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Prof Samizdat (prova 1)


Tabea Nineo, Caduta, bassorilievo in creta, 1980

Narratorio. Versione  2020.

di Ennio Abate

Non erano  inferme  le albe del 1978. Somigliavano a quelle  di sempre. Ma  giovani sentinelle appostate su piramidi rilucenti freddarono un sogno. Vento, molto vento. Poi cervici divelte  da corpi ancora frementi, sì. Muschi d’organi squarciati, sì. Torcigli di visceri raccolti in stracci sporchi. E però in Occidente altri vissero  miti e tranquilli. Sull’oscuro pavimento degli anni restò,  color carbone, soltanto uno sgorbio. Per assenza di grida, tutti finsero  che il sogno non era stato di umani percossi da altri umanissimi. Che si fosse trattato  soltanto  di bestie  macellate in quell’autunno, dicevano. 

Mente che indaghi, quel tempo  grumoso è lo stesso che i freezer  televisivi ogni giorno surgelano.

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I viventi

di Antonio Sagredo

Walter osservò come ciondolava stancamente, sullo schienale della sedia a dondolo di una tarlata Thonet, lo sparato bianco che la sera prima s’era accomodato in fretta per andare al ballo dei parenti insieme ad Elisa.

Era stato organizzato in loro onore dalle zie materne più anziane.

L’anno prima, fu lei che glielo regalò. Lo aveva comprato a Praga in via Parigi quel tessuto voille bianco in piquette nido d’ape che poi si fece confezionare e applicare.

– Con bottoni di madreperla senza fori e col collo guru! – le raccomandò, Walter.

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