di Emilia Banfi
Un prima (la natura!) e un poi. Un Eden (della memoria personale) e poi la rottura. E’ narrazione o più spesso evocazione di un tempo felice o ingenuo e aconflittuale. Accostamenti delicati e mai tragici. Epifanie liriche concentrate, istantanee quasi fotografiche, perché tagliano il resto. I drammi sono suggeriti attraverso la concisione. Molta attenzione alla fisicità e, nelle poesie in dialetto lombardo, un tono salace e popolaresco con echi di Carlo Porta e Dario Fo. E un abbandono più libero alla narrazione. Sembrano questi i tratti vivaci e immediati della prima raccolta poetica di Emilia Banfi. [E. A.]
PRIMA
Prima di noi, delle nostre mani,
del nostro potente pensiero,
correvano nuvole senza est senza ovest,
l’acqua aveva la sua giusta fine.
Né fuochi né pioggia fermavano
l’aprirsi di nuove frotte di fiori.
Costante era il tempo senza lancette
e il vento non portava annunci.
Solo il cielo nominava stelle e soli,
l’uragano stava ad aspettare
nuove spinte e la luna non chiedeva
perché alla luce né al fato.
Poi strani esseri giunsero alla valle
insieme ad altri ed altri ancora,
convenevoli e lotte, sangue e inganni.
Confusamente, la terra smise
di restare ferma nel cielo, nel sole
e stelle e luna imbrogliarono il mondo.
Nulla fermò la mano e nemmeno il tempo.
La chiamarono natura.
L’ALBICOCCO
C’è uno scavo nel vecchio tronco,
sta lì il gatto a sonnecchiare
e lo sente un po’ di cuore
come un’eco battere ancora,
del lamento ormai conosce
ogni parola, ogni sospiro,
non più di linfa vive il ramo
né dei nidi il parlottìo,
solo l’ultimo sussulto
-Me ne vado proprio adesso
dentro muoio, ascolta ancora,
proprio adesso che so tutto
del mio fiore.
FLASH
Le nudità sulla neve fresca
tutto si scioglieva nell’abbraccio
o quando il sole s’acquietava
nel mare di cristallo
rappreso alle nostre membra.
Un dipinto di noi a gambe all’aria
nel campo dell’estate lombarda.
Gli insetti portavano le loro voci
e noi a dipingere futuri di olio a colori.
Pezzetti di follia ogni giorno
per morire più tardi.
LA SUA BÈLA
La sfiurò ul paisan
la buca dèla sua bèla
cumè l’aveva vist fa
ul vent cunt i spig.
Un po calus i man
sùi tètt, in del sulc,
la tèra, i udur
e ‘l so nom inscì bèl.
Poc al pretendeva,
dumà ul lasas andà
e grundaven d’amur
nascost, de prim volt,
al pareva pusè luntan
ul fragur del turent,
dumà ul lur respir
al disfava l’aria,
e nient mai pù
l’era ammò cume prima.
Grazie Ennio.
Bella la poesia Albicocco, in cui Emilia immagina una comunicazione tra gatto e pianta in situazione climax, ovvia fantasia proiettiva? Mica tanto, per quella comunicazione istintiva-intuitiva tra esistenze vitali che in fondo ognuno conosce.
…in attesa di leggere tutta la raccolta di poesie di Emy, leggo con piacere quelle selezionate in questa presentazione. Trovo in esse una forza vitale che si scioglie nei contorni in forme di smarrimento: vuoi nella gioia o estasi dell’amore, vuoi nel dolore per tutto cio’ che fu bello ed è destinato a morire. Nella poesia “L’albicocco” sono molto belli e pieni di un dolore struggente gli ultimi versi : “…-Me ne vado proprio adesso/dentro muoio, ascolta ancora,/proprio adesso che so tutto/ del mio fiore”…mi ricordano il finale malinconico di certe vecchie romanze popolari
Belle le tue poesie! Piene di sensibilità intuitiva e realizzate nel più delicato dei modi.
Brava! Arnaldo Ederle
Grazie a tutti voi.