anche ai più irriducibili non è rimasto altro che sostenere che tuttavia era una buona idea, la migliore che si potesse concepire. Peccato però, per loro, che un cervello senza arti – fosse anche il cervellone di un Nobel della fisica – non ha mai smosso una piuma.
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