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Viviamo senza sognare

di Franco Nova

Quante speranze ormai vane,
mentre le molte già realizzate
protestano contro questa vita
che sempre avanza e declina.
Perché Faust raccontò bugie
creando così pure illusioni?
Il mal intenzionato mentiva
soltanto a se stesso, credendo
di alleviare la sua vecchiezza.
Ormai volgiamo lo sguardo
ai ricordi da noi colorati
per poter contenti sognare,
pur se mai essi ci daranno
più d’un bagliore di letizia.
Stiamo seduti a testa china
ed eventi e visi e paesaggi
sfilano e si disperdono laggiù,
dove tutto è luce e la memoria
cancella o gentile fa sfumare
tutto ciò che il rammentare
potrebbe renderci smarriti.
Non si può evitare il pensiero
di un futuro ormai privato
dei sospirati empiti di gioia.
La vita davanti a noi è niente,
ma non diversa è alle spalle
di fronte all’enormità che
tutt’intorno ci rende inutili
nell’Universo così stellato.
Eppure si vive, si fatica e
si valorizza anche il poco
che sempre siamo stati, noi
così sciocchi da vantarci.
Siamo detti umani, ognor illusi
d’aver infine eterna vita, priva
dei corpi sentiti ingombranti
mentre sono l’unico sollievo.
Addio fantasie, tornate in voi
nel tempo e nello spazio dove
mai avete ricevuto udienza.
Ma lavorate, datevi impegni,
pensate che ancor ci siete; e
vivere è meglio del sognare
l’eterno mai conosciuto e
d’una noia insopportabile.

La poesia di Ángel Guinda

 

a cura di Pablo Luque Pinilla

                                                                                                        El poeta es un condenado a la claridad y al canto1

Ángel Guinda nasce a Saragozza nel 1948. Vive a Madrid dove insegna Lingua e Letteratura in una Scuola Secondaria. La sua consistente opera poetica, esistenziale e minimalista, dagli anni ’70 a oggi è stata raccolta in riviste e libri di poesia. Ha scritto anche le raccolte di aforismi Breviario, 1980-1992 (1992) e Huellas (1992), i manifesti Poesía y subversión (1978) e Poesía útil (1994), e il saggio El mundo del poeta, el poeta en el mundo (2006). Ha tradotto diversi poeti: Cecco Angiolieri dall’italiano, Teixeira de Pascoaes, Florbela Espanca, José Manuel Capêlo e la poetessa brasiliana Ana Cristina Cesar dal portoghese, Àlex Susanna dal catalano. Negli anni ’70 fonda e dirige la collezione Puyal di libri di poesia e alla fine degli anni ’80 la rivista letteraria Malvís. Ha firmato centinaia di articoli di critica letteraria e critica d’arte sulle pagine dei quotidiani “Heraldo de Aragón” e “El Periódico de Aragón”. La sua opera in versi comprende i seguenti titoli: Vida ávida (1980-1990), Cántico corporal (1989), Conocimiento del medio (1990-1995), La llegada del mal tiempo (1995-1996), Biografía de la muerte (1996-2000), La voz de la mirada (2000-2001), Toda la luz del mundo (tradotto nelle lingue ufficiali presenti sul territorio spagnolo e all’interno dell’Unione Europea nel periodo 2000-2003), l’autoantologia La creación poética es un acto de destrucción, 1980-2004 (2004) e Claro interior (2000-2007). Attualmente è in corso di stampa l’edizione canonica della sua poesia completa, Poesía útil, 1970-2007. Un’ampia bibliografia dell’autore può essere consultata in rete all’indirizzo: www.olifante.com/guinda/biblio/index.html

Spesso la sua opera ha ricevuto consensi unanimi sia tra i lettori che tra i poeti e i critici letterari, e ha ricevuto il “Premio Pedro Saputo de las Letras Aragonesas” per Biografía de la muerte. Alcune tra le più recenti e importanti antologie degli ultimi anni raccolgono i suoi lavori; tra queste ricordiamo: Antología de la poesía española (1966-2000): Metalingüísticos y sentimentales. 50 poetas hacia el nuevo siglo (2007).

Come succede sempre nei casi di grande poesia, la sua opera affronta i temi classici più ricorrenti come il tempo, l’amore e la morte. Allo stesso tempo, la sua attenzione si dirige all’esplorazione metapoetica. Per quanto possa sembrare scontato sottolineare la validità di questi interessi, in realtà non lo è: basti pensare a come, nel nostro contesto attuale, vengano esaltati il nonnulla magniloquente e l’originalità priva di contenuto, in un atto di onanismo creativo che confonde il verso con lo spasmo, la letteratura con l’opportunismo dello spot. In maniera completamente diversa, invece, Ángel Guinda affronta la propria scrittura da una preoccupazione per l’umano, esasperata fino all’estremo della rottura del soggetto poetico, fino all’implosione stessa dell’io lirico. Questa scommessa è sostenuta anche da un grande rigore tecnico che si manifesta sia nell’impiego del verso libero che del poema in prosa o del verso sciolto (il più presente). Ma anche attraverso procedimenti espressivi come l’ellissi, il concettismo, la sinestesia e l’uso di un linguaggio attualizzato, convenzionalmente affatto poetico. Solo in alcune occasioni questo diventa più retorico o volutamente letterario; infatti, nella vita, fonte d’ispirazione di questa scrittura, vige il linguaggio nella stessa misura in cui, a volte, succede il contrario. In definitiva, una tematica e un’estetica che, tutto sommato, risultano radicalmente contemporanee.

Per il resto, si tratta di un’opera che, come dichiara l’autore stesso, si specchia in quella di Jorge Manrique, Quevedo, Bécquer, Ungaretti, Montale, Quasimodo e Jaime Gil de Biedma; e si fonda su tre idee fondamentali, spesso riportate nei suoi manifesti, in interviste e presentazioni. Innanzitutto, la concezione della poesia come atto di distruzione; quindi la convinzione che, puntualizzando quanto affermava Nebrija che «si scrive come si parla»2 in realtà, innanzitutto, «si scrive come si vive»3 e la coscienza di marginalità di chi va alla ricerca di un lirismo profondo che condanna il poeta a illuminare il mondo e a cantarlo. Con la prima di queste idee, il poeta risulta uno “sterminatore” – come l’ha definito qualcuno – che cerca di liquidare l’ordine prestabilito per edificarne uno nuovo, esente dai pregiudizi che falsano la realtà dell’uomo, guidato dal sentore del vero. Questo per dire che il carattere apparentemente distruttivo della sua poesia nasce da un’inclinazione al rischio e alla profondità, in cui ogni parola viene soppesata e indirizzata per dotare il poema della massima intenzionalità, sia etica che estetica. Ángel Crespo spiegava il medesimo concetto, affermando che questa poesia è «volta a rimuovere gli ostacoli della vita più che a essere messaggera di annichilimento; porta scompiglio, non nell’ordine naturale, ma nel disordine con cui i manichei di tutti tempi hanno cercato di sostituirlo»4. E noi aggiungiamo che questo modo di procedere, basato sull’effetto dei contrari, colloca il nostro poeta agli antipodi del nichilismo. Arriviamo quindi alla conclusione che Ángel Guinda scrive come vive, così come è stato accennato riguardo al secondo aspetto della sua scrittura. Una fame di vita e di esperienze personali che ci rivela nell’opera lo spazio comune delle nostre vite, la fattura dei nostri desideri, delle nostre frustrazioni, speranze, dubbi e certezze. Infine, sulla risultante delle due vie tracciate ritroviamo la terza che abbiamo indicato: il poeta si sente spinto al canto, alla poesia poiché tanta vita che come spesso afferma l’autore è anche tanta morte, non può non essere offerta, donata. In questo senso, Guinda è stato definito come un poeta maledetto, condannato a rendere poetico tutto quanto incontra. Ciò nonostante, ci sembra più adeguato considerare tale aspetto maledetto come l’ombra che la tentazione della concentrazione su se stesso proietta sul suo lavoro, pur se non arriva a materializzarsi. Di fatto, l’autore stesso ha denunciato questo pericolo nel suo saggio El mundo del poeta, el poeta en el mundo. Ci riferiamo alla pretesa che la poesia crei uno stato migliore della realtà e, per questo, migliore rispetto alla realtà, dimenticando che, come ci ricorda Víctor Moreno, lungi dall’essere così, il verso è «una possibilità espressiva in più che abbiamo a nostra disposizione»5 e, come tale, «non né migliore né peggiore di altre»6. Capiamo allora, che se Ángel Guinda dichiara di scrivere contro la realtà, non è perché la detesta, ma perché riconosce in essa l’incapacità di rispondere al suo grido umano, il che, in ultima istanza, non gli fa rinnegare quanto esiste, ma perseguire – quasi implorare -un inizio di risposta, qualcosa che gli sveli su claro interior – la sua chiara interiorità – come recita il titolo dell’ultima raccolta di poesie. La constatazione, in definitiva, che la realtà è segno di un’altra cosa. Infatti, nella poesia intitolata “La realtà” si spiega che, nonostante scriva contro di essa, senza sapere nemmeno se esiste, essa persiste «e questo sì, è un mistero»7. Un ulteriore conferma ci è data da una traiettoria poetica che comprende due tappe: quella che si conclude con il libro Biografía de la muerte e quella successiva a questa pubblicazione. La linea divisoria tra le due sarebbe delineata dall’incontro con la voz de la mirada – la voce dello sguardo – titolo di un’altra sua opera, e punto di inflessione verso una poesia «rivolta al mistero»8.

Se in Ángel Guinda è stato possibile questo itinerario, c’è da chiedersi cosa possa definirsi impossibile! Noi lettori aspettiamo ansiosi l’evoluzione del suo lavoro, e questo, per un poeta, è molto significativo.

                                                                                                                                             Traduzione di Gloria Bazzocchi

 

1Ángel Guinda, El Mundo del Poeta. El Poeta en el Mundo, Olifante, Zaragoza, 2007, pp. 7-8.

2Ángel Guinda, Poesía y Subversión: Manifiesto del 78, Zaragoza, Olifante, 1978; cit. Vida ávida, edizione bilingüe in bulgaro e spagnolo, trad. Rada Panchovska, Sofía, Próxima RP editorial, 2006 p. 88.

3Ibid.

4Ángel Crespo, Las cenizas de la flor, Madrid, Júcar, 1987; cit. Vida ávida, edizione bilingue in bulgaro e spagnolo, trad. Rada Panchovska, Sofía, Próxima RP editorial, 2006, pp. 97-98.

5Víctor Moreno (2007), “Lugares comunes sobre el hecho poético”, Cuadernos de Literatura Infantil y Juvenil, 2007, pp. 1-3.

6Ibid.

7Ángel Guinda, Claro interior, Zaragoza, Olifante, 2007, “La realidad”.

8Ángel Guinda, El mundo del poeta, el poeta en el mundo, Zaragoza, Olifante, 2006, p. 10.

POESIE DI ÁNGEL GUINDA
a cura di Pablo Luque Pinilla
traduzione di Gloria Bazzocchi

 

Tu boca vertical me escupió oblicuo
y no ha dejado tu sangre de rodar;
más que en la mesa, al volcarse una botella,
su dentro se derrama.
Y esa sangre no puede coagular
sino en mi pecho,
en esa bomba músculo que llaman corazón
y yo taberna.
Bebo mosto de alumbramiento,
negro alcohol espejo de tu ausencia.
Llevo toda la vida
bebiendo hijo sin fermentar,
masticando la madre de mi vino.
Toda la vida borracho de soledad
tragando muerte.(Vida ávida, 1980-1990)La tua bocca verticale mi espulse di sbieco
e non ha smesso il tuo sangue di gorgogliare;
più di quando su un tavolo si rovescia una bottiglia,
il suo interno si sparge.
E quel sangue non può coagulare
se non nel mio petto,
in quella pompa muscolo che chiamano cuore
ed io taverna.
Bevo mosto di nascita,
nero alcol specchio della tua assenza.
È tutta la vita
che bevo figlio non fermentato,
che mastico la madre del mio vino.
Tutta la vita ubriaco di solitudine
a ingurgitare morte.PÓSTUMOMe he bebido la vida.
La resaca
ha dejado en mis labios
un torbellino de desdén,
y en la mirada
toda la ausencia de la lejanía.
Convivo con la muerte.
Cualquier noche,
en lugar de unas manchas sobre un folio
y un ruido de palabras martilleantes
dando tumbos contra la dentadura,
te dejaré la luz de mi silencio,
limpio como el mantel desplegado del sol.

(Vida ávida, 1980-1990)

POSTUMO

Mi son bevuto la vita.
La sbornia
ha lasciato sulle mie labbra
un turbinio di disprezzo
e nello sguardo
tutta l’assenza della lontananza.
Convivo con la morte.
Una notte,
al posto di macchie su un foglio
e un rumore di parole martellanti
sbalzate contro la dentatura,
ti lascerò la luce del mio silenzio,
pulito come la tovaglia spiegata del sole.

LA EDAD DE ORO

No lamentes
haber perdido el esplendor juvenil,
los estallidos de la vida,
a cambio
de un horizonte de cenizas.
Nadie puede avanzar
en medio de un bosque en llamas,
sí a través del desierto.

(Conocimiento del medio, 1990-1995)

 

L’ETA’ DELL’ORO

Non rimpiangere
d’aver perduto lo splendore giovanile,
le esplosioni della vita,
in cambio
di un orizzonte di cenere.
Nessuno può camminare
in mezzo a un bosco in fiamme,
ma attraverso il deserto, sì.

PARA PERMANECER

Je ne vois qu´infini par toutes les fenêtres
Charles Baudelaire

Sin perder de vista el cielo,
que la tierra te mire
y puedas ver el mar.
Que en ti todo lo oculto
esté presente;
todo lo muerto, vivo;
lo por nacer, nacido.
Y tu huella dé fruto,
a la orilla del tiempo.

(Conocimiento del medio, 1990-1995)

 

PER PERDURARE

Je ne vois qu´infini par toutes les fenêtres
Charles Baudelaire

Senza perder di vista il cielo,
che la terra ti guardi
e tu possa vedere il mare.
Che in te quanto è nascosto
sia presente;
quanto è morto, vivo;
quel che deve nascere, nato.
E la tua impronta dia frutti,
sulla riva del tempo.

 

AUTOBIOGRAFÍA

Si mi vida no es esto
¿qué será la vida?

Martín Adán

Me preguntas por mi vida a bocajarro:
¿qué puedo responder, con qué y de qué modo?
Lo que sé de mi vida lo borra cuanto no sé de ella:
las palabras no alcanzan, los recuerdos confunden.
Mi vida es lo que he hecho,
he deshecho, he dejado de hacer.
Para saber de mi vida, piensa en la muerte;
piensa en ti que estás viva y has de sobrevivirme.
No sé si tendré tiempo
para vivir lo no vivido, para matar lo que viví,
para vivir la muerte antes de que me muera.
Mi vida recibe instrucciones de otras vidas
anteriores a mí, a las que sirvo
como fiel sucesor y en mí reviven
-no tengo ojos sino para lo que no veo.
Mi vida es una noche que a la luz no se adapta,
un astro fugitivo extraviado en la tierra;
es también la palabra que aún no me encontró,
el mensaje misterioso que no descifraré.
Aunque mi verdadera vida tal vez se inventará.

(La llegada del mal tiempo, 1995-1996)

  

AUTOBIOGRAFIA

Si mi vida no es esto
¿qué será la vida?

Martín Adán

Mi chiedi della mia vita a bruciapelo:
che rispondere, come e in che modo?
Quel che so della mia vita lo cancella quanto di essa non so:
le parole non bastano, i ricordi confondono.
La mia vita è quel che ho fatto,
ho disfatto, ho smesso di fare.
Per sapere della mia vita, pensa alla morte,
pensa a te che sei viva e che mi devi sopravvivere.
Non so se avrò tempo
per vivere il non vissuto, per uccidere quanto vissi,
per vivere la morte prima di morire.
La mia vita riceve istruzioni da altre vite
precedenti, che servo
come fedele successore e in me rivivono
– non ho occhi se non per quanto non vedo.
La mia vita è una notte che non si adatta alla luce,
un astro fuggitivo smarrito sulla terra;
è anche la parola che ancora non mi ha trovato,
il messaggio misterioso che non decifrerò.
Anche se la mia vera vita forse s’inventerà.

REGLAS DEL JUEGO

Cuando se es muy joven
uno vive sin apenas darse cuenta.

Cuando se es menos joven
uno comprende cuánto cuesta vivir.

Cuando se empieza a envejecer
uno hace recuento de todo lo vivido.

Cuando se es ya viejo
uno evita la idea de morir.

Cuando se nubla la vista
todo se ve definitivamente claro.

(La llegada del mal tiempo, 1995-1996)

REGOLE DEL GIOCO

Quando si è molto giovani
si vive quasi senza rendersi conto.

Quando si è meno giovani
si capisce quanto è duro vivere.

Quando si comincia a invecchiare
si fanno i conti di tutto quanto si è vissuto.

Quando ormai si è vecchi
si evita l’idea della morte.

Quando si annebbia la vista
tutto appare definitivamente chiaro.

LOS ALMENDROS EN FLOR

Cada año
la llegada de la primavera
me duele más.

Salgo al campo:
están los almendros en flor,
pero yo no.

(La llegada del mal tiempo, 1995-1996)

 

I MANDORLI IN FIORE

Ogni anno
l’arrivo della primavera
mi fa più male.

Vado in campagna:
i mandorli sono in fiore,
ma io no.

LA PUERTA DEL SILENCIO

Somos gotas de sed,
ecos de un resplandor.

Frente al mar todos callan.

(La llegada del mal tiempo, 1995-1996)

 

LA PORTA DEL SILENZIO

Siamo gocce di sete,
echi di uno splendore.

Di fronte al mare tutti tacciono.

 

MORIR

Morir es no volver a estar
a la misma hora
en los mismos lugares,
con las mismas personas.
No aparecer, cada mañana,
como esa gran luz nueva
disuelta entre las cosas;
dejar interrumpidos los trabajos,
los viajes en punto muerto.
Ajenos a los mares y a los astros.
Morir es estar quietos, sordos,
ciegos, mudos, desaparecidos,
desconectados de todos y de todo,
de nosotros también;
no regresar a casa nunca más.
No emitir ya señales, recibirlas tampoco.
Morir es no volver.

(Biografía de la muerte, 1996-2000)

 

MORIRE

Morire è non ritornare
alla stessa ora
negli stessi posti,
con le stesse persone.
Non apparire, ogni mattina,
come quella grande luce nuova
dissolta tra le cose;
lasciare interrotti i lavori,
i viaggi a un punto morto.
Estranei ai mari e agli astri.
Morire è rimanere calmi, sordi,
ciechi, muti, dispersi,
isolati da tutti e da tutto,
anche da noi stessi;
non tornare a casa mai più.
Non emettere più segnali, e nemmeno riceverli.
Morire è non tornare.

UNA VIDA TRANQUILA

Antes del fin
Ricardo Defarges

Me he castigado tanto el cuerpo, el alma,
que sólo tengo ganas de volver,
desatado de todo y de mí mismo,
a ese lugar donde las horas cunden,
fértiles, y pensar aprovecha
como un zumo fresco de frutas bajo el sol.
Pasear, empapado de olor a savia, camino de la casa
-observando el vuelo raso de la neblina
y las candelas del atardecer.
Y allí, junto al hogar, poner un poco de orden
al estrépito de los años, a los muebles de la memoria.
Oír el llover lento de la conciencia
calar en el eco de mis pasos, dispuesto a vigilar,
aunque sea de reojo, el reloj del adiós.
Me he castigado tanto el cuerpo, el alma,
que tengo ganas de regresar al campo
a ver amanecer; escuchar
el agua del deshielo rodar por la montaña;
colmarme de la paz de los senderos,
del canto de pájaros e insectos,
de la brisa que estremece las manos de los árboles;
tropezar con las piedras al contemplar las nubes.
Sentir que, sin saberlo,
estuve tanto tiempo vivo, y aún lo estoy.

(Biografía de la muerte, 1996-2000)

 UNA VITA TRANQUILLA

Antes del fin
Ricardo Defarges

Ho castigato tanto il corpo, l’anima,
che ho solo voglia di tornare,
staccato da tutto e da me stesso,
in quel luogo in cui le ore rendono,
fertili, e pensare trae beneficio
come un succo fresco di frutta sotto il sole.
Passeggiare, impregnato di odore di linfa, verso casa
– osservando il volo raso della foschia
e le luci dell’imbrunire.
E lì, vicino a casa, rimettere un po’ in ordine
il chiasso degli anni, i mobili della memoria.
Sentire il piovere lento della coscienza
immergermi nell’eco dei miei passi, disposto a vegliare,
se pur nascostamente, l’orologio degli addii.
Ho castigato tanto il corpo, l’anima,
che ho voglia di tornare in campagna
a vedere l’alba, ascoltare
l’acqua del disgelo rotolare giù per la montagna
riempirmi della pace dei sentieri,
del canto di uccelli e insetti,
della brezza che fa tremare le mani degli alberi,
inciampare nei sassi nel contemplare le nuvole.
Sentire che, senza saperlo,
sono stato vivo per tanto tempo e ancora lo sono.

CANCIÓN ESTÉRIL

Cómo habría querido darte todo
lo que yo nunca tuve: una infancia feliz
-cimiento de un futuro
compacto en seguridad y fortaleza;
cierta disposición favorable ante el mundo,
la salud del silencio,
el taller clandestino de las palabras,
la amistad, el ansia de saber, de ser libre,
las llamas del motín de enamorarse,
el fragor de vivir y un respeto a la muerte.
Pero nada de esto te podré conceder,
porque no nacerás.
Y aun así, me pregunto
si habrías admitido cuanto yo te ofrecía
-simplemente, la vida;
y aceptarme, porque yo te aceptaba.

(Biografía de la muerte, 1996-2000)

 

CANZONE STERILE

Come avrei voluto darti tutto
quanto non ho mai avuto: un’infanzia felice
– fondamento di un futuro
saldo in sicurezza e forza;
una certa disposizione favorevole al mondo,
la salute del silenzio,
il laboratorio clandestino delle parole,
l’amicizia, l’ansia di sapere, di essere libero,
il fuoco di quel tumulto che è innamorarsi,
il fragore di vivere e un rispetto per la morte.
Ma nulla di questo ti potrò concedere,
perché non nascerai.
E anche così, mi chiedo
se avresti accolto quanto io ti offrivo
– semplicemente, la vita;
e accettarmi, perché io ti accettavo.

¿Mirar es acercarse o atraer?
El sol, frutal, tirita, estremecido
fogonazo de trinos y de aromas.
En los brazos del monte brama el viento:
¿qué dice cuándo pasa?
No conoce el nombre de los árboles.
Hay otra luz para las flores de agua.
Islas en llamas en la noche,
vamos detrás de aquello que se escapa.

(La voz de la mirada, 2000-2001)

 

Guardare è avvicinarsi o attirare?
Il sole, fruttifero, trema,vibrante
vampata di trilli e di aromi.
Tra le braccia del monte bramisce il vento:
cosa dice quando passa?
Non conosce il nome degli alberi.
Vi è un’altra luce per i fiori d’acqua.
Isole in fiamme nella notte,
andiamo dietro a quello che sfugge.

 

“Eres la lejanía, que me cerca.”

(Toda la luz del mundo, 2000-2002)

“Sei la lontananza, che mi circonda.”

Qué insaciable beber un agua que tiene sed.

(Toda la luz del mundo, 2000-2002)

Quanto è insaziabile bere dell’acqua assetata.

LAS PALABRAS

Cada palabra pesa
todo lo que la vida
ha pasado por ella.

Hay palabras que viven,
palabras que dan vida;
hay palabras que mueren
y palabras que matan:
sólo algunas traspasan.

Cada palabra pesa
su paso por la vida.

(Claro interior, 2000-2007)

LE PAROLE

Ogni parola pesa
tutto quanto la vita
ha passato per lei.

Vi sono parole che vivono,
parole che fanno vivere;
vi sono parole che muoiono
e parole che uccidono:
solo alcune rimangono.

Ogni parola pesa
il suo passare per la vita.

LA REALIDAD

A pesar de que escribo
contra ella
-sobre ella jamás-
no sé en qué consiste
la realidad,
ni siquiera si existe.
Pero persiste,
y esto sí que es misterio.

(Claro interior, 2000-2007)

LA REALTÀ

Nonostante io scriva
contro di lei
– ma su di lei mai –
non so in cosa consiste
la realtà,
neppure se esiste.
Eppur persiste,
e questo sì è un mistero.

MUNDO PROPIO

Estar fuera del mundo por llevar un mundo dentro.

Si mi mundo no es éste, mi mundo dónde está.

(Claro interior, 2000-2007)

MONDO PROPRIO

Essere fuori dal mondo per avere un mondo dentro.

Se il mio mondo non è questo, dov’è il mio mondo.

 

© de los poemas en castellano: licencia otorgada por Olifante. Ediciones de Poesía
© delle poesie in castigliano: licenza rilasciata da Olifante. Ediciones de Poesíapablo.luque.pinilla@gmail.com
gloria.bazzocchi@unibo.it

 

 

42, rivisitato/sulla vita, l’universo..e tutto

Premessa

Nella imprescindibile Guida Galattica per Autostoppisti com’è noto si trova anche la risposta alla domanda fondamentale sul mondo e sulla vita, ed è 42.
Ma dato il tempo trascorso dall’ultima edizione (anche se cambiata da quella originale del ’78) sentiamo il bisogno di un aggiornamento su alcuni temi che ci stanno a cuore.

1- Cos’è la vita

Schrœdinger, uno dei fondatori della meccanica quantistica, nel 1943 tenne delle conferenze su questo tema a Dublino, poi tradotte in libro nel ’44. Da qui nasce il dibattito moderno sul tema.
Purtroppo viziato da un presupposto implicito, cioè che si tratta della nostra vita. L’obiettivo è quindi assai importante ma limitato, e inficia in modo quasi automatico tutti i dibattiti sugli alieni. Così come ingenera, sempre in automatico, una gabbia concettuale che racchiude le analisi delle ragioni di quello che è successo ma non considera quello che avrebbe potuto essere.
Anche l’ultimo libro sull’argomento, quello di Paul Davies, fisico e divulgatore (nonchè portavoce ufficiale del comitato di ricevimento degli alieni, PPSDTG@SETI), non sfugge a questo limite, anche se i risultati cui arriva possono aiutare ad allargare gli orizzonti.
Ma conviene precisare subito com’è fatta la gabbia: anche perché altrimenti la nostra capacità di riconoscere un alieno verrebbe pericolosamente compromessa (in umile ma netto dissenso con Jim al Khalili e tutti gli scienziati che intervista nel suo libro).

Se eliminiamo il requisito che la vita sia del tipo della nostra, quindi protoplasmatica, intelligente (e auspicabilmente di bell’aspetto) dobbiamo riformulare i caratteri base evitando ogni presupposto nascosto; un possibile elenco sarebbe:
1- ha uno scambio di energia/materia con l’esterno
2- ha una propria dinamica interna che la fa evolvere
3- scambia informazione con l’esterno
4- si riproduce
Mentre 1 e 2 appaiono essenziali, 3 lo è un po’ meno, e 4 altrettanto.
Una domanda interessante che aiuta a chiarire il problema è: una stella è viva?
Non possiamo usare una risposta a priori, che sarebbe assai utile a delimitare il campo, in quanto non possiamo avere una certezza sufficiente ad orientarci e quindi inficieremmo tutto il discorso: mentre possiamo escludere che un sasso sia vivo per una stella la questione è più complicata di come potrebbe apparire a prima vista: infatti soddisfa certamente le prime due condizioni, per la terza emette informazioni (e non sappiamo bene se ne assorba) e per la quarta in certi casi (supernova) con la morte manda in giro frammenti di sé che fecondano altri elementi (i metalli pesanti dei pianeti).
Questo però dà una prima idea del tipo di percorso necessario a definire la vita una volta abbandonato il requisito nascosto protoplasmatico se non antropomorfico.
Un elemento interessante è che mantiene una caratteristica di base: è un sistema aperto.
E quindi possiamo accorgerci se un alieno si sta avvicinando perché scambia energia con l’esterno (almeno quasi sempre: anche da noi un batterio in difficoltà si incistida in spora per tempi anche lunghissimi…ne hanno scoperti recentemente alcuni sotto il ghiaccio da milioni di anni..).
Ma l’entrata in scena dei batteri ha un significato più vasto nel discorso: per Davies i tumori sono il risultato di uno scontro fra l’origine monocellulare degli organismi e quella multicellulare che ci vede partecipi. Quello che succede è che quando una cellula si trova in difficoltà/ambiente ostile/aggressione esterna tende a ritornare alla condizione primitiva unicellulare, che ha due caratteristiche base: è immortale (continua a riprodursi), e si difende dall’esterno (che in questo caso è il resto dell’organismo). Quindi il problema non è distruggere le cellule in guerra con l’organismo ma eliminare l’ambiente aggressivo e in qualche modo (…) convincerle a cooperare di nuovo.                                                                          (La somiglianza coi problemi delle guerre civili è evidente).

Tornando ai quanti potremmo chiederci (e qualche venditore di olio di serpente ha già le ricette pronte..) se esistono una biologia quantistica e una medicina quantistica. Per la prima la risposta è sì, ma: ci sono molti fenomeni quantistici, come la fotosintesi clorofilliana, ma nessuno di quelli ‘strani’ che comportano delocalizzazione, sdoppiamento, intrecciamento. Quindi per la seconda la risposta è no: quelli che ci possono essere a livello di chimica fine sono nascosti da effetti macroscopici e fluttuazioni termiche di dimensioni assai maggiori, quindi sarebbero in ogni caso invisibii e inutilizzabili.

2- Cosè la coscienza

Nel libro di Davies il discorso sulla coscienza parte dai lavori di Tononi (nel nostro recente articolo su ‘Uscire dal tempo’ c’eravamo più appoggiati sull’altro pilastro, Damasio).
Ma con un accento nuovo: la coscienza come informazione strutturata. È un concetto che viene dalla teoria dell’informazione, ancora dai lavori di Turing e Shannon e von Neumann, e passa nei calcolatori e nell’intelligenza artificiale. Sembra un ossimoro, dato che ciò che caratterizza un insieme strutturato rispetto ad uno casuale è proprio l’informazione, e soprattutto Davies non va molto più in là.

Per farlo conviene fare un passo indietro: per costruire un cavolo romano (che ha una struttura frattale, con forme semplici che si ripetono a varie scale) la natura usa pochissime informazioni, che quindi si chiamano informazioni ‘potenti’; a queste accompagna uno schema di controlli (tanto più sofisticato quanto più le informazioni sono semplici) che avvia, dirige e ferma il processo. La combinazione dei due è un’informazione strutturata.
Lo stesso avviene col DNA: tutta l’informazione per costruire una donna (l’uomo è solo un accessorio) è contenuta lì. La gestione prima e il controllo poi di questa informazione è affidata agli ormoni: è l’insieme dei due che la rende informazione strutturata.
In altri termini significa aggiungere una dimensione (o più) all’informazione in sé. E così la coscienza è legata alla connessione tra i diversi sistemi informativi del corpo. C’è anche un indice, φ, che specifica il grado di interconnettività e di informazione strutturata collegata a questo. Continuando a dare i numeri, il cervello umano ha 100 miliardi di neuroni, e le sue interconnessioni sono 1000 triliardi (con una velocità superiore a qualsiasi supercomputer: 10000000000000000-10 elevato alla 15- operazioni/secondo).
Ma è necessario fare una distinzione spesso trascurata sui tipi di coscienza, che possiamo dividere in tre: l’autocoscienza, l’attenzione cosciente all’esterno, il ragionamento (che anche se a volte avviene anche nel sonno o sotto la soglia di attenzione è un processo autonomo rispetto alla gestione delle informazioni: teniamo conto che la coscienza è assai più della mera consapevolezza: il nostro cervello è una macchina per simulazioni potentissima, che crea e modifica continuamente scenari e mondi virtuali (tutto per prevedere l’evoluzione dell’ambiente esterno, essenziale quando eravamo cacciatori e prede); e anche il ragionamento è assai più di una catena di proposizioni: anch’esso lavora su più piani e coinvolge molti sottosistemi, costruendo varianti di realtà virtuale ).
Il rapporto tra coscienza ed emozioni su cui insiste Damasio è un esempio chiave del numero di dimensioni (di parametri) che la caratterizzano.

L’attivazione delle connessioni prodotta dagli allucinogeni, evidenziata in questa magneto/termografia, che coinvolge un numero impressionante di sottosistemi del cervello, dà un’idea per quanto semplificata e apparentemente uniforme del numero di dimensioni in più coinvolte.
(Ancora qualche numero: fra due sottosistemi c’è una sola connessione, fra 3 ce ne sono 3. Fra 4 ce ne sono 6….; regolare la coscienza in presenza di più connessioni è come un giocoliere che fa roteare delle palle colorate aggiungendone man mano una: per riuscirci -e non è detto che ci riesca sempre- deve salire di livello/dimensione).

L’elemento da non dimenticare è che anche per la coscienza vale il principio che la regolazione è essenziale.
Un esempio dalla produzione di massa può aiutare: per costruire un oggetto, ad esempio un’automobile, possiamo seguire due metodi: combinare tanti elementi semplici, il che permette di semplificare l’acquisizione dei pezzi base, o produrre direttamente parti finite. Questo secondo ha il vantaggio che siamo sicuri della funzionalità (per esempio resistenza strutturale) mentre nel primo dobbiamo controllare attentamente l’assemblaggio perché un piccolo errore potrebbe compromettere tutto. In compenso il primo è più elastico e permette di produrre una versione modificata con un piccolo cambiamento del processo.
Anche il nostro cervello ogni tanto si riposa e utilizza sistemi concettuali già organizzati come stampi base. Coi vantaggi e gli svantaggi dell’esempio.
E anche per lui vale che quando ha utilizzato un sistema concettuale come stampo base ha difficoltà a liberarsene, perché fa anche da attrattore per concetti vicini.                           Questo è uno dei meccanismi della tribalizzazione del nostro comportamento e delle coalescenze ‘ideologiche’ sui social.

3- Un calcolatore quantistico ad acqua*

Agli albori dell’era dei calcolatori c’era la distinzione tra calcolatori analogici e calcolatori numerici (oggi digitali, in omaggio all’inglese digit=cifra, numero). I primi imitavano/simulavano il processo che si voleva studiare, ed era un percorso logicamente rischioso (ne uccide più l’analogia della spada) ma anche intellettualmente affascinante. E per entrambe i motivi è morto prematuramente (anche se in parte risuscitato, forse, nei prossimi calcolatori quantistici).
Quelli numerici si sono semplificati a funzionare con operazioni logiche, realizzati mediante circuitini (porte logiche) che realizzano le principali operazioni : passa corrente, non passa; passa in uno e nell’altro; passa nell’uno o nell’altro….
Ma tutte le porte logiche fatte con la corrente elettrica si possono fare anche coll’acqua e una combinazione di rubinetti/valvole.

calcolatore analogico idraulico russo del '36 (Lukyanov): il primo a risolvere equazioni differenziali alle derivate parziali. Un suo parente postbellico, il MONIAC dell'australiano Phillips, simulava l'economia inglese.

L’unico difetto è che l’acqua è più lenta della corrente. Ma ha anche dei vantaggi: ne possiamo regolare il volume (anche se questo varrebbe anche per l’elettricità ma non viene usato per paura del riscaldamento conseguente), possiamo regolarne il tipo (calda e fredda, o di colori diversi, moltiplicando così il numero dei bit/unità di informazione e il tipo di porte logiche). Se poi utilizziamo l’inclinazione dei condotti e la pressione per modificare le velocità relative, aggiungiamo qualche turbolenza..abbiamo un calcolatore analogico e digitale insieme che compie simulazioni che i supercalcolatori hanno difficoltà a gestire.
Un caso limite è quando le gocce d’acqua sono di volume comparabile al diametro del rubinetto (è un caso studiato in un famoso frattale di Henon): allora il numero di parametri del sistema acqua-rubinetto sale di colpo (prima era regolato solo dalla quantità di acqua, ora anche dal tipo di pareti, dalla forma della goccia…) e il comportamento (rappresentato dalla frequenza delle gocce) diventa imprevedibile (caotico).
È l’equivalente del calcolatore quantistico.
Ed è molto più economico anche se più lento. Però può fare quello che i calcolatori quantistici sanno fare meglio: decrittare le chiavi di sicurezza dei sistemi informatici di banche e Pentagono….(in quanto tempo non ho ancora calcolato).
Chi scrive non si assume responsabilità delle eventuali conseguenze..allagamenti di prova compresi.

Va anche osservato che in caso di mancanza d’acqua, per esempio in un paese desertico, si può anche utilizzare la sabbia, purchè di granulometria controllata.

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Paul Davies, the Demon in the Machine, Penguin 2020
Erwin Schrœdinger, What is Life, Cambridge U. Press, 1944
Giulio Tononi et al, Integrated information theory: from consciousness to its physical substrate, Perspectives, 17, 450, 2016

Jim al Khalili, a cura, Alieni, c’è qualcuno là fuori? Bollati Boringhieri, 2017                                   Douglas Adams, Guida galattica per gli autostoppisti (The Hitchhiker’s Guide to the Galaxy), 1978/2005

Paolo Di Marco, An Hydraulic Quantum Computer, Academia.edu/2021

*questa parte è coperta da diritto d’autore, privo di oneri: chiunque può utilizzarla purchè ne citi l’autore; ogni uso improprio comporta una penale da stabilirsi a insindacabile arbitrio dell’autore stesso, cui spetta anche la definizione di uso improprio.

Su “I turbamenti del giovane Törless”

di  Davide Morelli

Omen nomen, nel nome un destino: Törless significa letteralmente “senza porta”, perciò da intendersi qui come chiuso, introverso. Prima di tutto una curiosità: alcuni traducono il titolo di questa opera  “I turbamenti del giovane Torless” ed altri “I turbamenti dell’allievo Törless”. In questo romanzo di esordio di Musil, in parte autobiografico e pubblicato nel 1906, vengono descritte le esperienze di un allievo sedicenne, proveniente dalla buona borghesia, in un esclusivo collegio militare austro-ungarico. È un romanzo sia di formazione che psicologico. Descrive minuziosamente la crisi esistenziale del ragazzo. Continua la lettura di Su “I turbamenti del giovane Törless”

Boris Pasternàk, Otto poesie

                  dal romanzo   “Il dottor   Živàgo” e   da precedenti rivisitazioni TRADUZIONI LIBERE  E  “LIBERATE” DI ANTONIO SAGREDO (da 2 dicembre 2020 a 9 gennaio 2021)

di Antonio Sagredo

Delle 25 poesie che Mario Socrate tradusse per pubblicarle nel novembre del 1957 in prima edizione mondiale dall’editore Feltrinelli, scrive che sono “Poesie di Jurij  Živago”; mentre  A. M. Ripellino, che ne tradusse 8, scrive: “Dal romanzo Il dottor Živàgo” (1959), marcando una distinzione tra il personaggio e l’autore. Di queste 25  ne scelsi 17, quasi 40 anni fa, che tradussi e che dopo  alcune rivisitazioni abbandonai  perché distratto e pressato da altri studi e impegni della quotidianità.

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Poema dell’anno eterno

Diario fisico e metafisico

di Luciano Aguzzi

Luciano Aguzzi ha cominciato a pubblicare sulla sua pagina FB un “Poema dell’anno eterno”  che  prevede un componimento al giorno per i 365 giorni dell’anno. Qui presento  i primi sedici componimenti del mese di gennaio con una premessa dello stesso autore. Per vedere il ricco e bel corredo di immagini che accompagnano i testi rimando alla pagina FB di Aguzzi (qui) [E. A.]

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Riordinadiario 2013. Una polemica su Tolstoj

di Ennio Abate

Nel dicembre 2013 ebbi modo di leggere questo saggio: L. Tolstoj Le memorie di un folle, nel frattempo comparso sulla Rivista di psicologia analitica  (qui). Me l’inviò, chiedendomi un parere, l’autore, un certo Baio della Porta, pseudonimo di uno studioso che preferiva non rivelare la sua identità anagrafica. La mia reazione fu  di sconcerto, tanto trovai esasperata e ipersoggettivistica la sua dissacrazione del narratore russo. E risposi con questa lettera polemica di cui non mi pento neppure oggi. Non sono in grado di riportare direttamente il saggio su Poliscritture; e, per farsi  un’idea  precisa delle critiche a Tolstoj di Baio della Porta,  il lettore dovrà  andare al link che ho indicato.  [E. A.]
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Ma la follia è vita?

di Ennio Abate

Nella nostra silenziosa, poco trattabile follia, vorremmo essere identici a noi stessi, e non riusciamo a capire che nel momento in cui lo diventassimo veramente, noi saremmo morti. Proprio finiti. Senza volerlo sapere, parliamo attraversati da questo lutto, perché siamo anticipati dall’idea che invece essere non identici a noi stessi, essere altro, avere degli spigoli che non controlliamo, in noi o nel simile, sia un male.

(Alberto Zino, Che pesti, ALTRAPAROLA)

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Lingua di fumo

di Franco Arminio

Franco Arminio non ha bisogno di presentazione. I suoi libri di poesia hanno un successo che, di solito, altri autori possono soltanto sognare. Il che si presta sicuramente a diventare fonte di discussione anche critica, ma non può essere negato o rimosso. Il suo ultimo libro s’intitola «La cura dello sguardo» (Bompiani, 2020). Domenica 22 novembre un suo testo straordinario ha accompagnato lo Speciale TG1 con le drammatiche immagini del terremoto irpino del 23 novembre 1980. Uno Speciale che invito a vedere e rivedere all’indirizzo di RaiPlay. Con i versi “un po’ sbilenchi” di questa composizione prova, a suo modo, a fare poesia su Ciriaco De Mita, un personaggio politico che gli irpini conoscono bene. (D.S.) Continua la lettura di Lingua di fumo